Al confine tra il Belgio e la Francia pochi giorni fa la polizia belga ha aperto il fuoco su un furgone di migranti curdi uccidendo una bambina di 2 anni e cercando poi di insabbiare le indagini. Non sono pochi i bambini e ragazzi uccisi dalla violenza delle polizie europee. Ecco una vecchia storia, per non dimenticare un ragazzino di 11 anni che oggi ne avrebbe 36…
A 25 anni dalla morte misteriosa – ma neanche tanto – di Tarzan
di Gianni Sartori
Ci sono storie che uno magari preferirebbe rimuovere, seppellire. Eppure – di tanto in tanto – alcuni nomi tornano fatalmente alla mente:
Sara Gesses, Paolo Floriani, Soledad Rosas… per esempio.
Oppure “Tarzan”… ve ne parlo per non dimenticare.
Il 23 settembre 1993 Tarzan Sulic, bambino «zingaro» di 11 (undici!) anni moriva nella caserma di Ponte Brenta (Padova) per un colpo della beretta 92s in dotazione al carabiniere Valentino Zantoni.
Lo stesso ha ferito, quasi mortalmente trapassandola al torace, la cuginetta Mijra.
Su questa morte, definita «omicidio di stato» da radio Sherwood (PD), all’epoca si era cercato di stendere un velo poco pietoso, il velo di una «copertura» istituzionale della verità in cui «magistrato, giornali, TV e colonnelli dell’arma hanno giocato il loro ruolo». Questo sosteneva il Comitato di controinchiesta che a Padova si era mosso con impegno e determinazione per mantenere aperta l’attenzione su questo gravissimo episodio.
Al Comitato avevano aderito decine di gruppi, associazioni, singoli che avevano partecipato alla realizzazione di un video per raccogliere gli elementi della controinchiesta.
Il Comitato aveva messo in discussione la versione ufficiale, quella data per buona dal P.M. dottor Cappellari secondo cui un bambino di 11 anni sarebbe stato in grado di disarmare un ex parà nello spazio di 70 cm e poi, lottando con il carabiniere alto 1.90, caricare la pistola e spararsi addosso.
«Attualmente – scriveva all’inizio del 1994 il Comitato – il carabiniere in questione è stato sospeso e trasferito, unicamente a sua tutela, non è ufficialmente ancora indagato, mentre la famiglia dei due bambini nomadi ha dovuto spostarsi di molti chilometri, viste le pesanti attenzioni dei tutori dell’ordine».
Ma gli aderenti al Comitato erano molto critici anche con la stampa che avrebbe «letteralmente banchettato sulla storia del “piccolo ladro”».
Delusione soprattutto nei confronti degli articoli dell’Unità che non si era fatta scrupolo di usare epiteti puramente spettacolari (come «Tarzan di nome e di fatto») che convalidavano, dandola per scontata, la versione di giudici e carabinieri. Dato che in proposito erano sorti equivoci, colgo l’occasione per dichiarare che il sottoscritto non aveva nessuna parentela né tanto meno affinità ideologica con il corrispondente padovano dell’organo dell’allora PDS, Michele Sartori.
Invece quelli del Comitato si battevano per ristabilire la verità, perché «dietro a questa tragedia c’è una ben precisa cultura dominante, quella del razzismo, pianificato con leggi e coperture». Come nel caso per tanti versi analogo di Paolo Floriani (Vicenza, 1987), il comportamento di polizia e carabinieri nei confronti di «zingari» e immigrati rivelava di essere solo uno degli effetti di questa «cultura» diffusa. Alcuni esponenti del Comitato mi avevano dichiarato che in base ai dati da loro raccolti «i due bambini sono stati chiusi in cella e violentemente percossi».
Inoltre «le macchie di sangue, i fori sui corpi dei bambini, la perizia balistica, rivelavano che il colpo va dall’alto verso il basso». E ancora: «Quanto alle tracce di polvere sulle mani di Tarzan (secondo la perizia del guanto di paraffina, n.d.a.) possono significare che ha tentato di proteggersi il viso al momento dello sparo».
Un altro elemento prodotto dalla controinchiesta era che la pistola (una 92s) è dotata di più sicure; per essere caricata con il colpo in canna ha bisogno di una pressione sul carrello di oltre sette chili e per premere il grilletto, coperto da sicura, ce ne vogliono più di cinque. Inoltre, come poteva scorrere il carrello se (stando alle dichiarazioni dei carabinieri) il bambino impugnava l’arma almeno da una parte? E chi mai sarà stata la persona che si era presentata all’ospedale pretendendo la consegna del proiettile estratto dal corpo di Mijra? Tutto questo, oltre a smontare la versione ufficiale, alimentava dubbi inquietanti. Se il carabiniere voleva solo intimidire il bimbo, perché oltre ad estrarre la pistola e puntarla addosso a Tarzan, ha anche messo il colpo in canna, togliendo tutte le sicure?
Grazie all’opera del Comitato era anche sembrato che la Procura (dopo aver dichiarato che la versione dell’unica testimone, la bambina – secondo la quale il carabiniere avrebbe sparato a Tarzan – era «inattendibile») avesse avuto l’intenzione di far marcia indietro.
Addirittura si era parlato di una possibile incriminazione del carabiniere per «omicidio preterintenzionale». Fonti accreditate spiegavano questo cambiamento di rotta con nuove deposizioni rese dal militare. Avrebbe riconosciuto che al momento dello sparo l’arma si trovava saldamente impugnata nelle sue mani. «Qualora tutto questo dovesse essere confermato – dichiarava il Comitato di controinchiesta – prende corpo una realtà atroce che va anche al di là delle ipotesi da noi formulate».