Non è affatto detto che chi subisce l’oppressione sia una persona più capace di capire e combattere le forme di oppressione. Un bambino che ha preso un calcio da uno più grande, tira un pugno a uno più piccolo.
Allo stesso modo, è facile censurare la rabbia magari impulsiva e scomposta di chi subisce oppressione, intimidazione, violenza. Ma la rabbia può essere anche un gesto vitale e liberatorio.
Un criminale in grande stile come Mussolini, responsabile diretto e indiretto di un cumulo impressionante di cadaveri e di dolore, venne fucilato il 28 aprile 1945 secondo una condanna a morte emessa dal Comitato di Liberazione Nazionale. Ma la condanna del Duce fu approvata da un legittimo, ampio moto di rabbia popolare che, dopo l’esecuzione, impiccò il Duce a testa in giù a Piazzale Loreto, dove meno di un anno prima, il 10 agosto 1944, i militari fascisti della R.S.I. avevano assassinato quindici persone innocenti.
Theodor Saevecke, il «boia di Piazzale Loreto», è stato condannato all’ergastolo soltanto il 9 giugno 1999, ma non è mai stato estradato in Italia né ha subito mai alcun processo in Germania. È morto libero nel 2004 a 93 anni.
È con un certo dispiacere che vediamo un luogo antiautoritario e antifascista come «Femminismo a Sud» assumere quest’anno il ruolo ormai consunto del censore revisionista delle rabbie altrui. Pare che un simbolo dell’antifascismo come il cadavere del tiranno appeso a testa in giù, usato variamente e icona nel 2010 anche del «Festival sociale delle culture antifasciste», sia diventato qualcosa di riprovevole e degenere:
«Ma anche basta festeggiare questa giornata condividendo le foto di cadaveri di fascisti a testa in giù. Sarebbe un monito? Un segno di R-Esistenza? Io lo trovo lugubre e tremendo. Sono passati tantissimi anni e ogni azione va collocata storicamente nel tempo e nel luogo in cui è stata compiuta.»
Sono sì passati tantissimi anni: anni di stragi neofasciste, di tentativi di golpe, di logge massoniche zeppe di ex repubblichini, di forze dell’ordine prima fasciste e poi fascistoidi, di minacce, violenze, aggressioni squadriste, omicidi, razzismo… Ognuno colloca storicamente il passato secondo la propria personale esperienza del mondo. Per noi il tiranno appeso per i piedi è un simbolo di autodifesa sociale rispetto a una minaccia che non ci sta solo alle spalle, in un lontano passato.
In Fuente Ovejuna di Lope de Vega, commedia spagnola del 1619, il tiranno di una città andalusa è abbattuto e fatto a pezzi tanto che il lacerto più grande che ne resta è l’orecchio, e quando infine viene istituito un processo tutti gli abitanti – donne, uomini, ragazzini, – sottoposti a tortura, dichiarano che l’uccisore è «Fuente Ovejuna», il nome della città, tutti quanti.
Lope de Vega non era certo di animo violento o impulsivo: è che sapeva bene che così si trattano i tiranni. Nemmeno noi amiamo particolarmente le cose lugubri e cupe. Ma oggi riprodurre l’immagine del tiranno a testa in giù è la stessa cosa che dire, in quel paese andaluso, «Fuente Ovejuna!»: siamo stati tutti, lo rifaremmo se fosse necessario.
Ci dispiace che un messaggio simile passi da «Femminismo a Sud» che tanto ha fatto, fra le altre cose, per denunciare gli sdoganatori di CasaPound e le molteplici forme di oppressione della «cultura di destra».
E ci dispiace che sia linkata in fondo anche questa poesia anti-antifascista. È una poesia a tesi, fin dal suo esordio:
E se fosse fascismo quello di certi antifascisti.
Se immaginare la giustezza di una idea,
come unica possibile,
fosse motivo per prevaricazioni
e torture
e gogne
e persecuzioni.
È una poesia ideologica, cioè una poesia ipocrita. Perché, invece di spiegare le proprie ragioni, le insinua senza argomentarle in un modo insieme svagato e perentorio.
Ora, quello che deve far riflettere, e non in modo moralistico o banalizzante, è il fatto che chi ha scritto questa poesia la considera una poesia antifascista o, quantomeno, contro il Fascismo. E che cos’è questo «fascismo» che qui viene denunciato? le intimidazioni squadriste? le violenze neofasciste e neonaziste che insanguinano oggi l’Europa? le angherie su persone antifasciste, libertarie o semplicemente più libere di quanto sia accettabile per il perbenismo nero?
No, il «fascismo» consiste nelle opposizioni binarie, nel ritenere «cattivo» chi opprime, nel porre la questione della libertà non disgiunta da quella della giustizia sociale:
Fascismo è quando dividi il mondo
in buoni e cattivi
Lo abbiamo già scritto. L’idea che si tratti di distruggere le opposizioni binarie in forme continuamente «ibridate» ed «eccentriche», è un’idea forte e importante dei Postcolonial Studies, dei Gender Studies e di teorie che contrappongono – in modo tuttavia binario – «autorità» oppressiva e «ibridizzazione» liberante. Ma che questa teoria dell’agency interstiziale e ibrida non funzioni appieno e che comporti dei controeffetti autoritari e normalizzatori, basterebbe a dimostrarlo proprio lo squadrismo di CasaPound, che appunto «rifiuta la rappresentazione binaria dell’antagonismo sociale». «Né rossi, né neri, ma liberi pensieri» gridavano con le spranghe in mano a Piazza Navona.
Questa poesia, per quanto possa essere ispirata da buone intenzioni, per noi è concettualmente allo stesso livello dei «liberi pensieri» di CasaPound.
Intano in Grecia i neonazisti di Alba Dorata occupano un ospedale per impedire l’accesso a chi non è di pura razza ellenica. E a Varese, dopo la festa di compleanno per Hitler, un po’ di svastiche sui muri della sede PD.