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«Non vergognarti dei sogni…»

In una poesia di fine anni Ottanta, Il cimitero dei partigiani, un poeta descrive una sorta di sogno in cui lo spettro di un immaginario partigiano Colibrì racconta la propria morte e poi cerca di stringere la mano al vivo che si scansa impaurito suscitando le risa e gli sberleffi dei fantasmi. Ed è forse un modo per dire che non può esserci rivolta e liberazione per i vivi senza memoria e verità per i morti.

Qui, vivo tra i vivi nel desiderio
uno staccò l’oblio e mi venne incontro.
«Ascoltami, fermati un istante, perché vedo
che hai fretta, io sono Pellegrino
Battista, Colibrì, vedi che ti arrivo alle spalle,»
e rideva sotto gli occhi neri e il ciuffo, «mia madre
abita a San Defendente, è ancora tra voi,
dille che mi hai visto, che sono
come l’ultima volta che mi vide,
morii il giorno dopo, in un’imboscata.
Cadendo sentii l’erba nella bocca, ho sofferto.
Dille che la seguo, che le sono accanto,
che nulla del suo pianto è andato perduto,
perché nessuna lacrima è sprecata nella vostra valle.»
E fece per prendermi la mano, ma io mi scansai,
per paura del vuoto abbraccio.
Sorrise, risero gli altri, uno fece una pernacchia.
«Battista, Colibrì, pensi che io debba
davvero farlo, pensi che mi crederanno?»
«Non vergognarti dei sogni e nemmeno
di questo viaggio tra sogno e veglia,
starà alle tue parole essere creduto,
conquìstati il rispetto con la tua lingua»

Ai nostri occhi non può ottenere alcun rispetto quel discorso – mosso anche dalle migliori intenzioni – che nasconda o sottovaluti la materialità, la concretezza dello sfruttamento, dell’oppressione e dell’ingiustizia sociale.

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