Ovunque, sui muri d’Italia, si legge «Kobanê è ovunque» o «Kobanê è qui». È un modo per dire che non si potrà sconfiggere il fascismo crescente in Europa e nel mondo senza costruire autorganizzazione e autonomia sociale. Che non ci si potrà liberare dalla gerarchizzazione sociale e dal neocolonialismo finanziario senza sviluppare concreti percorsi di politica alternativa e di rivoluzione sociale.
Lo dice bene un intervento di Dilar Dirik tradotto in italiano da Nicoletta Poidimani dal titolo: La rivoluzione delle donne in Rojava. Sconfiggere il fascismo costruendo una società alternativa.
Eccone un brano:
«L’esperienza del movimento delle donne kurde dimostra che per una significativa rivoluzione sociale i concetti di liberazione devono essere liberati dai parametri dello status quo. Ad esempio, il nazionalismo è un concetto patriarcale, connotato da un punto di vista di genere. Le sue premesse limitano le lotte per la giustizia. Allo stesso modo, l’idea di uno Stato-nazione perpetua l’oppressivo sistema egemonico dominante. Piuttosto che come adesione a questi concetti, la liberazione dovrebbe essere vista come una lotta senza fine, come ricerca per costruire una società etica, la solidarietà tra le comunità e la giustizia sociale. Quindi, anziché essere una questione di diritti che grava sulle donne, la liberazione delle donne e l’uguaglianza di tutti i generi diventano una questione di responsabilità che riguarda tutta la società, perché diventano metri di misura per definire l’etica e la libertà della società».