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Dopo Minniti, Salvini… nulla di nuovo sotto il sole

Ora che la tregua per formare il governo si è conclusa e Salvini ha dato un cenno sfoggiando il giubbetto d’ordinanza di CasaPound, sono ricominciate anche le aggressioni neofasciste a Roma, a Milano, a Genova, a Bolzano

Nonostante la loro irrilevanza e i loro flop elettorali, i neofascisti servono ai ceti dirigenti di ogni colore per ridefinire lo spazio pubblico in chiave di maggior autoritarismo e sfruttamento.

E di concerto le Questure rispolverano denunce e provvedimenti vecchi e nuovi contro le mobilitazioni antifasciste con il solito uso artificioso e vendicativo delle leggi. Vedi ad esempio qui e qui e qui

Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Non c’è nessun “cambiamento”, ma solo un ciclo indefinitamente ripetuto di violenze disciplinari. È la solita violenza di Stato che pone e conserva il “diritto” e fa trasparire l’origine arcaica e tutt’altro che “civile” dei suoi ordinamenti e del suo potere.

Nulla di nuovo sotto il sole. Dopo Minniti, Salvini. Condoni e sgravi fiscali per i ceti più ricchi, e nulla invece per la folla degli esclusi, se non sfruttamento, sfratti, voucher, espulsioni, ruspe, razzismo e fascismo…

Ora e sempre resistenza!

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In ricordo di Tarzan, che oggi avrebbe 36 anni…

Al confine tra il Belgio e la Francia pochi giorni fa la polizia belga ha aperto il fuoco su un furgone di migranti curdi uccidendo una bambina di 2 anni e cercando poi di insabbiare le indagini. Non sono pochi i bambini e ragazzi uccisi dalla violenza delle polizie europee. Ecco una vecchia storia, per non dimenticare un ragazzino di 11 anni che oggi ne avrebbe 36…

A 25 anni dalla morte misteriosa – ma neanche tanto – di Tarzan
di Gianni Sartori

Ci sono storie che uno magari preferirebbe rimuovere, seppellire. Eppure – di tanto in tanto – alcuni nomi tornano fatalmente alla mente:

Sara Gesses, Paolo Floriani, Soledad Rosas… per esempio.

Oppure “Tarzan”… ve ne parlo per non dimenticare.

Il 23 settembre 1993 Tarzan Sulic, bambino «zingaro» di 11 (undici!) anni moriva nella caserma di Ponte Brenta (Padova) per un colpo della beretta 92s in dotazione al carabiniere Valentino Zantoni.

Lo stesso ha ferito, quasi mortalmente trapassandola al torace, la cuginetta Mijra.

Su questa morte, definita «omicidio di stato» da radio Sherwood (PD), all’epoca si era cercato di stendere un velo poco pietoso, il velo di una «copertura» istituzionale della verità in cui «magistrato, giornali, TV e colonnelli dell’arma hanno giocato il loro ruolo». Questo sosteneva il Comitato di controinchiesta che a Padova si era mosso con impegno e determinazione per mantenere aperta l’attenzione su questo gravissimo episodio.

Al Comitato avevano aderito decine di gruppi, associazioni, singoli che avevano partecipato alla realizzazione di un video per raccogliere gli elementi della controinchiesta.

Il Comitato aveva messo in discussione la versione ufficiale, quella data per buona dal P.M. dottor Cappellari secondo cui un bambino di 11 anni sarebbe stato in grado di disarmare un ex parà nello spazio di 70 cm e poi, lottando con il carabiniere alto 1.90, caricare la pistola e spararsi addosso.

«Attualmente – scriveva all’inizio del 1994 il Comitato – il carabiniere in questione è stato sospeso e trasferito, unicamente a sua tutela, non è ufficialmente ancora indagato, mentre la famiglia dei due bambini nomadi ha dovuto spostarsi di molti chilometri, viste le pesanti attenzioni dei tutori dell’ordine».

Ma gli aderenti al Comitato erano molto critici anche con la stampa che avrebbe «letteralmente banchettato sulla storia del “piccolo ladro”».

Delusione soprattutto nei confronti degli articoli dell’Unità che non si era fatta scrupolo di usare epiteti puramente spettacolari (come «Tarzan di nome e di fatto») che convalidavano, dandola per scontata, la versione di giudici e carabinieri. Dato che in proposito erano sorti equivoci, colgo l’occasione per dichiarare che il sottoscritto non aveva nessuna parentela né tanto meno affinità ideologica con il corrispondente padovano dell’organo dell’allora PDS, Michele Sartori.

Invece quelli del Comitato si battevano per ristabilire la verità, perché «dietro a questa tragedia c’è una ben precisa cultura dominante, quella del razzismo, pianificato con leggi e coperture». Come nel caso per tanti versi analogo di Paolo Floriani (Vicenza, 1987), il comportamento di polizia e carabinieri nei confronti di «zingari» e immigrati rivelava di essere solo uno degli effetti di questa «cultura» diffusa. Alcuni esponenti del Comitato mi avevano dichiarato che in base ai dati da loro raccolti «i due bambini sono stati chiusi in cella e violentemente percossi».

Inoltre «le macchie di sangue, i fori sui corpi dei bambini, la perizia balistica, rivelavano che il colpo va dall’alto verso il basso». E ancora: «Quanto alle tracce di polvere sulle mani di Tarzan (secondo la perizia del guanto di paraffina, n.d.a.) possono significare che ha tentato di proteggersi il viso al momento dello sparo».

Un altro elemento prodotto dalla controinchiesta era che la pistola (una 92s) è dotata di più sicure; per essere caricata con il colpo in canna ha bisogno di una pressione sul carrello di oltre sette chili e per premere il grilletto, coperto da sicura, ce ne vogliono più di cinque. Inoltre, come poteva scorrere il carrello se (stando alle dichiarazioni dei carabinieri) il bambino impugnava l’arma almeno da una parte? E chi mai sarà stata la persona che si era presentata all’ospedale pretendendo la consegna del proiettile estratto dal corpo di Mijra? Tutto questo, oltre a smontare la versione ufficiale, alimentava dubbi inquietanti. Se il carabiniere voleva solo intimidire il bimbo, perché oltre ad estrarre la pistola e puntarla addosso a Tarzan, ha anche messo il colpo in canna, togliendo tutte le sicure?

Grazie all’opera del Comitato era anche sembrato che la Procura (dopo aver dichiarato che la versione dell’unica testimone, la bambina – secondo la quale il carabiniere avrebbe sparato a Tarzan – era «inattendibile») avesse avuto l’intenzione di far marcia indietro.

Addirittura si era parlato di una possibile incriminazione del carabiniere per «omicidio preterintenzionale». Fonti accreditate spiegavano questo cambiamento di rotta con nuove deposizioni rese dal militare. Avrebbe riconosciuto che al momento dello sparo l’arma si trovava saldamente impugnata nelle sue mani. «Qualora tutto questo dovesse essere confermato – dichiarava il Comitato di controinchiesta – prende corpo una realtà atroce che va anche al di là delle ipotesi da noi formulate».

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Untori

Oggi il ritorno di una diffusa cultura razzista in Italia non deve far dimenticare la sua lunga storia che affonda le radici nel formarsi degli stati moderni. Nell’ottobre del 1884, a Giovanni Verga fu chiesto di scrivere qualche riga per una pubblicazione di beneficenza in favore degli «italiani danneggiati dal colera». E raccontò una delle tante stragi di zingari, dovute alla credenza che spargessero malattie ed epidemie. Vi ricorda qualcosa? Ad esempio qui e qui

UNTORI

In questa pubblicazione ispirata dalla carità, racconterò uno dei tristi episodî di un’altra epoca triste, in cui la superstizione e la sventura avevano spento la carità e l’umanità insieme.

Il colèra infieriva tutt’intorno, e col colèra la fame. La povera gente che non lavorava più aspettava ansiosa e sospettosa sugli usci delle povere case. Un dì sull’imbrunire si vide arrivare in fondo alla lunga via deserta che menava al villaggio un convoglio strano. Era una famigliuola di zingari; l’uomo faceva il calderaio; la moglie diceva la buona ventura; la figlia, una bruna superba, portava attaccato al petto già vizzo a 18 anni un bambino. Dei suoi 18 anni non aveva più che dei grandi occhi neri che le illuminavano il viso. Tutta la loro casa li seguiva in un carretto sconquassato, coperto da una tenda in brandelli, che veniva avanti traballando, tirato da un somarello macilento. Siccome la popolazione s’era commossa e minacciava al loro apparire, così il sindaco accorse colle guardie, armate sino ai denti, per scacciare quei poveri vagabondi. Essi dissero che venivano da lontano, che non ne potevano più. E allora per non toccarli, per timore d’accostarsi, non li menarono in prigione, li lasciarono lì, nel campo della fiera, guardati a vista come bestie pericolose. Così ramingavano da otto giorni, da un paese all’altro, mangiati dal sole e dalla fame. Il colèra non li voleva neppur esso: cosa che aumentava i sospetti.

Calò una bella sera d’autunno su tutte quelle miserie. Verso mezzanotte gli uomini di guardia videro l’uomo che si era insinuato carponi sino alle prime case del villaggio, e razzolava nel mondezzaio. Colà l’uccisero di una schioppettata, con un torsolo di cavolo ancora in pugno, e il petto della camicia gonfio di bucce e di frutta marcie. A quello scoppio, a quel sussulto la marmaglia sorse tutta spaventata, urlando vendetta, e irruppe feroce su quei miseri. La vecchia fu raggiunta sul limite del campo. La giovinetta dinanzi alla carretta, coi grand’occhi pazzi di terrore, alzava le braccia disperate per farne schermo alla sua creatura, mentre le scuri luccicavano.

Nel mucchio di cenci del pagliericcio gli assassini asserirono poi di aver trovato il veleno degli untori, per far tacere il rimorso di quegli occhi sbarrati che luccicavano sempre nelle notti insonni.

Villa Conti, 18 settembre 1884.

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[BO] Ancora «criminali bianchi» in città

Fra ieri e oggi, 10 e 11 maggio, vi sono stati diversi avvistamenti di neonazisti in diverse zone della città (Piazza Maggiore, Via Caduti di Cefalonia, via del Pratello e via Irnerio) arrivati a Bologna quasi sicuramente per l’ennesimo «White Kriminal Party» che si terrà a Bologna il 12 maggio.

Vi si esibiranno gruppi come i «Legittima Offesa» e i «Brutal Attack» che mettono in musica odio e fascismo e vi sarà il solito pubblico di «criminali bianchi» in gita.

Invitiamo tutte e tutti a stare all’erta.

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Un ricordo di Giuseppe Sartori, partigiano e custode della memoria

A QUATTRO ANNI DALLA SCOMPARSA, UN RICORDO DI GIUSEPPE SARTORI, PARTIGIANO E CUSTODE DELLA MEMORIA
di Gianni Sartori

Ormai da quattro anni il partigiano Giuseppe Sartori (“Beppino”, una lontana parentela con chi scrive) non è più presente alla tradizionale cerimonia di Pederiva di Grancona in memoria delle sette giovani vittime brutalmente assassinate dai fascisti (presumibilmente legati alla famigerata “Banda Carità”) nella “sera del Corpus Domini” (8 giugno 1944). Continued…

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Niente Fantastico per CasaPound, solo Fusaro…

Finalmente, l’ampolloso Diego Fusaro rivolgerà le sue ciance ipnotiche a un pubblico di «fascisti del terzo millennio».

Infatti, il Fusaro ha annunciato che terrà un predicozzo settimanale sull’organo ufficiale di CasaPound, «Il Primato Nazionale», per combattere le forze mondialiste del gran complotto finanziario, ovverossia per ribadire il «prima gli italiani» del sovranismo nazionalista.

Purtroppo, i dirigenti di CasaPound non hanno potuto presentare Fantastico in tivù, e hanno dovuto accontentarsi del filosofo prediletto dei caporali e dei padroncini italici, quelli che non seguono la «legge del cuore» come direbbe lo Hegel, ma solo il crudo realismo del loro irrisorio profitto.

Non che ce ne fosse bisogno, ma è un altro episodio che rende evidente dove vadano a finire le ambigue interpretazioni mitologiche e folkloristiche del marxismo in chiave di antiamericanismo patriottico. Vanno a finire in bocca al sistema che, nella sua scatola degli attrezzi, le ripone vicino al neofascismo…

Allievo spirituale del rossobruno Costanzo Preve, il trentacinquenne Diego Fusaro ha fatto una rapida carriera in un mondo universitario tra i più clientelari al mondo, senza avere nulla di nuovo da dire. E, guarda caso, aveva cominciato nel 2009 con una borsa di dottorato e poi un posto da ricercatore presso l’Università privata Vita-Salute San Raffaele in Via Ogliettina a Milano, fondata da don Verzé amicissimo di Silvio Berlusconi e finanziata dall’imprenditoria milanese. Insomma, un ambiente rivoluzionario

Non sorprende allora che la lettura di Marx data da Fusaro prescinda da ogni analisi di tipo economico e si limiti a rivestire di un lessico pomposo i più logori luoghi comuni dell’idiozia benpensante. Né può sorprendere che questa falsificazione del marxismo venga diffusa da radio, tivù, rotocalchi, grande case editrici.

Senza una concreta analisi economica dei rapporti di produzione, il marxismo è infatti facilmente trasformabile in fascismo e normalizzazione. Basti un solo esempio dell’illogicità fascisteggiante del Fusaro-pensiero:

«L’ideologia gender disgiunge la sessualità dalla funzione procreativa e contrabbanda il nuovo mito omosessualista, transgenderista e post-familiare come paradigma glamour per le masse precarizzate e indotte all’abbandono del modello familiare borghese e proletario mediante riti di normalizzazione post-moderna (gay pride, sfilate arcobaleno, Pussy Riot)».

Notate il «modello familiare borghese e proletario», ossia l’interclassismo autoritario di ogni fascismo. Come sorprendersi che il Fusaro possa parlare bene del russo Putino, del siriano Assadonio e di tutti i tirannelli antimondialisti di questo mondo? Come sorprendersi che trovi ospitalità su siti pseudomarxisti come «Marx21» per i quali Marx stesso rivoltàsi nella sua tomba a Highgate forse più che per il recente film Il giovane Marx?

Questa gente la lasceremmo volentieri tutta a CasaPound e a chi fa il tifo per il padronato italico…

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Primo maggio 2008: Nicola Tommasoli viene ucciso a calci da un gruppo di neofascisti

Erano le 2.50 del primo maggio del 2008 quando a Verona venne massacrato a pugni e calci Nicola Tommasoli, dieci anni fa. Aveva 28 anni, oggi ne avrebbe 38. Ma quella notte per le strade di Verona si aggirava un branco di giovani picchiatori neofascisti. Cinque ragazzi, tutti tra i 18 e i 20 anni, militanti della destra radicale, in cerca di persone che avessero un modo di vestire o di pensare diverso dal loro.

Tutti i giornali parlarono, come al solito, di una «rissa». «È stato aggredito per aver negato una sigaretta», fu la versione ufficiale diffusa mentre Nicola moriva, dopo 72 ore di agonia, per l’emorragia cerebrale susseguita al pestaggio.

Ma non era la prima aggressione neofascista a Verona. Anzi, era da anni che gruppi di squadristi spadroneggiavano intimidendo, minacciando e malmenando giovani che a loro parevano malvestiti o anticonformisti o felici. E il sindaco Flavio Tosi minimizzava sempre, parlando di «risse» ed «episodi occasionali».

Mentre Nicola moriva, vennero fermate cinque persone accusate di averlo picchiato e ucciso: Raffaele Dalle Donne, il «Raffa», 19enne; Guglielmo Corsi detto «il biondo», 19enne; Andrea Vesentini, 20enne; Federico Perini, detto il «Peri» e Nicolò Veneri, il «Tarabuio». Questi ultimi due avevano tentato di scappare a Londra. Alcuni erano militanti di Forza Nuova che all’indomani degli arresti, secondo il solito copione, si affrettò a disconoscerli e li liquidò come «riempi-lista».

Ora, dopo tre processi d’appello, dopo menzogne, cavilli, montaturesofismi e assoluzioni, gli ultimi due picchiatori di quella sera hanno fatto ricorso in Cassazione. Intanto Verona è rimasta indifferente e i media preferiscono trascurare tutto quello che ha che fare con la violenza neofascista.

Resta una lapide in Corticella Leoni, dettata dalla madre: «Qui il 1° maggio 2008 è stato strappato alla sua giovane vita Nicola Tommasoli. Il suo ricordo sia per tutti un richiamo ai valori di rispetto della vita umana, di tolleranza e convivenza civile il cui smarrimento fu causa della sua scomparsa».

Un rispetto della vita umana sempre più incerto ed evanescente.

Contro ogni violenza! Contro ogni fascismo!

Sulla saldatura, così attuale, tra neofascismo, leghismo e cultura da stadio leggi anche Verona, dove comanda l’estrema destra di Giulia Siviero.

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Neonazisti & Polizia

In Grecia, durante il processo a 69 esponenti del partito neonazista Alba Dorata accusati di avere promosso violenze razziste e omicidi politici, sono emerse altre prove di uno stretto legame tra squadristi e polizia.

Una serie di telefonate e scambi di SMS ha rivelato un coordinamento tra i militanti di Alba Dorata e segmenti della polizia greca, tra cui anche unità antiterrorismo e antisommossa.

Queste telefonate testimoniano, fra l’altro, comunicazioni dettagliate riguardanti l’assassinio del rapper antifascista Pàvlos Fìssas, accoltellato il 18 settembre 2013 dal neonazista Giorgos Roupakias. Più dettagli su «Libération».

Non è un episodio isolato, ma forse l’effetto di una strategia.

Basti dire che, durante il G8 di Genova, i poliziotti torturatori di Bolzaneto cantavano «Faccetta nera» e scandivano a suon di manganellate «un due tre, viva Pinochet, quattro cinque sei, a morte gli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove».

In tutta Europa, da decenni, le forze dell’ordine sono largamente infiltrate da elementi di estrema destra.

Né i «sinceri democratici» hanno mai chiesto un’epurazione delle forze di polizia da neofascisti e neonazisti. Anzi, i torturatori e chi li ha diretti sono stati tutti premiati con brillanti carriere ai vertici della polizia…

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Pogrom neonazista contro un campo rom alla periferia di Kiev

Un pogrom in piena regola quello consumatosi appena fuori Kiev la notte tra il 20 e il 21 aprile. Il famigerato gruppo neonazista ucraino S14 ha scelto l’anniversario della nascita di Adolf Hitler per penetrare dentro un campo Rom sulla collina di Lysa Hora (Monte Calvo) e terrorizzare i suoi abitanti.

I criminali, armati di pistole, spranghe, coltelli, gas urticanti hanno messo a sacco il campo, bruciato tende e roulotte, ferito uomini, donne e bambini. Alcune persone della comunità sono state ricoverate in ospedale, tra cui 4 bambini, con profonde ferite procurate da armi da taglio. Sono stati esplosi anche alcuni colpi di arma da fuoco, fortunatamente non andati a segno.

S14 ha persino rivendicato l’azione sulla sua pagina Facebook e ha promesso altre azioni dimostrative per la prossima settimana contro «gay, femministe e militanti di sinistra». La banda, che si richiama alle gesta del leader fascista Stepan Bandera durante la Seconda guerra mondiale, non è purtroppo nuova a simili azioni. S14 ha al suo attivo una lunga scia di assalti contro discoteche Lgbt, associazioni ebraiche e dei diritti umani. Leggi tutto sul “Manifesto”.

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Ma davvero Putin e Assad lottano per la pace? e il Rojava è un’operazione del Pentagono!?

Sul palco del Pratello R’esiste, lo scorso 25 aprile si sono avvicendati interventi e discorsi diversi per declinare la Resistenza e la Liberazione in modi molteplici e attuali. Fra questi, anche l’intervento di un attivista di Marx21 che ha equiparato la Resistenza partigiana all’eroica lotta “antimperialista” di Putin e di Assad, dicendo che la Russia alleata alla Siria è l’unica salvezza per la pace nel mondo… (qui al min. 2.10).

Inoltre, l’intervento propagandistico ha pubblicizzato il sito web di Marx21 in cui si può leggere che la rivoluzione del Rojava è un’ingegnosa operazione del Pentagono.

Mentre i nostri compagni della Brigata internazionale combattono e muoiono in Rojava, ci tocca sentire discorsi che farebbero rivoltare anche Marx nella sua tomba a Highgate poiché propongono un’ambigua interpretazione mitologica e folkloristica del comunismo in chiave di antiamericanismo patriottico.

Negli ultimi anni, mentre l’Europa e la NATO hanno fornito armamenti e sovvenzioni contribuendo a instaurare in Ucraina un governo di estrema destra, la politica estera di Putin ha sponsorizzato invece i movimenti europei neonazisti e ultranazionalisti progettando di rendere pan per focaccia. Così i venti di guerra fra imperialismi contrapposti hanno ridato terreno, a poco a poco, alle radici nere dell’Europa.

Non è un mistero che, oggi, molti partiti dell’estrema destra europea considerino Putin il caposaldo di un movimento paneuropeo capace di contrastare l’egemonia statunitense e l’economia neoliberista riproponendo le fandonie autoritarie della Nazione, dell’Identità, della Sovranità e della Tradizione.

Anche a Bologna vi sono frange di comunismo “nazionale” e “costituzionale” che rivendicano la “sovranità” anziché la rivoluzione sociale, la “patria”e i “confini” anziché l’internazionalismo dal basso, i “grandi uomini” anziché le masse… (vedi qui e qui).

Tutto questo, a nostro giudizio, ha ben pochi rapporti con l’insurrezione popolare e libertaria della Resistenza!

Vedi al riguardo anche La Siria e l’anti-imperialismo degli idioti, traduzione in italiano di The ‘Anti-Imperialism’ of Idiots.

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