Non solo in Italia, ma anche in Europa gli incroci e le complicità tra estrema destra e forze di polizia hanno costituito un elemento cardine nelle strategie repressive dello Stato. Non può quindi sorprendere che le istituzioni cerchino di nascondere o di far dimenticare le loro responsabilità in crimini nazifascisti o neofascisti: dall’«armadio della vergogna» ai tanti «armadi delle scope» di Stato. A questa lunga storia giudiziaria di reticenze, menzogne, favoritismi, insabbiamenti, depistaggi, archiviazioni a beneficio di fascisti e neofascisti, oggi si può aggiungere anche il caso emblematico di Pierre Goldman che è ritornato d’attualità in Francia dopo che uno dei presunti assassini, protetto dall’anonimato e dalla prescrizione del reato, ha rivendicato in tivù il delitto. Un po’ come il neofascista pluriomicida che assassinò Alceste Campanile nel 1975: ha confessato dopo più di 20 anni aspettando che l’omicidio cadesse in prescrizione e ottenendo così il proscioglimento.
IL RISVEGLIO DELL’AFFAIRE GOLDMAN
Trent’anni dopo la morte del militante di estrema sinistra, un «nazionalista» rivendica la sua morte su Canal+
Fonte: “Libération”, 27 gennaio 2010
di Karl Laske
trad. it. Redcat&Gioo
Non se ne conosce ancora il nome, né i motivi che l’hanno spinto a parlare. Con il viso celato, l’uomo assicura di essere stato uno degli assassini di Pierre Goldman, ex-rapinatore e scrittore di estrema sinistra, caduto a Parigi il 20 settembre 1979. È per questo venerdì, su Canal+: l’assassinio di Pierre Goldman sarà di nuovo rivendicato 30 anni dopo i fatti [Comment j’ai tué Pierre Goldman, regia di Michel Despratx, produzione “Les film du Bouloi”, diffuso su Canal+ il 29 gennaio 2010]. Voce rauca, vocabolario minimale, l’assassino si presenta come «un nazionalista francese». «Non è stata un’azione di mercenari, né di sicari; questa azione s’iscrive in una battaglia che per noi è politica», spiega. Era in guerra contro il comunismo, e «quando si fa la guerra, si è obbligati ad uccidere», assicura. L’omicida sostiene di aver preso ordini da Pierre Debizet, ex-capo (deceduto) del Service d’Action Civique (SAC), la polizia parallela del movimento gaullista, che avrebbe informato la presidenza della Repubblica, sotto Valery Giscard D’Estaing, dell’azione.
«RIQUALIFICAZIONE». Il giorno della morte, un comunicato firmato «Honneur de la police» rivendicò l’attentato, denunciando il «lassismo» della giustizia e l’assoluzione di Goldman, nel maggio del 1976, per una rapina realizzata in una farmacia parigina. Un poliziotto ferito e due farmacisti rimasero uccisi. «All’epoca, non ho creduto nemmeno per un istante alla rivendicazione di “Honneur de la police”, commenta Georges Kiejman, ex-avvocato di Goldman. «Mi sembrava strano che utilizzassero qualcosa che avrebbe condotto a loro. L’inchiesta giudiziaria non ha portato a nulla». Il giorno dopo l’assassinio, Kiejman giudicava che Goldman era stato vittima «di un atto di terrorismo fascista che non ha niente a che fare, né da vicino né da lontano, con un atto poliziesco». Malgrado la prescrizione dei fatti in materia criminale – dieci anni dopo l’ultimo atto d’istruttoria – la confessione di un uomo presentatosi come uno degli assassini potrebbe avere un seguito giudiziario. In particolare se si considerasse l’ipotesi di riqualificare i fatti come atti di terrorismo – la prescrizione in materia è di 30 anni. «L’ultimo atto del processo è datato 1985, una riqualificazione porterebbe la prescrizione nel 2015, e nulla impedirebbe a un giudice di riqualificare i fatti», stima Francis Chouraqui, amico e anch’egli avvocato di Goldman. «Alla fine, i fatti sono rivendicati come tali in questo film. C’è un personaggio che ci spiega di essere stato una sorta di terrorista, che trovava normale uccidere altre persone».
«È stata fatta un’inchiesta molto approfondita sull’estrema destra che non ha dato nessun risultato», ricorda il commissario Marcel Leclerc, numero due, allora, della Brigade Anti-Criminelle (BAC), incaricato dell’inchiesta. «Era circolata fin dall’inizio la notizia che Goldman fosse implicato in una rete di approvvigionamento di armi dell’ETA, ma non reggeva».
«PER AMICIZIA». Secondo l’assassino, il commando era composto da quattro persone, due in appostamento e due sicari, tutti provenienti dall’estrema destra radicale. Il killer, che oggi assicura di aver «finito» Goldman con una calibro 38, rivela anche di essere stato, «per amicizia», l’agente di collegamento con il neo-fascista italiano Stefano Delle Chiaie, sotto processo in Italia per diversi attentati omicidi.
Ma la troupe del film avrebbe anche identificato il capo del commando come un ispettore della Direction sur la surveillance du territoire (DST), e una delle “civette” come un poliziotto del Renseignements généraux [la polizia politica francese, corrispondente alla Digos italiana] della Prefettura di Polizia, entrambi al servizio dell’amministrazione all’epoca dei fatti. «Goldman non è mai stato un obiettivo della DST», spiega a Libération Jean Baklouti, vecchio capo divisione del contro-spionaggio. «Noi lo conoscevamo, ne seguivamo le derive». Jean Baklouti, che esclude che un «quadro della DST» abbia potuto essere implicato nell’assassinio, non scarta l’ipotesi che un ispettore, impegnato nell’estrema destra e cacciato dal servizio nel 1982, abbia potuto «agire a titolo personale».
Sempre secondo il killer anonimo, Pierre Debizet, il capo del Service d’Action Civique (SAC), avrebbe spiegato ai membri del commando che non accettava l’assoluzione di Goldman nel processo della farmacia, e che aveva «rivendicato l’azione in alto loco», mettendone al corrente Victor Chapot, consigliere del presidente Giscard D’Estaing. Essendo morti sia Debizet che Chapot, queste accuse sembrano inverificabili. Contattato da Libération, il gabinetto dell’ex-presidente ha fatto sapere che Giscard D’Estaing non aveva «mai sentito parlare di questa questione prima ch’essa uscisse sui giornali».
TRAFFICO D’ARMI. L’ipotesi del coinvolgimento di assassini dell’estrema destra non è nuova. Nel luglio del 1981, Libération aveva rilanciato l’indagine segnalando «la pista Maione». Jean-Pierre Maione-Libaude, malavitoso, informatore della polizia, era appena stato arrestato per traffico di armi. «Nell’ambiente, Maione si era vantato di aver accoppato Goldman», ricorda il giornalista Gilles Millet. Ex-membro dell’OAS, costui aveva lavorato per Aginter Press, una centrale dell’estrema destra in Portogallo. Maione era indirettamente legato a Debizet, attraverso suo cognato, Pierre Langlois, responsabile dei Renseignements Généraux [la polizia politica] che lo manipolava. Mostrato ai testimoni dell’omicidio Goldman nel 1981, Maione non viene riconosciuto. La pista si ferma con la sua esecuzione, un anno dopo su una strada di campagna.
In seguito, un nuovo testimone si fece avanti: Lucien Aimé Blanc, ex-capo in pensione dell’Office Central de Repression du Banditisme (OCRB). Negli anni ’70 Maione, di cui si serviva come informatore, gli aveva confessato il proprio coinvolgimento nell’omicidio. «Un giorno, la polizia aveva ritrovato uno stock di armi in un appartamento intestato a Maione», spiega il dirigente di polizia. «Io l’avevo avvisato e lui mi disse: “Non ti preoccupare: la storia di Goldman, io ci sono in mezzo, li tengo”. Forse aveva fatto solo dei preparativi». Dalle sue conversazioni con l’informatore, l’ex poliziotto ha maturato il sospetto che egli fosse coinvolto anche nell’assassinio dell’attivista terzomondista Henri Curiel nel 1978.
La nuova testimonianza da parte di uno dei presunti killer di Goldman, è di natura tale da chiarire anche altri attentati? «Nel nostro gruppo c’era qualcuno che partecipava per la prima volta ad un’operazione di quel tipo», si lascia sfuggire, facendo intravedere l’esistenza di altri omicidi commessi almeno da alcuni dei componenti di quello stesso commando. La riapertura dell’inchiesta potrebbe portare alla luce l’attività di uno «squadrone della morte» à la française.