Pier Paolo Pasolini fu presumibilmente ucciso nel 1975 per eliminare la sua dettagliata indagine sul «nuovo fascismo», negli anni in cui si stavano organizzando le stragi nere e la «strategia della tensione». Ora quel capitolo sottratto, o qualcosa che gli somiglia, sarebbe in mano a Marcello Dell’Utri. «Anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince», scriveva Walter Benjamin nel 1940. Ed è vero anche oggi. Riproduciamo dal «Manifesto» l’essenziale di un articolo sul capitolo «ritrovato».
Ladri di «Petrolio»
di Gianni D’Elia
Uno straccio di verità: sono ormai 35 anni che sul delitto di Pasolini in molti la chiediamo, da Gianni Borgna a Carlo Lucarelli, a Carla Benedetti a tanti altri. Ora arriva la notizia che qualcuno ha messo le mani sopra un capitolo scomparso di Petrolio, con un lancio d’agenzia in cui il sensazionale e il superficiale ci sgomentano, ad aggiungere nuova nebbia al nebbione corrotto in cui siamo. E lo sgomento cresce di ora in ora, perché quel qualcuno che ha messo le mani su questo inedito del romanzo incompiuto di Pasolini si chiama Marcello Dell’Utri. Ossia qualcuno che è quanto più lontano da un antifascista come Pasolini si possa immaginare; e dico antifascista, perché per la denuncia del nuovo fascismo Pasolini è stato assassinato il 2 novembre del 1975, schiacciato come un cane all’Idroscalo di Ostia. Il nuovo fascismo era per Pasolini il nuovo potere economico del consumismo e del trasformismo politico, che dal delitto di Enrico Mattei del 1962 arriva alle stragi del «doppio Stato», passando per la loggia P2 fondata da Eugenio Cefis, e lasciata per paura al duo Gelli-Ortolani, fino a una delle società nascoste della Edilnord Centri Residenziali (già Edilnord s.a.s. di Silvio Berlusconi & c.), con sede a Lugano, dell’avvocato Umberto Previti, padre di Cesare, cui hanno dato il pittoresco nome di Cefinvest. Un’eredità non dissimulata? Pasolini stava addosso a questa guerra del potere per il petrolio pubblico e privato, scriveva un romanzo complesso e dirompente, che se fosse uscito in quegli anni, in traduzione mondiale, avrebbe svelato l’economia politica delle stragi, che derivava da quel primo delitto fondativo del marcio italico che è l’attentato contro Mattei.
Vengono i brividi a sentire che il berlusconismo si è impossessato anche di questo reperto: «un dattiloscritto sui misteri dell’Eni, rubato dallo studio di Pasolini». Si tratta dunque di un oggetto di reato, per pura ammissione, che dunque non potrebbe essere esposto in nessuna mostra.