Nei giorni scorsi, tre attivisti del Tpo hanno ricevuto un avviso di fine indagini riguardante i fatti del 21 febbraio 2009 quando, durante un volantinaggio contro la presenza in quartiere dei neofascisti di CasaPound, furono aggrediti da alcuni «fascisti del terzo millennio» al grido di «Questo quartiere è nostro».
Secondo un copione consolidato, prima i neofascisti effettuano provocazioni violente e poi procedono con il consueto vittimismo accompagnato da denuncia perché, come prescrive il leader Gianluca Iannone, «ai fini della legge chi presenta prima la denuncia ha vinto» e «in guerra e in pace chi ha organizzazione vince».
Di fatto, non è davvero difficile capire quanto i neofascisti di CasaPound siano «vecchi dentro», con un po’ di cerone futurista sulla faccia ad uso e consumo di giornali e TV. Un’esile maschera di anticonformismo nasconde un’organizzazione gerarchica, ipercentralizzata, con doppi e tripli livelli, la paura degli infiltrati, la pianificazione meticolosa delle «azioni», il servizio d’ordine agli ordini del Gran Capo e dei caporioni locali.
L’8 febbraio 2009, tredici giorni prima dell’aggressione neofascista, si era tenuta la stessa iniziativa di volantinaggio itinerante nel quartiere Santo Stefano. Nel resoconto subito pubblicato sul blog dell’AAP si raccontava ingenuamente di una allegra «sosta al bar Miki Max di via Orfeo». E proprio in prossimità di quel tratto di via Orfeo, tredici giorni dopo, è scattata l’aggressione neofascista…
Oggi CasaPound rappresenta un fenomeno di cammuffamento non solo per veicolare messaggi xenofobi e l’apologia del fascismo storico, ma per attrarre «militi» disposti a farsi inquadrare in quella che il guru fasciofuturista Adinolfi ha chiamato la «minoranza squadrista» o «estremo centro alto».
Tutta la nostra solidarietà va a chi allora è stato aggredito dai neofascisti e oggi si trova invischiato nella loro strategia ingannevole di violenza occulta e vittimismo pubblico.
il Nodo sociale antifascista