Oggi la normalizzazione autoritaria del linguaggio passa ovunque secondo due linee diverse ma complementari:
A. Lo sfascio del linguaggio promosso dalla destra neofascista, fasciofuturista, postfascista, ecc., come nel romanzo 1984 di Orwell, in cui il Partito Unico fa risuonare ovunque gli slogan indiscutibili della «neolingua», che non deve più nominare la realtà, ma solo piegarsi al potere e distruggere ogni significato: «la guerra è pace», «la libertà è schiavitù», «l’ignoranza è forza».
B. La dura repressione giudiziaria della libertà di parola quando essa mette in dubbio la ridicola versione ufficiale di una società ordinata, equa, pacificata.
Ecco due storie simmetriche che possono illustrare questa tesi.
Nel consiglio regionale del Veneto, qualche giorno fa, si stavano per votare le «Norme in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio storico, politico e culturale dell’antifascismo e della Resistenza», già approvate all’unanimità dalla sesta commissione e con finanziamento infimo di 100mila euro.
Un atto di ordinaria amministrazione. Ma ha scatenato il fanatismo farsesco dell’assessore all’istruzione Elena Donazzan. L’ex di Alleanza Nazionale, il cui cuore palpita a destra fin dai tempi della giovinezza, ha infatti accusato tali «norme» di voler propagandare «una lettura di parte della storia», una lettura «che divide» e «ricorda il Nazionalsocialismo nel suo tentativo di rimuovere la cultura, di non dare la stessa dignità a tutti i protagonisti di quella che fu una guerra civile» [notate: ricorda il Nazismo nel non dare adeguato spazio culturale al… nazifascismo!].
Quindi, come racconta il Corriere, in un crescendo che l’ha vista partire dai ricordi di uno zio fascista in Russia per arrivare fino alle contestazioni durante la presentazione dei libri di Pansa, la Donazzan ha attaccato: «Sotto la bandiera dell’antifascismo militante sono caduti Marco Biagi e Sergio D’Antona…». In aula è scoppiata la bagarre, ma la Donazzan ha continuato imperterrita: «Arrivo anche alla costituzione… ». Urla e strepiti dai banchi dell’opposizione. «In nome dell’antifascismo militante…». Non si sentiva più nulla: «Questa è la tolleranza che è dovuta… ». Il presidente del consiglio regionale, sempre più forte: «Scusate, scusate, scusate…». Donazzan: «Questa è censura… censura profonda». Le norme sono state approvate con 52 voti a favore su 60.
Passiamo alla seconda storia. Due anni di prigione a un giovane operaio e ad altri suoi compagni solo per avere – forse – gridato uno slogan durante un corteo, una manciata di parole. In una manifestazione all’Aquila il 3 Giugno 2007 alcuni attivisti comunisti e anarchici avrebbero scandito lo slogan: «La fabbrica ci uccide / lo stato ci imprigiona / che cazzo ce ne frega / di Biagi e di D’Antona». La magistratura dell’Aquila ha decretato una condanna a ben due anni di carcere per «apologia di terrorismo», ma il PM ne aveva chiesti addirittura cinque. Si direbbe che la «libertà di espressione» sancita dalla Costituzione in Italia valga solo a senso unico. Leggi la lettera di Mattia del CPO Gramigna di Padova su Carmilla.