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Ricordi e smemoratezze

Nel 2004 i partiti di destra hanno istituito, per bilanciare la «Giornata della Memoria» (il 27 gennaio, in ricordo dello sterminio nazifascista di circa 6 milioni di ebrei), una mistificante «Giornata del Ricordo» (il 10 febbraio, in memoria dei presunti eccidi delle Foibe: 326 vittime accertate, 6.000 vittime ipotizzate senza concrete prove storiografiche).

Ma, per i mezzi comunicativi di distrazione di massa, l’accertamento dei fatti e il loro carattere problematico vanno sempre offuscati alla luce della Verità unica. Così, ecco un giornalista in erba del Master in Giornalismo dell’Alma Mater che esordisce così sul settimanale online «La Stefani»: «Una tragedia dimenticata, una pagina nera nella storia del Paese. 300.000 esuli, 10.000 infoibati, una sola verità. Taciuta per troppo tempo dalla politica».

Già, «una sola verità». Per quasi dieci anni il «ricordo» istituzionale delle Foibe non ha voluto dire pietà verso i morti, ma una strumentalizzazione volta soltanto a rivalutare storicamente l’esperienza della dittatura fascista, screditando la Resistenza partigiana, mettendo sullo stesso piano nazifascisti e antifascisti, sfruttando tragici episodi del passato per manipolare la storia a proprio uso e consumo.

Isolato dal suo contesto storico qualunque episodio perde di significato ed è facile manipolarlo a piacimento. L’occupazione fascista della Jugoslavia comportò una feroce persecuzione razziale delle genti slave (considerate «razza inferiore»), l’italianizzazione forzata, il divieto di parlare la propria lingua, la soppressione di tutte le scuole croate e slovene, il sequestro (spesso reso superfluo dalla devastazione dei locali) di circa 4.000 sedi di associazioni culturali slave. Già nel 1920 Benito Mussolini affermava: «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino […]: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 500 italiani». Tra il 1941 e il 1945 l’occupazione nazifascista produsse la distruzione di decine di migliaia di abitazioni, la morte di circa 45.000 civili sloveni e croati e l’arresto e l’internamento di altri 95.000.

Quest’anno la «Giornata del Ricordo» è passata in sordina. Solo i gruppuscoli neofascisti lo hanno celebrato con la solita minuscola pantomima e ovunque la loro apologia del Fascismo è stata sbugiardata e contestata: a Bologna, Parma, Forlì… È un fatto che la politica ufficiale e i media di regime, dopo anni di propaganda e cordoglio, abbiano dismesso quasi completamente un tema che non ha mai avuto alcuna presa sociale. Del resto, oggi la crisi della politica istituzionale apre grandi spazi ai politicanti capaci di sfruttare il momento: e per questo bisogna liberarsi dei simboli identitari, delle celtiche, della xenofobia conclamata, e presentarsi con la faccia pulita e «moderna», meritocratici ma solidali, gggiovani ma gerarchici, femministi ma familisti, patriottici ma europeisti, perbenisti ma non troppo.

È il solito trasformismo italiano che mima le rivoluzioni per prevenirle o, se si vuole, è il Terzo Pollo.

Intanto, anche quest’anno la Comunità etiopica si appresta a celebrare il ricordo della strage compiuta dai fascisti italiani il 19 febbraio 1937 come rappresaglia per l’attentato condotto da patrioti etiopi contro il viceré fascista Rodolfo Graziani e alcuni gerarchi del suo seguito. Nei tre giorni successivi all’attentato furono massacrati non meno di 30.000 cittadini inermi nella sola capitale Addis Abeba. L’aggressione coloniale fascista è costata alla popolazione etiope 760.300 vittime. Un vero genocidio perpetrato anche con l’uso massiccio di armi chimiche contro i civili.

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