«I CIE sono un inferno», hanno dichiarato a più riprese i parlamentari del PD, vent’anni dopo averli voluti con la legge Napolitano-Turco. Così oggi c’è chi dice che a Bologna il CIE non riaprirà mai più. Ma non è affatto detto che sia così. Fra non molto, passata l’emozione per i morti nel Mediterraneo, la Prefettura potrebbe indire un nuovo bando per la gestione del centro dal 2014.
Certo è che il gruppo più attivo che si è mobilitato contro il CIE di Bologna, cioè contro «un inferno», è ora sotto processo a Bologna anche e soprattutto per quella lotta, con l’accusa di «associazione a delinquere con finalità eversiva». Qui il resoconto delle prime udienze e il calendario delle prossime.
Ma se davvero «i CIE sono un inferno», forse l’«associazione a delinquere con finalità eversiva» andrebbe attribuita a chi li ha voluti, costruiti, fatti funzionare, sovvertendo il diritto all’inviolabilità della libertà personale che figura tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 13) ed è stato formalmente garantito in Europa fin dall’Habeas corpus dell’anno 1215.
Non ci si può fidare della Politica e del linguaggio ipocrita del potere. Anche Cofferati aveva promesso in campagna elettorale di chiudere il CIE, ma una volta eletto aveva mandato le ruspe sulle baracche. Domani, quelle stesse persone che ora si cospargono il capo di cenere per gli orrori dei CIE, sono pronte a tornare a far affari rastrellando e imprigionando corpi «clandestini».
«No free man shall be imprisoned» (Magna Charta, 39)!