Nell’ultimo decennio la destra ha cercato di inventare capri espiatori per il crescente disagio sociale. Ha provato a manipolare la società attraverso il dominio dei media. Ha distribuito frottole e violenza. Ha inventato ogni possibile allarme securitario. Ha alimentato ogni possibile «battaglia fra poveri».
Oggi proprio questa prolungata spinta normativa, razzista e autoritaria lascia ampi spazi ai partiti di estrema destra che cercano di imporsi anche in Romagna e a Bologna con un rinnovato attivismo. Finora con scarso successo, ma con buone sovvenzioni e con la convinzione che la crisi dell’economia globalizzata possa aprire la via a un nazionalismo corporativo, gerarchico e fascistoide.
Certo i neonazisti godono dei più vari appoggi. Questa mattina centinaia di utenti vicentini e non solo, aprendo il loro profilo Facebook, hanno trovato una brutta sorpresa: il social network, infatti, ha censurato alcuni loro post per aver pubblicato nella propria bacheca foto-denuncia degli inquietanti messaggi postati da alcuni aderenti al gruppo neofascista di Forza Nuova.
Pur con le loro molteplici aderenze in alto, i neofascisti non conoscono però le buone maniere. Un gruppo di manifestanti di estrema destra ha respinto il tentativo di intervista di un giornalista di Servizio Pubblico colpendolo alla testa (qui il video). L’aggressore si chiama Salvatore Lezzi, ex picchiatore fascista, in buoni rapporti con forze dell’ordine e politici.
A livello legale hanno sempre una legione di avvocati e la simpatia della corte. A Cuneo tutti i 16 compagni inquisiti per gli scontri del 26 febbraio 2011, avvenuti per impedire l’inaugurazione di una sede di CasaPound, sono stati condannati a pene severe: dai 2 anni e mezzo di carcere alla sospensione condizionale.
A Verona un consigliere comunale, Marcello Ruffo, eletto in una lista civica collegata a quella di Flavio Tosi ed ex militante di Blocco Studentesco e CasaPound, ha querelato l’autore di una guida ai movimenti neofascisti del Veneto, tipo «Se li conosci li eviti».
Nel libro si legge infatti che il Blocco Studentesco di Ruffo era un «gruppo concentrato sul revisionismo storico e l’anticomunismo, coinvolto nelle indagini sull’omicidio Tommasoli e presente nell’ambiente più violento del neofascismo». Anche dire la verità può essere un reato penale quando la si scrive in forma di elenco: per il neofascista Ruffo, infatti, «quella pubblicazione è una sorta di lista di proscrizione».
A Urbino stesso copione. Un processo pretestuoso per ingiurie a Forza Nuova basato su uno striscione con scritto «Nuovi fascismi, vecchie merde» e per aver gridato «Merde picchiatori».
Già, in questo paese la verità, la resistenza e l’antifascismo sono reati, mentre la tortura, la deportazione e talora anche l’omicidio non lo sono.