Nel novembre del 1915 diversi libertari bolognesi, in gran parte giovani, fondano il gruppo anarchico Emilio Covelli, attivissimo contro la guerra. Fra questi, Attilio Diolaiti viene ritenuto dalla questura il più influente. A neanche diciannove anni è chiamato alle armi, non si presenta e il 7 settembre 1917 è denunciato al tribunale di guerra come disertore. Viene arrestato dai carabinieri a Baricella – dove è nato il 17 settembre 1898 – e il 10 ottobre condannato a tre anni di reclusione. Rinchiuso nel carcere di Savona, torna in libertà nel 1919 e riprende l’attività sovversiva durante il Biennio rosso. Il 21 ottobre 1920 è coinvolto nell’arresto in massa del consiglio generale dell’Usi e viene rilasciato circa due mesi dopo, anche se secondo la questura «professa gli stessi principi anarchici» e viene quindi «oculatamente vigilato».
Dal novembre del 1921 al luglio del 1922 risiede a Verona con l’incarico di segretario amministrativo della locale Camera del lavoro aderente all’Usi. Tornato in una Bologna ormai sottomessa al tallone delle camicie nere, non riesce a trovare lavoro e avvia autonomamente un negozietto da merciaio. Dalle fonti di polizia sembra per alcuni anni politicamente inoperoso ma, appena si trasferisce in centro, viene sottoposto ai vincoli dell’ammonizione: nell’agosto del 1927 è inviato al confino a Lipari in quanto «anarchico fervente e pericoloso».
A fine gennaio 1930 è nuovamente a Bologna, dove frequenta l’ex sindaco socialista Francesco Zanardi. Negli anni successivi viene ripetutamente arrestato e vessato dal regime.
Nel settembre 1943 come rappresentante dei militanti della città partecipa al convegno anarchico clandestino di Firenze del 5 settembre 1943 ed è tra gli organizzatori della 7° GAP bolognese.
Si trasferisce poi a Monterenzio dove costituisce un gruppo partigiano. Dopo alcuni atti di sabotaggio, tra i quali i tagli delle linee telegrafiche per interrompere i contatti tra Roma e Berlino, il gruppo riceve l’incarico di presentarsi per un’azione in Piazza Ravegnana (proprio sotto le due torri) la mattina del 25 marzo 1944 davanti a una bancarella di penne stilografiche. È una trappola, gestita da un infiltrato, tal Remo Naldi. Circondati dalla brigata nera, vengono arrestati sei componenti del gruppo: Edera De Giovanni, Egon Brass, Ettore Zaniboni, Enrico Foscardi, Ferdinando Grillini, Attilio Diolaiti. Dopo varie sevizie, nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile 1944 i sei vengono portati alla Certosa di Bologna e fucilati contro il muro, dove oggi li ricorda una targa.
Edera De Giovanni è considerata la prima partigiana caduta nella Resistenza bolognese; ad Attilio Diolaiti è stato riconosciuto il grado di capitano della 1° brigata Irma Bandiera, altra partigiana bolognese caduta. Alla prima commemorazione pubblica di Diolaiti, tenuta nella sede della Federazione anarchica Bolognese in via Lame nell’aprile 1946, aderiscono le associazioni antifasciste e i partiti della sinistra con un’unica assenza: il Partito comunista, impegnato a egemonizzare la memoria della stagione resistenziale.