Nell’«Internazionale» n. 24 dei primi di febbraio 2017 è uscito un interessante articolo leggibile qui alle pagine 88-95: Il reich dei supermanager di Raphaële Chappe e Ajay Singh Chaudhary. Vi si dimostra l’affinità storica fra neoliberismo e nazismo, che si va riproponendo oggi nel nostro presente in cui il neoliberismo è solo la premessa sfascista di regimi sempre più autoritari. Ecco un ritaglio dell’articolo:
Non bisogna essere particolarmente radicali per riconoscere la contraddizione fondamentale tra democrazia e capitalismo, o più precisamente tra democrazia e liberismo economico. Fin dai tempi di Aristotele si presumeva che gli stati democratici fossero quelli più inclini a ridistribuire i beni. È logico: se il potere è distribuito su una base ampia avvicinandosi grossomodo all’uguaglianza, allora lo Stato deciderà di esercitare almeno un controllo democratico sulla proprietà, se non di democratizzarla del tutto. Il fascismo e il neoliberismo – entrambi frutto di una crisi del capitale che chiede una risposta politica – danno due risposte diverse alla versione moderna di questo classico dilemma.
Nel 1933, in un incontro con gli imprenditori tedeschi, Hitler dichiarava che la democrazia (cioè il controllo parlamentare) era fondamentalmente incompatibile con un’economia capitalista di libero mercato: una verità che all’epoca era molto più comunemente accettata. Dopo il discorso di Hitler, Hermann Göring esponeva la tesi nazista in termini più espliciti: sostenete il partito nazista e la democrazia parlamentare morirà. E sparirà la minaccia alla libera impresa rappresentata da comunismo, socialismo, manodopera organizzata e princìpi fondamentali della democrazia stessa.