Né opportunisti né sprovveduti…
«In definitiva, Zola appare convinto che, mentre gli oppressori conoscono bene il loro tristo mestiere, gli oppressi sono o degli ambiziosi frustrati, indegni di qualsiasi stima, o degli animi nobili, ma troppo immaturi per saper abbattere la classe dominante e costruire una società nuova e giusta. Più che un “riformista”, è un pessimista. Il malcontento dei marxisti nei riguardi di Zola si spiega, anche se Engels da un lato, Lafargue dall’altro lo espressero in forma troppo frettolosa e contraddicendosi l’un l’altro, e nessuno dei due tenne conto che la denuncia antiborghese di Zola aveva pure un valore politico importante: lo capirono meglio gli innumerevoli lettori che Zola ebbe tra i proletari. Oggi, senza ridicole pretese di sostenere che Zola, col suo pessimismo, aveva visto più giusto dei marxisti, c’è da chiedersi se quel pessimismo non contenesse qualcosa di vero (io, con buona pace degli esaltatori dell’odierna “civiltà occidentale”, me lo chiedo con amarezza): poiché quello che si suol chiamare il fallimento delle previsioni marxiste non è dovuto a un giudizio troppo negativo, da parte di Marx e di Engels, sulla borghesia capitalistica – che è diventata sempre più disumana, alienante, anche culturalmente decaduta –, ma ad un’impossibilità dei proletari, tranne pochi momenti eroici ma fugaci, di superare il proprio stato di subalternità e di autogovernarsi».
Sebastiano Timpanaro, Introduzione a E. Zola, La fortuna dei Rougon, Milano, Garzanti, 1992, pp. XLIV-XLV.