Mentre si prepara una manifestazione in solidarietà del Rojava per sabato 16 febbraio a Roma, in tutto il mondo si solidarizza con la rivoluzione curda sotto attacco e si grida «Basta fascismo! Basta dittatura!». Riceviamo e condividiamo un intervento di Gianni Sartori.
CARA LEYLA, TI SCRIVO…
di Gianni Sartori
È dal giorno 8 novembre dell’anno scorso che la prigioniera politica Leyla Guven – deputata curda e militante femminista – è in sciopero della fame illimitato.
Fate bene i vostri conti e potrete rendervi conto di quanto ormai la sua stessa vita (per non parlare della salute e integrità fisica) sia a rischio.
La sua richiesta, finirla con l’isolamento totale (definito «crimine contro l’umanità») imposto all’esponente curdo Abdullah Ocalan, segregato sull’isola si Imrali.
Isolamento che «non viene imposto solamente a lui, ma all’intera società».
Da ogni parte del mondo altre donne – molte delle quali hanno conosciuto di persona il carcere, le persecuzioni del potere – le hanno scritto per esprimere vicinanza. Segnalate dai media soprattutto le lettere di Angela Davis – nota come scrittrice oltre che esponente storica delle lotte per i Diritti degli afro-americani – e della militante palestinese Leila Khaled.
Ricordava Angela Davis che «il maggior movimento di difesa delle donne in Turchia, il Congresso delle donne libere, fondato in Kurdistan, è stato dissolto con la forza e molte militanti sono state imprigionate. E chi aveva protestato contro i massacri di migliaia di Curdi per mano dell’esercito turco – dopo la rottura del processo di pace nel 2015 – è stato criminalizzato in vario modo. Coloro che tra noi, negli Stati Uniti, hanno protestato contro l’espansione del complesso penitenziario-industriale venivano incoraggiati nel corso degli anni dalle coraggiose azioni dei prigionieri politici curdi e in particolare dalle donne che hanno saputo resistere alle carceri di stile americano in Turchia». Aggiungendo che Leyla Guven è «una grande fonte di ispirazione per i popoli del mondo intero che credono nella pace, la giustizia e la liberazione. Mi unisco a tutti coloro che la sostengono e condanno le condizioni repressive della detenzione di Ocalan».
Leyla Khaled, in quanto esponente del Fronte popolare di liberazione della Palestina, ha sottolineato che «nelle prigioni turche e israeliane, le rivoluzionarie hanno avviato uno sciopero della fame per la libertà, la giustizia, per impedire al sistema al potere di spezzare la voce di quanto vogliono la democrazia».
Altri messaggi di solidarietà provenivano poi da donne di Paesi come Euskal Herria e l’Irlanda dove non sono mancati esempi di scioperi della fame condotti da prigionieri politici.
Lettera significativa quella di Nora Irma Morales de Cortinas, tra le fondatrici delle Madri di Plaza de Mayo, il movimento delle donne i cui figli erano «scomparsi» dopo essere stati sequestrati (decine di migliaia di desaparecidos) durante la dittatura militare in Argentina.
«Le madri di Plaza de Mayo Linea Fundadora – ha scritto – hanno più di 40 anni di resistenza alla dittatura. Per questo sappiamo bene che in questa lotta, si impegna la propria vita in molteplici modi. Noi sosteniamo che tale azione di lotta in diverse prigioni non rappresenta soltanto un gesto di dignità e un esempio, in un mondo ripiegato nell’indifferenza. Noi sosteniamo che riguarda ugualmente l’obiettivo della libertà di tutti i prigionieri politici».
Particolarmente significativo – dato che la scrivente si trova attualmente rinchiusa in un carcere iraniano – quanto ha detto Zeynab Jalalian, militante curda del Rojhelat (Kurdistan orientale, sotto amministrazione iraniana).
Nel 2008 era stata condannata alla pena capitale (in quanto «nemica di Dio»), in seguito modificata in ergastolo.
Nonostante l’aggravarsi delle sue condizioni di salute – e nonostante l’intervento di organizzazioni umanitarie – le sono state negate cure adeguate.
«Mia cara Leyla – scrive – sono Zeynab, Zeynab Jalalian, dietro le sbarre di una prigione. Quando sento l’eco della tua lotta per la libertà, io divento più determinata e resistente nel battermi per gli oppressi».
Per Zeynab, il Kurdistan «madre di ogni civilizzazione» è sempre stato oggetto di distruzione da parte di dittatori sanguinari e autoritari. Con il risultato di «migliaia di vittime innocenti». In Turchia, continua «la repressione è feroce, la Turchia vuole risolvere la situazione ricorrendo a un’aggressione di stampo fascista».
E naturalmente «i crimini fascisti non sono perpetrati solamente contro il popolo curdo. Tale oppressione è altrettanto crudele nei confronti dei Turchi in quanto la crisi economica aggrava di giorno in giorno la situazione della popolazione turca. Le guerre devastatrici nella regione hanno provocato la morte e l’allontanamento di centinaia di migliaia di persone. I Curdi hanno sempre cercato la pace con gli Stati vicini e il loro Confederalismo democratico rappresentava una soluzione ai problemi. Ma altrettanto chiaramente tale prospettiva costituisce «una minaccia per i regimi autoritari in quanto mette in primo piano l’interesse dei popoli».
Augurandosi che il corpo di Leyla non subisca troppi e irreparabili danni, Zeynab conclude: «i miei pensieri sono con te, Leyla,mia cara (…) tu e la gente come te siete l’avanguardia di una lotta mondiale. E quindi meritate il meglio».
Gianni Sartori