Nonostante la pessima stagione della politica italiana attuale, si direbbe che il clima stia lentamente cambiando e che vi sia una crescente presa di coscienza sociale delle violenze e dei disastri che i governi stanno combinando ovunque. È una coscienza che crescerà, e politicanti e giornalisti lo sanno e cercano ora di governarla poiché non possono assopirla. A dimostrarlo, basterebbe anche solo considerare quanti pochi dei soliti schizzi di fango siano venuti dai media mainstream riguardo alla morte del partigiano internazionalista Lorenzo “Orso” Orsetti (Tekoşer Piling), caduto combattendo nelle YPG contro il fascismo del cosiddetto “Stato islamico”. Nel suo ultimo messaggio ci ha esortato ad essere, ovunque, la goccia da cui comincia la tempesta. Anche qui, nelle nostre strade. E il plauso quasi generale dei media è solo un modo per coprire la radicalità della sua lotta e del suo messaggio. Riceviamo e condividiamo un intervento al riguardo di Gianni Sartori.
NON HO PAROLE
di Gianni Sartori
Certa gente. Quando si dice “la faccia come il culo”.
La morte del compagno Lorenzo Orsetti, volontario internazionalista – e anarchico – nelle YPG ha suscitato forti emozioni, com’era giusto.
Ma anche le esternazioni di personaggi non proprio irreprensibili. Sinceramente ne avremmo fatto a meno. Ne cito un paio, emblematici.
A) Michele Serra. Quello che nei giorni dell’arresto di Sole e Baleno ironizzava paternalisticamente sui centri sociali (vado a memoria, chi ha tempo vada a rovistare negli archivi della sua “Amaca”) dicendo che in fondo potevano servire per accogliere e ospitare disadattati e psico-labili (ripeto: vado a memoria, ma il senso era questo, se non peggio). Poi i due compagni anarchici, criminalizzati dai media, sono morti come sappiamo, ma non mi risulta che il Serra ne abbia tratto occasione di ripensamento. Non dico delle scuse, ma almeno un rispettoso necrologio. Chiedevo troppo?
Stessi toni e linguaggi li usò in seguito per un intervento sui tre compagni (Antonietta, Alberto, Angelo) morti a Thiene nell’aprile del 1979 (più un quarto, Lorenzo, suicida in carcere anche per il trattamento subito). Si fosse limitato a criticarne – che so – l’ideologia, i metodi… ci poteva anche stare. Ma perché offenderli, denigrarli, trattarli da mentecatti?
E poi, ricordo, quel suo commento sull’immagine, la foto del compagno anarchico immortalato mentre alzava un bastone per difendere una ragazza dalle botte della polizia. Addirittura aveva evocato “Odissea nello spazio”, la scena dell’ominide che abbatte l’avversario con un’arma primordiale, un femore mi pare (evocazione biblica?). E giù a sproloquiare sulla “violenza” etc. Nel caso gli potesse interessare potremmo mettere a disposizione centinaia di immagini di poliziotti e affini col manganello – sia alzato che abbassato, violentemente – intenti a pestare ragazze e ragazzi inermi (vedi Genova 2001). Ma questo forse lo giudica normale, legittimo monopolio statale dell’uso della forza (o se preferite della violenza). Ci sarebbe poi da dire anche di un suo intervento sui Cimbri – confusi presumibilmente con i “padani” cornuti di Pontida. Commento che in quel di Luserna (il paese di Elvio Fachinelli) suscitò sorrisetti di compatimento.
E ora? Ora Lorenzo Orsetti, anarchico, idealmente vicino a quei giovani ribelli, diventa per Serra un “fratello”, addirittura un “figlio”.
Chiede che gli venga attribuita una via, una piazza. Ci può stare naturalmente, ma prima dovrebbe chiedere di dedicarne una anche a Franco Serantini, Edoardo Massari, Soledad Rosas, Carlo Giuliani… e a tanti altri compagni caduti.
Non ho parole comunque.
B) Altro campione di ipocrisia il berlusconiano storico Giuliano Ferrara. Quello che a Torino, quando stava nel PCI, contribuì all’elaborazione del famoso “questionario” dove, anonimamente, si poteva segnalare ogni comportamento (di conoscenti, vicini di casa…) in odore di “sovversione” o “estremismo”. Un aperto invito alla delazione.
E ora per l’anarchico Orsetti – oggettivamente un “sovversivo” (come lo era Franco Serantini, vedi il libro di Corrado Stajano) chiede addirittura che gli venga attribuita una medaglia. Ma non si limita a questo. Lo paragona a Fabrizio Quattrocchi (quello di “vi faccio vedere come muore un italiano”, sempre che la frase sia autentica e non apocrifa, insignito di una medaglia d’oro al valor civile). Ora, con tutto il rispetto per i morti e per i loro famigliari, Quattrocchi era in Iraq a pagamento (lavorava per una compagnia militare privata), non certo per un ideale di Giustizia e Libertà come Lorenzo Orsetti. C’è comunque una bella differenza.
Per ora mi fermo qui
Gianni Sartori