E anche di questo i media non parleranno… Riceviamo e condividiamo un intervento di Gianni Sartori.
UN’ALTRA PRIGIONIERA POLITICA CURDA – ZEHRA SAGLAM – SI È DATA VOLONTARIAMENTE LA MORTE PER PROTESTA
di Gianni Sartori
Come temevo, tre non sono bastati. Un’altra prigioniera politica curda in sciopero della fame si è tolta la vita.
Rinchiusa nella prigione di tipo T a Oltu (provincia di Erzurum) Zehra Saglam (amareggiata – ipotizzo – per la scarsa, quasi nulla visibilità che a questa lotta – e alle ragioni di tale lotta – viene data dai media) ha inteso così levare la sua estrema protesta. Come il giorno prima aveva deciso un’altra prigioniera, Ayten Becet.
Un inciso personale, lungo. Questo non è un commento, tantomeno un articolo, ci mancherebbe. Nemmeno un necrologio. Vorrebbe essere – questo sì – un’invettiva contro tutti coloro che, potendo darne notizia, fingono di ignorare l’orrore di quanto sta accadendo e di cui i suicidi di protesta, tre in una settimana (il 17 marzo Zulkuf Gezen, il 23 marzo Ayten Becet, più un altro militante – Ugur Sakar – che si era immolato col fuoco in febbraio e che è morto in questi giorni), rappresentano solo la punta dell’iceberg.
Poi non dite che non lo sapevate. Ho un elenco, piuttosto lungo, di testate (sia cartacee che in rete) e gestori di blog che, di solito almeno, mi pubblicano di tutto e di più (anche cazzate talvolta, lo ammetto). Dalle questioni ambientali alla memorialistica. Dal “come eravamo” ai necrologi.
Anche sui curdi, almeno quando si parla dell’eroismo di coloro che combattono lo Stato islamico salvando il culo alla vecchia Europa. Ma stavolta, sulla faccenda del lungo sciopero della fame che coinvolge ormai migliaia di persone, devo amaramente constatare che preferiscono stendere un impietoso silenzio.
Anche alcuni che su quello del 1981 dei Repubblicani irlandesi hanno costruito gran parte della loro carriera e reputazione.
Ma i curdi non sono cattolici, peccato!
Comprensibile, a questo punto, l’appello di Leyla Guven affinché altri prigionieri non seguano la medesima strada, quella di autosacrificarsi per protestare sia contro l’isolamento per Ocalan, sia contro le condizioni carcerarie, sia contro il regime fascista turco. Nel suo invito a non cedere all’amarezza e alla disperazione Leyla aveva spiegato che «per la prima volta nella nostra storia, migliaia di persone resistono indefinitamente per spezzare l’isolamento. Nessuno può affermare che queste azioni non produrranno alcun risultato. Noi otterremo certamente dei risultati e vinceremo, di sicuro».
Me lo auguro anch’io, pur con qualche riserva. Il cinismo, l’indifferenza di cui finora han dato prova l’opinione pubblica e le istituzioni internazionali non mi inducono all’ottimismo.
Gianni Sartori