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Così si trattano i tiranni

In «Fuente Ovejuna» di Lope de Vega, commedia spagnola del 1619, il tiranno di una città andalusa è abbattuto e fatto a pezzi tanto che il lacerto più grande che ne resta è l’orecchio, e quando infine viene istituito un processo tutti gli abitanti – donne, uomini, ragazzini, – sottoposti a tortura, dichiarano che l’uccisore è «Fuente Ovejuna», il nome della città, tutti quanti. Lope de Vega non era certo di animo violento o impulsivo: è che sapeva bene che così si trattano i tiranni. Riceviamo e condividiamo una rievocazione del volo di un tiranno…

20 Dicembre 1973, quando CARRERO BLANCO VOL
Ó
di Gianni Sartori

Parlare di Carrero Blanco (a quanto mi risulta ancora detentore del record mondiale di salto in alto con l’auto) significa parlare di “Operacion Ogro”. E quindi della scrittrice Eva Forest.

Naturalmente la conoscevo, di fama, fin dagli anni Settanta. Quando venne arrestata e torturata dal regime franchista. Ma la incontrai di persona solo nel 1996.

Riprendendo da un mio vecchio articolo:

«Quando torniamo alle bancherelle della “feira” del libro di Donosti mi sembra di riconoscere, dietro lo stand delle edizioni IRU, la nota scrittrice Eva Forest. Come qualche vecchio militante ricorderà, il caso di Eva Forest, moglie del drammaturgo Alfonso Sastre, divenne un vero “affaire” internazionale. Arbitrariamente arrestata dalla polizia franchista nel 1974, in un periodo di recrudescenza della repressione, Eva venne ripetutamente torturata (leggersi “Diario y cartas desde la carcel”) e rimessa in libertà solo nel 1977.

Ci presentiamo e la scrittrice ci parla della sua attività di editrice in quel di Hondarribia. Il suo pluridecennale impegno in difesa dei Diritti Umani non le ha impedito di scrivere e pubblicare opere di narrativa, come “No son cuentos” dove l’apparente banalità del quotidiano appare attraversata da segni inquietanti e premonitori. Notevole anche la sua attività di traduttrice, anche di autori italiani. Tra l’altro ha tradotto, sia in castigliano che in euskara, diverse opere di Dario Fo (tra cui “Morte accidentale di un anarchico”) e di Pasolini.

Eva ci racconta di quando è tornata in Italia per ritirare il premio vinto dal marito (Premio Feronia a Fiano) rivedendo per l’occasione la sua vecchia amica Rossana Rossanda che ha fatto pubblicare dalle edizioni del Manifesto “Operazione Ogro”, il suo libro più famoso. È la drammatica storia dell’attentato, opera dell’ETA, contro l’ammiraglio Carrero Blanco, delfino designato del caudillo. Le ricordo che con lo stesso titolo Gillo Pontecorvo realizzò un film, ispirato dal libro ma molto critico sull’operato di ETA dopo la fine del franchismo. In proposito Eva ricorda un aspro litigio con il noto regista per aver, secondo lei, travisato il significato della secolare lotta per l’autodeterminazione del popolo basco, azzerandola sul terrorismo.

La conversazione prosegue al bar davanti al solito cappuccino e scopro che Eva Forest non è basca ma catalana. Il padre, un vecchio anarchico autodidatta, non l’aveva mai mandata a scuola e si era occupato personalmente della sua educazione, con ottimi risultati evidentemente. La matrice libertaria di Eva rispunta parlando del movimento basco, alquanto composito e talvolta forse contraddittorio (vi convivono obiettori totali e seguaci della lotta armata, oltre a femministe, ecologisti, punks…) ma di cui Eva apprezza lo spirito di autorganizzazione e una “concezione orizzontale del potere”. Alla fine ci regala alcuni suoi libri con relativa dedica e disegnino (Eva illustra abitualmente le copertine delle edizioni IRU)».

Al solito, ci fu lo scambio di indirizzi e numeri telefonici e l’impegno – da parte mia – di andarla a trovare in redazione. In realtà la incontrai soltanto – e brevissimamente – a Firenze nel 2002 alla Fortezza Vecchia per il raduno antiglobalizzazione (il primo significativo dopo il disastro di Genova 2001). Nella stessa circostanza – ricordo – rividi anche il catalano Aureli Argemì e l’amico basco Joseba Alvarez (di Batasuna). La notizia della sua morte mi venne comunicata da un altro amico basco, Xabier Apaolaza.

Quanto al forzato prepensionamento di Carrero Blanco, risaliva al 20 dicembre 1973.

Quel giorno l’auto dell’ammiraglio Luis Carrero Blanco saltò in aria in un quartiere residenziale del barrio di Salamanca. Presidente del governo, l’almirante era considerato il “delfino” designato di Franco, simbolo fisico quindi della continuità del regime. Autori dell’attentato i membri del commando Txikia (in omaggio a Eustakio Mendizabal, militante caduto il 19 aprile 1973 a Bilbao). Con questa azione Euskadi Ta Askatasuna portava l’attacco direttamente in territorio nemico causando sconcerto e incredulità fra le alte sfere del regime franchista che fino ad allora si credevano invulnerabili.

Chi era Carrero Blanco?

Nato a Santona il 4 marzo 1903, il futuro pezzo da novanta del regime frequentò la Escuela Naval. Dopo un periodo trascorso in Francia, nel giugno 1937 si unì, in qualità di capitano, alle truppe franchiste a Donostia (San Sebastian).

Già nel 1940 veniva nominato da Franco subsegretario della Presidencia del Gobierno.

In tale veste svolse un ruolo fondamentale nella costruzione del sistema franchista, in quanto responsabile del tribunale per la repressione della Massoneria e del Comunismo, della Direccion General delle Colonie africane, del Cuerpo de Funcionarios e altro ancora.

Nel 1951 la subsecretarìa da lui diretta venne elevata al rango di ministero.

Risale al 1967 la nomina a vicepresidente del Gobierno (la cui presidenza spettava a Franco) in sostituzione di Agustin Munoz Grandes. Finchè, nel 1973, Carrero giunse a sostituire  lo stesso Franco in qualità di presidente del Governo.

Considerato l’eminenza grigia del Regime (garante della sostanziale unitarietà delle diverse anime che vi albergavano) l’almirante fu anche – e soprattutto – un elemento chiave  nella direzione dei servizi segreti impegnati nelle attività controrivoluzionarie.

Dopo il processo di Burgos – 1970 – tali servizi segreti acquisirono una propria struttura – denominata SECED – integrando sia ex esponenti dell’OAS, sia neofascisti italiani (Delle Chiaie). Come è noto, tali soggetti vennero utilizzati (in qualità di squadre della morte) contro la comunità dei rifugiati baschi in Iparralde.

In precedenza – estate del 1973 – ETA aveva tentato di sequestrare Carrero Blanco per richiedere in cambio la liberazione di tutti gli etarras prigionieri con una condanna superiore ai dieci anni. Ma il luogo prescelto per l’operazione venne anticipatamente scoperto e l’organizzazione armata indipendentista prese la sbrigativa decisione di eliminarlo. Il 15 novembre 1973, venne affittato un appartamento al numero 104 di calle Claudio Coello, a Madrid.

Da qui scavarono un tunnel in cui collocare una potente carica esplosiva.

Il 20 dicembre 1973 – alle nove e mezza di mattina – l’auto di Carrero Blanco, una Dodge Dart pesante due tonnellate, venne sollevata dall’esplosione per circa 35 metri (superando ben cinque piani) andando a schiantarsi nel cortile interno della chiesa di San Francisco de Borja.

Nell’attentato perirono, oltre all’almirante, l’autista Luis Pérez e l’agente di scorta Juan Antonio Bueno. Questa era la seconda volta dalla sua nascita che ETA uccideva intenzionalmente (nel primo caso, cinque anni prima, si trattò del commissario Melitòn Manzanas, noto torturatore).

Tra gli “effetti collaterali” non prevedibili, vi fu la condanna a morte (in qualche modo una rappresaglia del regime nei confronti della resistenza antifascista) dell’anarchico catalano Salvador Puig Antich. Ma questo sarebbe ingiusto imputarlo a ETA (anche se nel film “Salvador” viene fornita tale interpretazione) in quanto l’operazione Ogro (“Orco” riferito a Carrero, ovviamente) in realtà era in preparazione da mesi. Almeno dall’estate, da quando si prevedeva di sequestrarlo. Ricordo che l’arresto del giovane esponente del MIL avveniva a Barcellona il 25 settembre 1973.

Come scrisse Eva Forest, l’attentato rappresentò un vero e proprio “scoppio di informazione” (e per niente metaforico) a livello mondiale. Facendo conoscere all’opinione pubblica la dura lotta condotta dal popolo basco contro il franchismo. Alla clamorosa azione ne seguirono altre: l’esecuzione di esponenti degli Alti Comandi dell’Esercito; la distruzione della Centrale telefonica di Rios Rosas; l’esecuzione del generale Capo della Divisione Brunete. Azioni con cui ETA intendeva dimostrare di poter colpire anche dove il nemico di sentiva più al sicuro.

Non essendo state accertate le loro responsabilità, i baschi accusati dell’attentato usufruirono dell’amnistia del 1977.

Uno di loro, José Miguel Beñarán Ordeñana (“Argala”), venne assassinato il 21 dicembre 1978 da esponenti dei grupos parapoliciales che così intendevano, a cinque anni di distanza, vendicare la morte di Carrero Blanco.

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