Mentre anche l’ONU certifica gli «unimaginable horrors» che i profughi subiscono in Libia con forti complicità del locale Ministero dell’Interno e della Difesa, ma su mandato e con gli aiuti economici dell’Italia e dell’Europa, ovunque i poveri continuano ad essere sfruttati, torturati e uccisi, in un mondo in cui sopravvivere è già una colpa e il razzismo o l’indifferenza dei ceti medi diventa di giorno in giorno più feroce. Riceviamo e condividiamo un intervento di Gianni Sartori.
È MORTO SOLTANTO UN ALTRO KOLBAR…
di Gianni Sartori
Un altro kolbar curdo è morto in circostanze non chiare – presumibilmente assassinato dalle forze di sicurezza frontaliere di Ankara o di Teheran. Il fatto è accaduto il mese scorso nel Rojhilat, il Kurdistan sotto amministrazione iraniana.
Con il termine kolbar (o kolber) si indica un portatore, talvolta legale, altre illegale (“transfrontaliero” oppure “contrabbandiere”) che trasporta – sulla schiena – mercanzie alle frontiere che frantumano il Kurdistan tra Iran, Irak, Turchia e Siria.
La maggior parte di questi lavoratori (un totale, si calcola, di oltre 20mila) vive in Iran, le cui province curde sono tra le più povere del paese. Ufficialmente considerato sempre “illegale”, il kolbar non usufruisce né di assicurazioni, né di pensione e tantomeno di un sindacato.
In maggioranza si tratta di giovani – talvolta diplomati – provenienti da famiglie povere che non hanno altre possibilità di sopravvivenza in un territorio dove la disoccupazione è assai diffusa.
Il cadavere martoriato del ventenne Hossein Balkhanlou, originario del villaggio di Adagan, è stato rinvenuto il 24 gennaio presso un altro villaggio curdo, Yarm Qieh. Trasportato a Maku, il medico legale non ha potuto far altro che confermare quanto era apparso evidente fin dal ritrovamento: Hossein è stato ammazzato a forza di botte e bastonate.
Testimoni oculari hanno anche riferito di “segni evidenti di tortura”.
Gli abitanti di Yarm Qieh hanno confermato che negli ultimi anni membri delle forze di frontiera – sia turche che iraniane – hanno abbandonato in varie occasioni altri cadaveri, sia di kolbar che di semplici cittadini (ma praticamente sempre curdi) lungo le zone del confine. Senza peraltro che i rispettivi governi si siano mai assunta una qualsiasi responsabilità. In genere si assiste allo scambio di accuse reciproche. Mentre i turchi accusano Teheran, gli iraniani indicano Ankara come responsabile dei brutali omicidi.
Qualche precedente tra quelli di cui si è avuta notizia.
Ancora nel giugno 2013 le forze di sicurezza iraniane avevano assassinato un kolbar curdo (originario di Kani Miran) in prossimità di Meriwan, mentre altri gendarmi massacravano i cavalli dei kolbar a Piranshar.
Il 20 giugno 2013 un altro kolbar, Meriwan Kamran, era rimasto gravemente ferito nei pressi di Bashamax – sempre per mano delle forze di sicurezza iraniane.
Il giorno prima i gendarmi avevano sparato numerosi colpi di arma da fuoco contro un veicolo che trasportava civili a Serhdest provocando un morto e quattro feriti.
Quasi contemporaneamente a Piranshar l’esercito turco attaccava altri kolbar, uccideva tutti i loro cavalli (almeno 12, testimoni hanno riferito che i poveri animali sono stati bruciati vivi) e incendiava le merci che stavano trasportando.
Alla fine del 2013, in un intervento alla Nazioni Unite, Amhed Shaheed (inviato onusiano per l’Iran) denunciava le “uccisioni indiscriminate dei kolbar in violazione delle leggi nazionali e degli obblighi internazionali a cui anche l’Iran è vincolato”.
Particolarmente disgustoso un episodio risalente al gennaio 2014. Dopo una serie di altri omicidi di numero imprecisato, Saman Xizri (un curdo di 26 anni, originario di Nalas) veniva ammazzato dalle forze di sicurezza iraniane in un’azione di “contrasto del contrabbando”. Il suo corpo veniva legato a un’auto e trascinato per le strade.
Nella stessa operazione, a Marexan veniva ferito un altro kolbar, Wefa.
Già il primo di gennaio (2014) avevano confiscato una quindicina di cavalli e le merci trasportate nella zona montuosa Dolan.
Nell’ottobre 2017 i soldati iraniani ammazzavano il kolbar Pistiwan Moin (24 anni) nei pressi del villaggio di Betusi (regione di Serdest, al confine Iran-Iraq).
Un’associazione per la difesa dei diritti umani calcolava che dall’agosto 2017 (in meno di tre mesi quindi) erano stati uccisi almeno altri 13 kolbar.
Nel maggio 2018 i pasdaran (guardiani della rivoluzione, iraniani) uccidevano nei pressi della città di Kelasin (nella regione di Sidekan) un kolbar di 27 anni, Meysem Herim Elì, originario di Urmiye.
Qualche ora prima, un altro kolbar – Eli Hesenzade di 45 anni – era stato ferito dalle forze di sicurezza iraniane. Come per il cadavere di Meysem Herim Elì, i pasdaran ne hanno impedito il rientro in Iran ed era stato trasportato all’ospedale di Soran (Basur, Kurdistan del sud – “irakeno”).
Si calcola che ogni anno decine di civili vengano uccisi in questi attacchi nelle zone di frontiera. Brutali azioni repressive (vere e proprie esecuzioni extragiudiziali) che ufficialmente dovrebbero stroncare il contrabbando e il mercato nero. In realtà la vera, redditizia e fiorente attività illegale è quella operata dai ricchi trafficanti mafiosi che però non sembrano subire le stesse attenzioni da parte delle autorità.
Gianni Sartori