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Gli Ultras ai tempi della pandemia

Perchè gli Ultras possono essere un argomento di discussione per una forza antifascista tesa all’intervento sociale e politico nei territori?

Per rispondere a questa domanda andiamo indietro di oltre un anno. Siamo a Roma, nei pressi del Circo Massimo. E’ sabato 6 giugno 2020 e i “Ragazzi d’Italia” chiamano ad una grande parata neofascista, facendo appello e proselitismo tra le curve italiane: siamo appena usciti dalla prima parte della pandemia e slogan come “dittatura sanitaria” o “io apro” entrano nelle piazze e nelle chiacchiere da bar (all’aperto..), insieme alla voglia di “riprendersi la nazione”.

Quella del 6 giugno del resto non è la prima o l’unica iniziativa fascista in campo: nella stessa giornata è previsto il sesto atto delle Mascherine Tricolori di Casapound. Forza Nuova invece è già schierata con il negazionismo complottista della prima ora. Il covid è un inganno della plutodemocrazia, ma all’interno del partito di Fiore nel mentre si consuma un regolamento di conti che porta alla scissione e alla nascita della Rete dei Patrioti.

L’indizione del raduno romano trova – casualmente? – sponda anche nei media, la Repubblica in testa, tanto da obbligare decine di curve da nord a sud a redigere comunicati e striscioni con cui prendono distanza in maniera chiara da un raduno definito a tutti gli effetti come politico, e non Ultras.

Per onor di cronaca quella giornata non verrà poi ricordata dai camerati come un grande successo di piazza, tutt’altro. Castellino, responsabile romano di FN, si guadagna la scena prendendo a pizze in diretta tv Simone Carabella, personaggio cittadino con un curriculum politico che spazia dal PD a FdI passando per M5S ed MSI; ne segue un parapiglia che culmina nel lancio di oggetti verso i giornalisti. La giornata si conclude con un comizio lampo, bassa partecipazione e mal di pancia non del tutto digeriti tra gli organizzatori. E anche oggi, insomma, niente rivoluzione.

E gli Ultras? In larga parte si sono appunto sfilati da questo appuntamento, ribadendo l’apoliticità dei propri direttivi e di molte curve. Ma non è un caso se i promotori della manifestazione del 6 giugno chiamano alla mobilitazione invocando l’identità ultras.

Già durante la prima parte della pandemia gli Ultras sono stati tra i corpi sociali più lucidi nel capire il dramma che stavamo vivendo; utilizzando la loro capacità di mobilitazione molti gruppi sono riusciti a distinguersi per iniziative di solidarietà, raccolte di cibo e indumenti, striscioni di ringraziamento e solidarietà fuori dagli ospedali. Hanno saputo sfruttare il proprio bagaglio di aggregazione sociale per rispondere, in maniera organizzata, ad un periodo storico di emergenza. Tra le tante iniziative messe in campo, l’esempio più eclatante è senz’altro la costruzione dell’ospedale da campo di Bergamo, in cui gli Ultras dell’Atalanta hanno giocato un ruolo determinante. Forse con questa mossa i neofascisti cercavano un ulteriore scatto di agibilità all’interno dell’ambiente delle tifoserie?

Nel mentre, quando tutti i campionati sportivi erano ancora fermi, il sistema calcio è stato l’unico a poter chiedere ed ottenere la ripartenza, per salvaguardare le esigenze di pay tv e procuratori: uno spettacolo indecoroso, l’ennesimo, a cui il “calcio moderno” ci ha ormai da tempo abituati.

Per tutta risposta molti gruppi ultras europei, italiani in testa, hanno fatto sentire la loro voce, scrivendo un importante comunicato unitario: stopfootball – nofootballwithoutfans. Le tifoserie organizzate si schieravano apertamente contro la ripresa del campionato, ribadendo la propria contrarietà al rientro allo stadio: questo dovrà avvenire a emergenza conclusa, possibilmente con la reintroduzione della capienza al 100% degli impianti.

Alla ripresa dei campionati la linea dura e intransigente del o tutti o nessuno inizia a presentare le prime crepe; con l’apertura degli impianti al 50% alcuni gruppi scelgono di entrare, la maggior parte soppesa la decisione e decide di rientrare quando la capienza viene estesa al 75. Nel mentre altri gruppi si prendono una pausa di riflessione, altri ancora continuano decisi nella scelta impopolare di non entrare, non per questo rinunciando all’impegno sociale e ad altre iniziative.

Qui non centrano le mobilitazioni sul greenpass: la stragrande maggioranza dei tifosi, e degli Ultras, ha aderito alla campagna vaccinale e per molti identificare la certificazione verde come un “nefasto strumento repressivo” stona un po’.

Le curve degli stadi sono da più di 30 anni laboratorio d’eccellenza nella sperimentazione e applicazione delle misure liberticide più assurde e sofisticate (senza dimenticare la gran palestra fatta dai reparti celere, testimoniata per altro da molti fatti tragici). Coltivate nell’ambiente del tifo organizzato prima, esportate nel contesto politico, sociale e cittadino dopo, misure come il DASPO, l’arresto in flagranza differita o l’utilizzo dei lacrimogeni CS sono certamente gli esempi più eclatanti che rievocano un vecchio adagio, tanto caro a molti gruppi ultras attivi contro la repressione: “OGGI PER GLI ULTRAS, DOMANI IN TUTTA LA CITTA’”.

Eppure, una certa sinistra da salotto – ma anche di movimento – ha spesso giudicato in maniera approssimativa e non approfondita il complesso ed eterogeneo mondo Ultras. Paragonarlo ad un’informe selva di fascismi dimostra di non saper cogliere il valore aggregativo, umano e sociale delle curve.

E i fascisti? Anche e sopratutto su questo hanno campato, e in diversi casi proliferato, insieme al lento ma inesorabile nulla che avanza.

Ad oggi una quota sempre maggiore di gruppi ultras si è spostato a destra; da Lealtà e Azione, a Fortezza Europa, passando per il Veneto Fronte Skinheads, FN e CP, ognuno di questi gruppi può dirsi più o meno radicato nel mondo delle tifoserie organizzate. La curva di una stadio rispecchia le dinamiche di una città e il processo di infiltrazione e radicamento delle formazioni neofasciste ha potuto godere in molti casi della complicità e tolleranza di alcune Questure, spesso rigorose nell’applicare una repressione ingiustificata e spropositata nei confronti delle realtà Ultras più scomode e controcorrente, a prescindere dalla loro reale “pericolosità”. Pericolosità invece ben rappresentata in alcune curve dal connubio in essere tra estrema destra, imprenditori, criminalità e mafia.

A questo punto c’è forse da chiedersi se l’unione tra polizia, repressione di stato, maghi, politica e squadracce non possa presto o tardi diventare un mix difficilmente sopportabile, non solo all’interno degli stadi e delle curve – o per meglio dire, di quello che ne è rimasto – ma anche nelle mobilitazioni di strada, nell’atteggiamento della società e nel poter salvaguardare la capacità di leggere e agire sul presente in maniera critica e propositiva.

L’allerta antifascista rimane alta!

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