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A Roma saremo marea!

Il 27 Novembre 2021 il movimento transnazionale e tranfemminista Non una di Meno tornerà per le strade di Roma con la sua marea di amore e rabbia per la Giornata Internazionale contro la Violenza Maschile sulle Donne ( 25 novembre) e la violenza di genere.

Una marea che, dopo lo stop causato dalla sindemia, scende in piazza per la quarta volta (la prima è stata nel novembre 2016), composta da collettvi tranfemministi, centri antiviolenza, lavorator* e operaie in lotta, donne migranti, reti di insegnanti per un’educazione liberatria e di genere, collettivi e associazioni lgbtq+, movimenti e associazioni di soggettività trans, sex worker, associazioni anticarcercerarie, gruppi in difesa di ecologia e territori, associazioni per il diritto alla casa, reti per l’autodeterminazione della salute e l’autogestione dei consultori, gruppi antifascisti intersezionali e per la rivoluzione sociale ma anche mediche, avvocate, giornaliste. Il comune denominatore che tiene uniti movimenti così diversi è il riconoscere nella violenza patriarcale una violenza sistemica e strutturale che, in modi diversi e a discrezione dei privilegi che si hanno o non hanno, colpisce tutti e in tutto il mondo, in primis donne, soggettivitè lgbtqa+, migranti e sex worker; la strategia è l’intersezionalità di queste lotte, partire dai bisogni e dai desideri per renderli terreno di conflitto politco allargato e dilagante ma anche di dare voce, forme e sostanza alla rabbia di fronte ad uno stato di cose; anche per questo si definisce marea.

Lo stato di cose da cambiare, purtroppo, non è nuovo perché strutturale e su questo Non Una di Meno nel 2017 ha scritto un piano: “Abbiamo un piano. Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere”; tuttavia la Sindemia ha rivelato come questa situazione strutturale è evidente e in realtà, lo Stato e le ammnistrazioni, attente alle quote rosa quando serve, non ne tengano conto, neanche in una situazione di emergenza (figurarsi quando l’emergenza non c’è, verrebbe logico da dire). Infatti con l’avvento della Sindemia il 99% dei disoccupati sono donne e cittadini non italiani , chi non ha perso il lavoro ha subito un peggiormaneto delle condizioni di lavoro, per esempio nella logistica e nell’e-commerce con la richiesta di turni di lavoro massacranti che non tengono conto di nulla ma si legittimano davanti al ricatto della bossi–fini (come ci raccontano le compagne della Yoox), le chiamate al 1522 sono aumentate del 119% perché sono aumentte tutti i tipi di violenza (fisica, psicologica, economica, sessuale, aggressioni per strada) nonostante le iniziali difficoltà ad accedere al servizio dovendo stare chiuse in casa spesso con l’aggressore, alcuni ospadali hanno tagliato servizi essenziali tipo l’interruzione volontaria di gravidanza nonostante l’alto tasso di obiezione di coscienza, i consultori di quartiere e le associazioni di primo soccorso e mutuo aiuto costrette a chiudere per mancanza di fondi e impossibilitate a sostenersi e finanziarsi. Neanche di fronte a questo è venuto in mente alle istituzioni di prendere in mano quel piano. I centri antiviolenza non hanno ricevuto dei fondi in più, nessuna donna licenziata o con un lavoro in nero ha ricevuto reddito, gli alloggi per chi non ha casa o le strutture per le vittime di violenza non sono aumentati, chi subisce violenza ed è in un percorso di fuoriuscita continua a dover vivere con 400 euro. Eppure Non Una di Meno, tra le sue richieste, sono anni che chiede un reddito di autodeterminazione incondizionato (insieme a molte altre cose che trovate sul piano).

In questo stato di sindemia, l’unica resistenza possibile è stata l’organizzazione dal basso: sex workers che organizzano raccolte fondi per altre sex workers (soprattutto vittime di tratta), lo stesso da parte di collettivi queers verso rifugiati e non lgbtqa+, i centri sociali (tra l’altro chiusi) per le famiglie e i migranti, le transfemministe che si occupano di fornire un supporto telematico per l’acesso all’ivg. La risposta dal basso e la solidarietà è stata l’unica risposta attiva e concreta tuttavia non è sostenibile sostituire un servzio d emergenza a lungo tempo se nella “normalità” non posso autogestirlo. Infatti nella normalità quello che fa lo stato e le amministrazioni è di sgomberare i tentativi dal basso di consultorie autogestite, di scoraggiare e non sostenere case di accoglienza per persone trans, di far fuori tutto quello che non sia una prestazione a pagamento, sia questa fatta dentro un consultorio o dentro un centro sociale con uno sportello autogestito. La marea transfemminista scende in piazza anche per questo, per essere contenitore di lotte e di rabbia di fronte non solo allo stato nazione ma ad uno stato di cose.

La rabbia di uno stato di cose dove in Italia nel 2021 ci sono stati ad oggi 103 femminicidi con un’incremento sia generale sia di quelli compiuti dal partner, mentre nel mondo sono morte ammazzate 375 persone transgender e non conforming, di cui il 58% erano sex worker e il 43% migranti.

Uno stato di cose che non è in Italia, ma nel mondo, un mondo che sembra andare indietro, in molti sensi, rispetto alle conquiste fatte. Infatti mentre nel 2021 la Turchia esce dalla Convenzione di Istanbul, la Polonia (anch’essa in corsa per uscire dalla convenzione) nel 2020 approva una modifica di legge che rende accessibile l’aborto solo in caso di violenza sessuale, incesto e pericolo di vita, l’Ungheria rende obbligatorie a scuola materie basate sul genere suddivise in maschili e femminili sotto lo statuto di “educazione alla famiglia”, l’Italia permette a comuni e regioni la delibera per l’ingresso di personale cattolico e movimenti antiabortisti in luoghi laici come gli ospedali, i consultori, i cav. In questo stato di cose, gli argomenti comuni sono il ripristino totale del valore della famiglia tradizionale e impedire ogni tentativo e messa in discussione di questi principio, la stessa famiglia tradizionale ritenuta da pubblici dati il primo luogo di femminicidi e violenza.

L’altro argomento comune è la solita e solida alleanza con le destre e i neofascismi. È un caso che si vada indietro nelle conquiste delle lotte da parte delle minoranze mentre i neofascismi prendono spazio e cercano di organizzarsi attraverso discorsi populisti e alleanze con gruppi cattolici più e meno potenti? NO. Purtroppo sappiamo chi sono Erdogan e Orban, sappiamo quanto sia cattolica e nazionalista la Polonia e che le giunte che favoriscono l’ingresso degli antiabortisti nei luoghi pubblici sono quelle di Lega e Fratelli d’Italia oltre ai soliti gruppuscoli. Sappiamo come antifascismo e antisessismo sono insieme, o non saranno! Per questo saremo il 27 per le strade di Roma, concentramento ore 14.00 Piazza della Repubblica, e ogni giorno accanto Non una di Meno e il movimento transfemminista.

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