In Ungheria il partito neonazista Jobbik, che ha ricevuto il 17% dei consensi alle ultime elezioni ed è parte del governo ultranazionalista di Viktor Orbán, continua a organizzarsi come partito armato.
In un’assolata piazza degli Eroi a Budapest, hanno infatti giurato un centinaio di nuovi membri della Guardia Nazionale Ungherese, il corpo paramilitare filonazista e xenofobo dichiarato illegale nel 2009 e risorto sotto il governo del premier Orbán.
Con la sola differenza che ora le milizie filonaziste giurano in ginocchio e non in piedi, per non violare formalmente la legge e non apparire in formazione militare.
Intanto, il premier Orbán, che proviene – guarda caso! – dal mondo del liberismo finanziario, continua a esibire in ogni occasione la sua retorica ultranazionalista (il 15 marzo urlava in piazza a Budapest: «La verità è che non siamo mai stati così forti come oggi. La verità è che oggi siamo sufficientemente numerosi e determinati per assicurare all’Ungheria una vita libera»).
Non è un mistero che, per gestire la crisi economica, i ceti dirigenti europei abbiano oggi due possibilità: la socialdemocrazia corporativa e autoritaria, oppure il totalitarismo nazistoide, nazionalista e razzista. Ma sono i lati diversi di una stessa medaglia.