Pochi mesi fa, 43 anni dopo i fatti, un tribunale ha condannato all’ergastolo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte per la strage di piazza della Loggia a Brescia nel 1974: un neofascista al vertice di Ordine Nuovo e un informatore del S.I.D., cioè dell’allora servizio segreto dello Stato. Ci sono voluti quindici processi, cinque istruttorie e numerosi depistaggi perché un tribunale fosse infine costretto a riconoscere la scomoda verità del coinvolgimento dello Stato nello stragismo e nel terrorismo nero.
Si vorrebbe far credere che il terrorismo sia qualcosa di esterno, senza rapporti con lo Stato e le sue strategie di potere. Ma le quattordici grandi stragi italiane del secondo Novecento stanno a ricordarci che questo è un oltraggio alle vittime e alla verità storica: dalla strage di Piazza Fontana del 1969 a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato dolorosamente una lunga «strategia delle stragi» condotta da uomini degli apparati più coperti dello Stato e da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Lo scopo era quello di promuovere con la violenza un clima di paura e smarrimento per scoraggiare e sconfiggere le lotte operaie e le proteste sociali.
Sono trascorsi ormai 37 anni da quando, alle ore 10.25 del 2 agosto 1980, i neofascisti dei NAR spalleggiati dai servizi segreti misero una bomba alla stazione centrale di Bologna, causando 85 morti e 200 feriti. A tanti anni di distanza i depistaggi e l’omertà di tutti i governi hanno impedito di accertare i mandanti nelle istituzioni e di conoscere pienamente la verità.
La mano è fascista, ma per noi anche il mandante è evidente: è lo stesso che grida all’emergenza per approvare misure di stampo autoritario e razzista, è chi detiene la violenza legale degli apparati militari e di polizia, chi sfrutta lavoratori sempre più precari, chi taglia pensioni e diritti sociali per finanziare eserciti, servizi segreti e commercio delle armi. È chi continua a nascondere la verità e a terrorizzare, in un modo o nell’altro, i propri «sudditi» con campagne di allarmismi e paura.
Per questo lo Stato non può dire la verità sulle stragi. Né sarebbe logico che lo facesse visto che morte e violenza di Stato sono uno strumento di governo e di condizionamento pienamente in uso, adesso come nel passato.
Non è dunque sorprendente che un magistrato in odor di estrema destra come il procuratore capo Giuseppe Amato abbia chiuso quest’anno l’indagine sui mandanti della strage del 2 agosto in modo arrogante e risoluto, offrendo una sua falsante ricostruzione politica che pretende di imporsi come Verità ufficiale, quella dello «spontaneismo dei NAR» dietro cui non vi sarebbero stati «altri soggetti che svolgessero il ruolo di mandanti o finanziatori».
È lo stesso argomento con cui venne subito chiusa l’inchiesta sui poliziotti assassini della Uno Bianca negli anni Novanta, dando credito all’affermazione espressa a caldo da Fabio Savi: «Cosa c’è dietro la Uno bianca? Dietro la Uno bianca ci sono soltanto i fanali, il paraurti e la targa».
Cosa ci si può aspettare da uno Stato e da governi che in 37 anni non sono riusciti a fare i conti con i loro scheletri e che continuano a devastare, inquinare, sfruttare, mentire, uccidere?
Come ogni anno, il 29 luglio ricorderemo il gesto di Gaetano Bresci di fronte alla strage di Milano dell’8 maggio 1898 in cui lo Stato italiano uccise circa 300 persone e ne ferì oltre 450.
Come ogni anno, il 2 agosto porteremo in piazza la nostra verità e la nostra domanda di giustizia partecipando alla manifestazione che partirà da Piazza Nettuno alle ore 9.