Riceviamo e volentieri condividiamo questo ricordo dell’assassinio del quindicenne Alexis Grigoropoulos per mano della polizia greca, nove anni fa. A Bologna la rivolta greca di Exarchia ha dato il nome a un collettivo anarchico tra i più attivi. Alexis vive nelle lotte!
ANCHE DOPO NOVE ANNI LA MORTE INGIUSTA DI ALEXIS GRIGOROPOULOS BRUCIA ANCORA
di Gianni Sartori
“Buon viaggio, Alexis. Forse era necessario che tu te ne andassi affinché potessimo svegliarci. Resterai sempre nei nostri cuori, l’ultimo sangue innocente”.
C’era anche questo epitaffio tra le decine di frasi lasciate appese nel quartiere di Exarchia dove il quindicenne ateniese Alexandros Andreas Grigoropoulos era stato ucciso da un colpo di pistola dell’agente Epaminonda Korkoneas, poi incriminato per omicidio.
Da quel 6 dicembre 2008, quando il giovane anarchico venne assassinato nel quartiere di Exarchia, sono già passati nove anni.
All’epoca le proteste durarono settimane e la capitale, ma non solo, venne letteralmente messa a ferro e fuoco.
Altre proteste si svolsero in mezza Europa, Italia inclusa.
Inutilmente la polizia cercò di mascherare il delitto di Stato come una reazione agli scontri in atto. Un video, diffuso dai familiari e dai compagni di Alexis, confermò senza ombra di dubbio che quelli esplosi contro il ragazzo erano “spari intenzionali e immotivati”.
Tre colpi sparati a freddo durante uno scontro puramente verbale, una discussione.
In seguito il responsabile venne condannato, pare all’ergastolo, mentre il complice (Vassilis Saraliotis) a dieci anni.
Anche quest’anno, 2017, la scadenza è stata ricordata con cortei e scontri con la polizia. Questo avviene mentre le politiche, sostanzialmente neoliberiste e antipopolari, del governo attuale (Syriza-Anel) alimentano le tensioni sindacali. Recentemente i lavoratori del PAME, affiancati dal KKE, hanno assaltato il Ministero del lavoro sfondando la saracinesca di uno degli accessi all’edificio. Sconfessando con i fatti quanti sostenevano che ormai in Grecia la ribellione aveva ceduto il passo alla stanchezza e alla disillusione.
I giovani che nel 2008 avevano trasformato le strade della Grecia in quelle di una Belfast o Donosti anni ottanta, protestavano per l’uccisione di uno di loro, ma la rabbia covava da tempo. Negli ultimi mesi vi erano state numerose manifestazioni per esprimere il malcontento popolare e anche duri scontri di piazza.
Nei giorni della ribellione il Politecnico di Atene, circa 13mila iscritti, era diventato la roccaforte del movimento. Non solo studenti, ma anche giovani disoccupati, precari, militanti dei gruppi della sinistra radicale (soprattutto anarchici) e altri che fino al giorno prima non si erano mai occupati di politica. L’età dei rivoltosi variava dai 15 ai 35 anni. Alcuni avevano scelto di protestare pacificamente, altri (i “kukulofori”, incappucciati) si spingevano oltre, lanciando pietre e molotov. Dopo la manifestazione pomeridiana di lunedì 8 dicembre 2008 il centro di Atene appariva saccheggiato: un intero cinema dato alle fiamme, decine di negozi e banche incendiati, innumerevoli le vetrine infrante e le barricate. Anche il grande albero di Natale di piazza Sintagma, di fronte al Parlamento, era stato bruciato. Per tutta la notte, dopo che i cortei erano stati dispersi dalle cariche, continuavano gli scontri tra i giovani e le unità antisommossa (MAT) nella città invasa dall’odore acre dei lacrimogeni e degli incendi. Le manifestazioni proseguivano nei giorni successivi, sia per il funerale di Alexis che durante lo sciopero generale di mercoledì 10 dicembre. A Patrasso, Atene, Ioannina, Komotinis, Kavala, Tessalonica, Salonicco, Trikala e anche nelle isole: Creta, Rodi, Corfù, Samo…
Nel corso della rivolta, durata circa tre settimane, sono stati occupati fabbriche, teatri, scuole, università, sindacati. Tali eventi si erano poi ripetuti. Sia nel dicembre 2009 che nel maggio 2010 quando un corteo di oltre 200mila manifestanti aveva assaltato lo stesso Parlamento greco, forse con l’intenzione di incendiarlo.
Per il quotidiano Eleftheros Typos nel dicembre 2008: “Atene e Salonicco sono state messe sotto assedio”.
M.A. Sanchez, corrispondente di “El Pais” aveva calcolato che “ad Atene sono stati attaccati tredici commissariati di polizia”. Stessa situazione a Salonicco dove si registravano gli scontri più violenti. Altre manifestazioni di protesta, pacifiche, erano state organizzate dai partiti di opposizione, il Pasok (socialista) e il Kke (comunista).
Un paio di giorni dopo a Torino gli anarchici ricoprivano di scritte la sede del consolato greco (“Assassini”, “Andreas vive nelle lotte”) mentre altri tentavano di assaltare quello di Londra. A Berlino il consolato greco restava occupato per circa otto ore e veniva tolta la bandiera per sostituirla con un cartello in memoria del compagno ucciso. Altre occupazioni di consolati greci si registravano in Italia il 12 dicembre.
Iniziative di solidarietà con gli studenti greci si erano svolte davanti a consolati e ambasciate di Londra, Parigi, Milano, Berlino e Nicosia. Anche Amnesty International stigmatizzava il comportamento della polizia greca, accusandola di usare la forza in maniera “sproporzionata e illegale” nella repressione delle manifestazioni.
Significativo che gli avvenimenti del dicembre 2008 venissero classificati come “i più gravi accaduti in Grecia dal 1973”. Un riferimento alla rivolta del Politecnico contro i colonnelli fascisti.
Il Politecnico di Atene aveva e ha un grande valore simbolico. Da qui nel 1973 era partita la sollevazione destinata a dare il colpo di grazia alla dittatura militare dei colonnelli. Più di quaranta studenti rimasero uccisi e da allora la legge proibisce alla polizia di mettervi piede. Intervistato da Elise Vincent, il vice-presidente dell’Università, Gerasimos Spathis, aveva mostrato comprensione e anche una certa simpatia per i giovani di questa “intifada greca” che nella facoltà trovavano rifugio tra una manifestazione e l’altra. Da tempo molti docenti si opponevano alle politiche governative di privatizzazione dell’università. Il governo aveva recentemente approvato una riforma per “rendere più flessibile il sistema universitario” che all’epoca produceva il minor numero di laureati tra i giovani dai 20 ai 29 anni nei paesi dell’Unione europea. In realtà già allora si prevedevano ulteriori tagli all’istruzione pubblica per favorire la nascita di atenei privati.
Nel 2008 la radiografia economica dell’ultimo decennio in Grecia appariva contraddittoria. Apparentemente la disoccupazione sembrava essere passata dal 12% al 7,6%, ma le cose cambiavano se si considerava la situazione dei giovani. Nel 2007 la disoccupazione tra i giovani greci arrivava al 22,9%, il peggior dato di tutta l’Ue, subito dopo Italia (20,3%) e Polonia (21,7%). Percentuali lontanissime non solo da quelle dell’Olanda (5,9%), ma anche da Cipro (10%), dalla Slovenia (10,1%) o dalla Repubblica Ceca (10,7%). Inoltre il sistema universitario greco veniva definito “molto inefficiente” e non in grado di garantire il passaggio al mercato del lavoro. Nel complesso la distribuzione delle risorse pubbliche sarebbe stata “poco favorevole alla gioventù”. E da allora non risulta che la situazione sia migliorata.
La mancanza di prospettive, il timore per un futuro incerto alimentavano (e alimentano) il rancore sociale, sia contro le forze dell’ordine accusate di “usare metodi brutali” che contro il governo di allora, il centro-destra di Costas Caramanlis (così come contro l’attuale). In molti giudicavano il governo direttamente responsabile della corruzione dilagante (confermata dai numerosi scandali) e delle sempre più accentuate disuguaglianze sociali. Fortemente contestati anche i salari da 650 euro destinati ai giovani lavoratori, una delle ragioni per cui un gran numero di loro era costretta a coabitare con i genitori fino ai 30 anni.
Le possibilità di manovra del governo di allora apparivano molto limitate. Era ormai evidente che con un solo deputato di vantaggio rispetto all’opposizione, il partito al potere (Nuova Democrazia) sarebbe stato costretto a indire elezioni anticipate nel 2009. Secondo Anthony Livianos, citato dall’agenzia Reuters: “Queste proteste avvengono in un momento molto delicato e, se dovessero continuare, avranno un effetto devastante sulla stabilità politica”. Intervistato da “la Repubblica”, anche l’ex segretario generale del Pasok Mihalis Hrisohoidis, ministro dell’Interno fino al 2007, si era detto pessimista, al punto di temere un ritorno del regime militare: “Se non si cercherà un dialogo, se si reagirà solo con intransigenza, ci troveremo sull’orlo di una crisi senza precedenti”. E intanto esortazioni consolatorie a “pace, amore e tranquillità” venivano emesse dal patriarca ecumenico ortodosso di Costantinopoli.
Notizia locale (profondo Nord-est): nel novembre 2014 nell’ex caserma Piave di Treviso, occupata dal CS Ztl, veniva inaugurata un’aula di studio in memoria di Alexis.
Gianni Sartori