Michel Foucault osservava nel 1977 che «la non analisi del fascismo è uno dei fatti politici importanti di questi ultimi trent’anni». Oggi risulta sempre più evidente che il fascismo non può essere considerato una parentesi eccezionale e isolata nel cammino della civiltà europea, ma un fenomeno ricorrente le cui condizioni di possibilità sono ancora tutte presenti nell’attualità che viviamo. È quindi un’ottima idea quella della rivista «Qui e Ora» che intende fare inchiesta sui fenomeni di fascistizzazione e sui modi con cui contrastarli e combatterli. Riproponiamo qui di seguito l’introduzione.
In questo numero 8 di «Qui e Ora» ci limiteremo ad introdurre quello che sarà un approfondimento sui temi del fascismo e dell’antifascismo che ci proponiamo di sviluppare tramite un lavoro di inchiesta a partire dai prossimi numeri. Ci concentreremo sul fascismo, le sue forme contemporanee ed il suo rinnovato carattere globale, allo scopo di comprendere meglio uno dei fenomeni di cui oggi non sempre si riesce a percepire la portata e la complessità.
Questo lavoro, è bene precisarlo, non vuole avere uno scopo meramente conoscitivo e prende avvio dall’esigenza di ripensare l’antifascismo, partendo da una condivisa e diffusa sensazione di inefficacia e di impotenza che oggi vive chi si pone su di un terreno rivoluzionario in Italia davanti a questa situazione. Per farlo, discuteremo con compagne e compagni che in giro per il mondo stanno conducendo altre esperienze, che stanno lottando contro il fascismo con forme e pratiche differenti. Consapevoli che il piano tattico non può mai essere uguale a se stesso e che ogni situazione ha le sue specificità e come tale non può essere semplicemente ripresa se decontestualizzata, o senza essere rielaborata localmente, cercheremo di trarre ispirazione da queste diverse esperienze, sia per approfondire la conoscenza del nemico e delle diverse sfumature che esso assume, sia per trarne ispirazione per costruire una nuova politica dell’antifascismo fatta di pratiche più efficaci e di un immaginario più potente di quello attualmente a nostra disposizione.
Partiamo da una tesi tanto semplice da dire quanto difficile da comprendere: il fascismo è tornato ad essere una opzione praticabile nel presente. In Europa e nel mondo è forza d’opinione dilagante, è movimento e partito, è dentro e fuori i parlamenti, è parte integrante della democrazia, è nel nostro pensare e nel nostro agire. La capillare diffusione del fascismo, in tutte le sue declinazioni, è oggi un’evidenza a tal punto che è divenuto l’argomento preferito con cui riempire le pagine dei quotidiani ed i servizi televisivi dei migliori media mainstream “sinceramente democratici”. Non è un caso che l’antifascismo, di conseguenza, sia divenuto un simpatico brand da campagna elettorale agitato continuamente per invitare i cittadini a conservare l’esistente. È antifascista la Boldrini, è antifascista Pietro Grasso, è antifascista Bersani, è antifascista perfino Minniti. Potremmo perfino illuderci di poter finalmente gridare Siamo tutti antifascisti! senza dover immediatamente pensare a quanto la realtà sia distante dal nostro slogan. Certo, questo se intendessimo assumere la retorica sinistroide della difesa della democrazia e dei suoi valori incarnati nella ‘resistente’ costituzione del ’48. E se ancora concepissimo il fascismo come un qualcosa di incompatibile con l’ordine democratico, come rivoluzione contro la democrazia. Il fascismo, infatti, è sempre stato compatibile con il paradigma democratico, dalle democratiche elezioni nella Repubblica di Weimar a quelle dell’attuale presidente della Federal Republic of the United States of America, proprio per questo è sempre stata una possibilità aperta ed un’opzione praticabile. Perché, prima ancora di divenire un regime dittatoriale, il fascismo è un dispositivo che plasma le relazioni sociali ed i comportamenti di ciascuno. Per questo oggi il fascismo ritrova anche tutta la sua attualità se contestualizzato nel paradigma globale securitario. Le campagne mediatiche e politiche si concentrano tutte sull’allarme terrorismo, l’emergenza migranti e sulla necessità costante di misure anticrisi infondendo così angoscia, insicurezza e paure. Il fascismo, inteso come dispositivo comportamentale, si configura allora come risposta coerente al desiderio di sicurezza e controllo indotto dalle campagne di isteria governamentale. Diventa sempre più senso comune la paura contro il migrante e lo straniero che in tempi di crisi ruba il lavoro e sottrae case popolari, si organizzano ronde “spontanee” per sentirsi più sicuri nelle strade e per lo stesso motivo si pretende una militarizzazione dei quartieri. Tutto ciò per sentirsi meno emarginati, meno soli, meno poveri… Più sicuri insomma! Si vedono e si stanano ovunque gli stranieri come nemici pur condividendone la stessa miseria economica ed esistenziale, si aprono migliaia di micro-conflitti con chiunque per vincere paradossalmente proprio la solitudine e l’emarginazione. Ogni territorio è dilaniato da micro-fratture che si fanno sempre più violente fino a diventare una sorta di guerra civile a bassa intensità ed è per questo che NO! non solo non siamo tutti antifascisti, ma è in questa guerra che i fascisti combattono e vincono le loro battaglie. La forza delle organizzazioni fasciste oggi, da Alba dorata a CasaPound, da Jeunesse identitaire all’Alt-Right americana, sta non solo nella loro forza elettorale o nel loro radicamento territoriale ma soprattutto nella loro capacità di basare le loro politiche sulle condizioni emotive della popolazione. Non è un caso che, in Italia ad esempio, difendano le famiglie italiane dagli sfratti, che propongano lo sgombero delle case popolari assegnate agli stranieri, che distribuiscano generi alimentari di prima necessità alle famiglie indigenti, purché italiane chiaramente, che abbiano mezzi materiali e l’addestramento necessario per agire in territori devastati da catastrofi naturali, che organizzino ronde anti-spaccio, laddove lo spaccio non sia gestito dagli italiani si intende, e che marcino in migliaia per la chiusura dei campi rom o dei centri di accoglienza o più in generale “contro il programma di sostituzione etnica”. Le organizzazioni fasciste a livello globale si pongono come soluzione alla crisi, alle paure, al bisogno di sicurezza e alla miseria del presente, ed è per questo che sono un’opzione non solo attuale e praticabile ma anche apparentemente desiderabile. Su questo punto è però utile essere molto chiari: la contesa tra sinistra e fascisti, adesso in Italia come già avvenuto un po’ ovunque nel mondo, non è basata su di una divisione tra pro-sistema e anti-sistema, ma è una battaglia per chi deve essere a capo della controrivoluzione. È per questo che non ci si meraviglia delle somiglianze tra le ordinanze anti-migranti del PD in Italia o dei socialisti in Francia con una certa pruderie esplicitamente razzista dei fascisti. È per questo che ora in Italia per la sinistra i fascisti sono diventati un problema, mentre negli scorsi anni gli ha fatto comodo tollerare le loro schifezze. È per questo infine che, per i rivoluzionari, la battaglia contro gli uni non può essere disgiunta da quella contro gli altri.
C’è da dire che la capacità organizzativa dei gruppi fascisti prende forza, come già avvenuto in passato, anche a causa del loro puntare su di una dimensione direttamente esistenziale. Essi propongono non solo un immaginario potente e degli slogan vincenti su questo piano, ma uno stile di vita che permea ogni aspetto della quotidianità dei loro militanti. Hanno le loro sedi per dibattiti ed azioni politiche, i loro bar e ristoranti dove lavorare e divertirsi, le loro associazioni benefiche in cui fare volontariato per lavarsi la coscienza, le loro palestre e federazioni sportive in cui allenarsi e diventare più sicuri, le loro liste elettorali in cui candidarsi, i loro negozi e brand di abbigliamento in cui vestirsi per riconoscersi e appartenere, le loro squadre di calcio da tifare e i loro gruppi musicali da ascoltare, i loro giornali da leggere e le loro radio da seguire. Un’organizzazione fascista oggi ti offre l’opportunità di fare un’esperienza di vita a 360 gradi, ti offre un’opzione etica, una forma di vita, quella fascista appunto. È questa la vera questione centrale del presente! Oggi più che mai per vincere la miseria del quotidiano si aderisce con entusiasmo a qualcosa che possa cambiarci l’esistenza, si cerca un’idea in cui credere, uno scopo da realizzare, un contesto a cui legarsi ed appartenere, insomma una vita da vivere. Noi, come antifascisti, non abbiamo un’opzione altrettanto forte da proporre, alle volte non abbiamo neanche un discorso politico all’altezza dei tempi da esprimere, né un immaginario potente da evocare né una forza reale da opporre. Nella nostra frammentarietà diffusa, invece di assumere positivamente questo dato di fatto, abbiamo lasciato andare qualsiasi cura tanto per le capacità organizzative che per le nostre forme di vita. Riproponiamo troppo spesso pratiche uguali a loro stesse anche quando già si sono dimostrate inefficaci, senza riuscire a compiere alcuno sforzo di immaginazione che sappia sorprendere non solo il nemico ma anche noi stessi.
Pare si sia infranto anche il nostro sogno del frontismo antifascista unitario. Quell’idea secondo cui, malgrado la frammentazione, si accorreva in blocco contro i fascisti pur in assenza di una qualunque strategia comune. Abbiamo finalmente compreso che agendo solo per reazione all’ennesima emergenza arriviamo comunque troppo tardi, ognuno con la sua idea di antifascismo, nella totale incapacità di capirsi, di coordinarsi, di ascoltarsi e di conseguenza di prendere le giuste decisioni in tempi brevi. Dopo aver subìto contemporaneamente fascisti, polizia e pompieri possiamo definitivamente dire che la bolla del frontismo antifascista è scoppiata. L’unità, in qualunque forma si presenti, democratica di sinistra o democratica e fascista, è sempre un tema controrivoluzionario.
È in questa fase di crisi della militanza in generale, e di quella antifascista in particolare, che avvertiamo la necessità di iniziare un lavoro di inchiesta che ci possa portare a compiere una riflessione su cosa significhi l’antifascismo oggi. Un’inchiesta globale che riesca ad attualizzare l’essere antifascisti, che ci porti a superare una concezione dell’antifascismo che vive nella migliore delle ipotesi della sola reattività all’emergenza dell’intervento fascista, nel mito della Resistenza e dei soliti slogan degli anni ’70. Un’inchiesta che al tempo stesso ci faccia conoscere le forme che il fascismo oggi assume nei vari frammenti del mondo, perché solo se si conosce approfonditamente il nemico lo si può combattere efficacemente. Proprio per questo ci interessa discutere di questi temi con coloro che lottano contro il fascismo in Grecia, in Spagna, in Francia, negli Stati Uniti, in Germania e ovunque nel mondo siano agiti un discorso ed una pratica antifascista che non si riducano alle sole forme vertenziali, per quanto a volte necessarie, di un antifascismo militante a progetto, ma che sappiano inserirsi in una più complessiva lotta contro il presente. Come le lotte degli ultimi anni in Grecia, in Spagna, in Francia e negli Stati Uniti hanno dimostrato, l’antidoto più efficace contro il fascismo è la presenza di movimenti forti e conflittuali: alla polizia e ai fascisti nelle strade si risponde solo con i rivoluzionari nelle strade.