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Da Bolzano a Bologna lo squadrismo paga?

Nelle elezioni comunali di Bolzano i «fascisti del terzo millennio» hanno raggiunto il 6,7% ottenendo tre consiglieri. Senza dubbio il terreno era favorevole, se solo si pensa che nelle elezioni comunali del 1989 l’MSI risultò il primo partito della città. Ma quel che fa oggi la differenza è che i quartieri popolari hanno premiato pestaggi, squadrismo e razzismo.

A Bolzano, lo scorso anno un gruppo di studenti di sinistra è stato aggredito dai neofascisti. E poco dopo il copione si è ripetuto al comizio di Matteo Salvini, con i militanti di CasaPound che si sono scagliati contro chi contestava. A gennaio, il pestaggio di un 17enne per cui è stato rinviato a giudizio Davide Brancaglion, numero tre del gruppo neofascista, che domenica scorsa è stato confermato nel consiglio di zona con oltre 200 preferenze. E candidare i protagonisti di pestaggi e violenze è una strategia perseguita anche altrove.

Accanto allo squadrismo per mettere a tacere l’antagonismo sociale, vi è poi la propaganda xenofoba e populista che in tempi di crisi riesce a ottenere voti, tanto più in una città come Bolzano vicina al valico del Brennero. Né va meglio dall’altra parte del confine: secondo i dati più recenti dell’Ufficio federale di salvaguardia della Costituzione, in Austria le aggressioni e i crimini di gruppi di estrema destra e neonazisti sono aumentati del 40% in un solo anno. E il consenso cresce.

D’altronde, ormai il neofascismo sta dentro l’ingegneria politica dei ceti dominanti proprio in quanto serve a ridefinire lo spazio della «democrazia» in senso autoritario, ed è un elemento che fa sempre più sistema entro il quadro istituzionale.

Basterebbe a dimostrarlo la vicenda bolognese dell’ex Consorzio Agrario. Non solo la Procura di Bologna ha affidato l’immobile sotto sequestro all’ex pugile neofascista Alessandro Lucia per farne una sorta di centro sociale di estrema destra, ma Forza Italia ha ora candidato proprio Alessandro Lucia alle elezioni comunali, e altri neofascisti o «nazionalisti» che gravitano intorno al progetto dell’ex Consorzio Agrario sono finiti in varie liste elettorali della destra. Nel silenzio totale delle istituzioni cittadine…

E basta vedere, sempre a Bologna, la sostanziale identità di vedute tra Merola, Ilaria Giorgetti e Lucia Borgonzoni dinanzi alla prima manifestazione femminista e queer autonoma in Italia prevista per sabato 21 maggio a Bologna…

Non è che Merola o Giorgetti siano fascisti, ma aprono la strada ai fascisti proprio in quanto devastano, con il loro squadrismo delle «regole», la ricchezza sociale di quella parte di città che ancora sogna un avvenire diverso!

Ora e sempre resistenza!

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La Resistenza delle donne

Riceviamo e condividiamo le parole pronunciate da una compagna femminista sul palco del Pratello R’esiste il 25 aprile scorso.

Fino alla fine degli anni ’70, la storiografia ufficiale sulla Resistenza continua a proporre la formula del «prezioso contributo femminile» nell’accezione della convergenza temporanea e non del «fare» Resistenza, «far parte integrante» di una lotta.

Bisognerà aspettare la pubblicazione di alcuni testi («La resistenza taciuta», a cura di A.M. Bruzzone e R. Farina, 1976; «Compagne» di B. Guidetti Serra, 1977) per dar conto di una ricostruzione più attenta della partecipazione delle donne. Per sgomberare il campo da retaggi culturali che obbligano le donne in posizione di subalternità anche quando, armi in mano, pareggiano il conto tra il bisogno di liberarsi dal nazifascismo e quello di rivendicare la libertà di donna.

Nella storiografia resistenziale, difatti, alle donne sono state  riservate le classiche appendici di 2 paginette nei tomi che ne contano 600….

Questo è quanto invece offre in gran parte la memorialistica, nel rendere omaggio a qualche icona femminile, protagonista nella storia della Resistenza.

«A Firenze ci fu per esempio una ragazza di nome Tina Lorenzoni. Aveva 25 anni. […] i tedeschi e i repubblichini controllavano con ogni mezzo le rive del fiume. […] Per ben tre volte Tina riuscì ad attraversare le linee per assicurare il collegamento tra i resistenti. Venne presa e messa in prigione: tentò di fuggire. Venne ripresa, fucilata. La motivazione della medaglia d’oro che anni dopo le fu conferita, dice di lei: “angelo consolatore tra i feriti”. Tutta quella spericolatezza, tutto quel coraggio, umiliate da un qualche funzionario addetto alla scrittura, che non conosceva le parole da pronunciare per definire una persona come Tina».

[Marisa Ombra, Libere sempre: una ragazza della Resistenza a una ragazza di oggi, Torino, Einaudi, 2012]

Nella realtà i compiti dei Gruppi di Difesa erano numerosi: il sostegno ai prigionieri e alle loro famiglie attraverso il Soccorso Rosso, la mappatura degli spostamenti delle truppe tedesche e dei punti minati, la raccolta di fondi, vestiti e beni di prima necessità per le brigate partigiane, la redazione di articoli per i giornali clandestini, la compilazione di documenti falsi, gli assalti a magazzini di viveri, il trasporto di ordini, armi e munizioni, l’attivazione di reti di assistenza nelle case e negli ospedali.

Si tratta di un insieme di compiti essenziali sia per lo sviluppo della lotta armata che per la tutela materiale della comunità; ed è molto più di quanto lasci intravedere il termine miniaturizzante di staffetta. Essere una organizzazione di “base”, con un termine geometrico che fa pensare a una valutazione politica diminutiva, significa invece, ed ha significato allora, essere fondamenta, senza le quali il resto non può reggere.

Ma i GDD non hanno rappresentato solo uno degli organismi della resistenza al nazifascismo, essi ebbero sin da subito anche un preciso indirizzo relativo alla condizione femminile, in particolare al nesso tra lotta di liberazione ed emancipazione.

Sin dal programma d’azione del 1943, i GDD rivendicano l’eguaglianza della donna nella vita civile, la risoluzione del problema del doppio lavoro (quello fuori casa e quello domestico), l’accesso a qualsiasi professione e percorso di istruzione e soprattutto condizioni paritarie di retribuzione.

È su questo terreno che, a liberazione avvenuta, ha trovato la sua radice un grande sciopero, tutto femminile, il 14 luglio 1945, per ottenere la parità d’indennità di contingenza con gli uomini.

«La Stampa», la busiarda, non dà notizia della imponente manifestazione che una settimana dopo, per diramare un comunicato del Governo Militare Alleato, che preso atto che nei giorni precedenti vi è stata a Torino una :«manifestazione disordinata di lavoratrici diretta a conseguire un trattamento di carovita uguale a quello dei lavoratori», e sconfessa l’esito vittorioso, poiché: «la firma del rappresentante dell’Industria non è stata apposta liberamente, in quanto sono state esercitate delle pressioni su di lui sia con una tumultuosa dimostrazione che è culminata nell’invasione della sede dell’Unione degli Industriali, sia perché gli furono prospettate gravi responsabilità per futuri disordini».

Infine, l’Ufficio regionale del lavoro, comunica che le rivendicazioni delle lavoratrici sono state accolte. E Torino fu l’unica città in cui, per un anno, le donne godettero della parità di indennità di contingenza con gli uomini. Dopo fu un’altra cosa. Non troviamo traccia nel resto della pubblicistica di questa importante manifestazione, né di tanti aspetti dell’attività dei GDD.

Non c’è più la contingenza salariale ma il divario retributivo persiste nei secoli. Il divario esiste quando uomini e donne ricevono un diverso compenso per lo svolgimento di uno stesso lavoro o di un lavoro equivalente. Un divario retributivo di genere compreso fra il 17 e il 22% con picchi fino al 60% nei lavori autonomi, significa che le lavoratrici ricevono una paga oraria inferiore rispetto ai corrispondenti lavoratori maschi. Il divario retributivo di genere è sia causa sia conseguenza della disparità fra i uomini e donne.

Se a questo si aggiunge la precarietà selvaggia del lavoro soprattutto femminile che richiede più flessibilità per garantire il lavoro di riproduzione; si aggiunge la conciliazione tra tempo di vita e di lavoro introdotta dal Job Act, che di fatto aumenta le opportunità di permessi per motivi familiari ma sottraendoli dalla retribuzione (provvedimenti che sono stati avallati dalle neofemministe del «pensiero della differenza» e dai sindacati confederali); se si aggiunge il taglio drastico del welfare o lo spostamento dello stesso su piani privatistici-aziendali; se aggiungiamo l’aumento dell’età pensionabile, l’uso selvaggio del voucher impiegato per più del 50% sul lavoro delle donne si capisce che 70 anni sono passati invano e che abbiamo 1000 motivi per tornare a lottare.

In ultimo, e non per importanza, hanno dichiarato guerra alle donne: centinaia di donne uccise ogni anno. Quando si dichiara guerra alle donne le compagne partigiane ci hanno insegnato che bisogna impugnare le armi della lotta dura e dell’autodeterminazione.

È quello che stanno facendo le compagne Kurde, che da 40 anno lottano anche contro il patriarcato, il più arcaico, il più duro; e che ci insegnano che qualunque processo di liberazione non può prescindere dalla liberazione delle donne.

È a tutte loro che dedichiamo questo 25aprile.

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[Imola] dom 15 mag h.12.30: pranzo di presentazione del Festival Imola Antifascista

Domenica 15 maggio 2016, tra una forchettata e un bicchiere di vino, si terrà dalle 12.30 al Csa Brigata 36 (via Riccione 4, Imola) si terrà un pranzo di presentazione del Festival Imola Antifascista!

Il 28 e 29 maggio Imola Antifascista organizza due giorni di festa con musica, sport popolari, dibattiti e tanto altro…

Domenica 15 maggio sarà un’occasione per presentare la festa e coinvolgere chi volesse dare una mano o anche solo avere informazioni su cosa c’è in programma!

cartellone

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2 agosto: l’ennesimo (e solito) depistaggio di Stato

Negli ultimi giorni la Commissione d’inchiesta sull’omicidio di Aldo Moro ha dichiarato di aver messo le mani su un documento «desegretato», ossia non più coperto dal segreto di Stato, e tuttavia «non divulgabile» e «non trascrivibile», in cui ci sarebbero, a detta di Carlo Giovanardi, rivelazioni «esplosive» sulla strage del 2 agosto.

Di «esplosivo», il 2 agosto 1980, c’è stata solo una bomba neofascista che ha spezzato 85 esistenze e ne ha travolte tantissime solo perché lo Stato voleva riportare ordine e disciplina in un paese che chiedeva più libertà e più giustizia sociale…

Quanto poi alla presunta rivelazione, si tratta della solita, fantasiosa «pista libico-palestinese» già archiviata nel 2015 e che comunque, al di là di tutte le inverosimiglianze, non spiega né il particolare tipo di esplosivo né l’innesco della bomba del 2 agosto. E la colpa poi sarebbe di Gheddafi che, oggi come oggi, non può né smentire né confermare.

Va anche apprezzata la barzelletta della «desegretazione» dei vecchi documenti coperti da segreto di Stato: ora quei documenti non sono più «segreti», ma sono «non divulgabili» e «non trascrivibili»… Una panacea per tutti i depistaggi passati, presenti e futuri, perché il politico o funzionario di turno potrà richiamarsi a documenti che nessuno può vedere né esibire.

Davvero pare difficile capire come mai politici e funzionari di Stato si ostinino, ancora oggi, a effettuare depistaggi sulle grandi stragi nere del Novecento. Ma il fatto è che proprio la cancellazione delle «stragi di Stato» è diventato, nel corso degli anni, un campo di prova in cui il potere sperimenta fino a che punto è capace di rimodellare il passato a piacimento.

Lo stesso potrebbe dirsi per i gruppuscoli neofascisti. In sé non contano quasi nulla e il massimo che potrebbero fare è ferire o uccidere ogni tanto qualcuno che sia loro sgradito. Ma proprio l’acquiescenza o il favore verso il neofascismo serve alla politica istituzionale per ridefinire lo spazio pubblico di una democrazia sempre più autoritaria.

È anche il caso del romanzo noir del diplomatico fascio-rock Mario Vattani, vicino ai neofascisti di CasaPound, che è stato presentato qualche giorno fa nella prestigiosa sede romana del Circolo degli Affari Esteri, presieduto dallo zio di Vattani, Umberto, anche lui diplomatico di lungo corso ed ex segretario generale del Ministero degli Esteri. Presentare il romanzetto di un neofascista non significherebbe molto, se non fosse un modo per ridefinire gli assetti istituzionali del potere culturale.

Quel che conta non è certo l’arte o la ricerca della verità, ma solo la spinta involutiva e autoritaria che il potere vuole imporre a una società in cui lentamente cresce la coscienza dello sfruttamento e dell’oppressione. E, a tal fine, va bene ogni menzogna, ogni idiozia nazistoide, ogni romanzo d’accatto.

Ora e sempre resistenza!

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[Rimini] Denunce, perquisizioni e arresti

Come al solito lo squadrismo neofascista fa il paio con lo squadrismo legale delle istituzioni. Tanto più che il PM a capo dell’indagine, Paola Bonetti, è parente stretta di uno dei fondatori della sezione riminese di Forza Nuova, arrestato anni fa per il tentato incendio di uno spazio occupato (vedi Contropiano). Riceviamo e condividiamo:

Rimini 06/05/2016. Questa mattina con un’assurda operazione poliziesca 6 persone sono state condotte agli arresti domiciliari con restrizioni e sono state notificate più di 20 denunce a piede libero per i fatti del 9 marzo 2014 in cui alcuni antifascisti riminesi rischiarono di perdere la vita per accoltellamento da parte di noti fascisti della zona.

L’inchiesta non ha portato ad alcun provvedimento restrittivo per i fascisti coinvolti, nonostante si sia da poco concluso il processo con una condanna a loro carico per tentato omicidio.

Questa è l’ennesima dimostrazione di come i fascisti abbiano piena legittimità e copertura ad agire indisturbati nelle nostre città, mentre la repressione agisce sempre sugli antifascisti e su chi lotta per un mondo più giusto al rischio della propria vita.

Seguiranno aggiornamenti.
Liber* tutt* subito! L’antifascismo non si processa!

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[RA] ven 13 mag h.19: assemblea contro le ronde di Forza Nuova

Oggi il tentativo dei neofascisti di mimetizzarsi e di far propaganda si avvale di molteplici strategie. Ad esempio, da qualche anno i neofascisti si travestono da Onlus per carpire qualche soldo del 5×1000 (qui un quadro ricco di informazioni interessanti). Oppure, fanno le loro «passeggiate per la sicurezza» solo per diffondere allarme sociale e razzismo. Riceviamo e volentieri condividiamo quest’iniziativa degli antifascisti ravennati.

Forza Nuova riprova a mettere piede a Ravenna con ronde in zona stazione. Il 13 maggio assemblea pubblica antifascista al nuovo spazio MPA. Di seguito il comunicato d’indizione:

Apprendiamo dai social network e da qualche testata locale che Forza Nuova ha effettuato la sua prima «passeggiata contro il degrado» a Ravenna.

Dopo più di un anno dalla meschina figura di Piazza del Popolo, dalla quale furono cacciati da una determinata folla di antifascisti e antifasciste ravennati, i forzanovisti provano a mettere nuovamente piede in città tramite la scusa della carenza di sicurezza in zona stazione. Peccato che di pericolosi criminali non se n’è vista l’ombra e i coraggiosi epigoni del Duce si sono dovuti accontentare di un paio di selfie, con tanto di pettorina catarifrangente, in mezzo a qualche cassonetto fuori posto.

Sta di fatto che Ravenna non ha mai tollerato questi tentativi (per quanto risibili!) di radicarsi tra le sue mura: il razzismo, la xenofobia e il tentativo di fomentare guerre tra gli strati più bassi della società tramite la retorica del primato nazionale sono stati sempre e prontamente rifiutati. E non sarà un corpo estraneo e, oltretutto proveniente da fuori città, come Forza Nuova ad introdurli!

Per questo chiamiamo a raccolta tutti gli antifascisti e le antifasciste di Ravenna e della Romagna in un’ASSEMBLEA PUBBLICA, per organizzarci e affermare come la desertificazione e l’impoverimento dei territori non si combattano tramite politiche securitarie e di esclusione, ma tramite la costruzione di quartieri meticci e all’insegna della solidarietà sociale.

CI VEDIAMO VENERDÌ 13 MAGGIO ALLE 19 ALL’MPA
(Via Magazzini Posteriori, 3)

link facebook da far girare:
https://www.facebook.com/events/887678748008110/

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[BO] E ora spunta anche Galeazzo…

Dopo la festa antifascista e antirazzista in Piazza dei Colori contro il tentativo di aprire una palestra neofascista per squadristi all’interno dell’ex Consorzio agrario di via Mattei, tutt’a un tratto i giochi si fanno più chiari e più nitidi…

Da oltre un anno la Lega Nord ha promosso presidi xenofobi in Via Mattei chiedendo a gran voce il recupero dell’ex Consorzio agrario affidato poi dalla Procura… a un ex pugile di estrema destra.

Ora, stando al «Corriere di Bologna», proprio l’ex pugile sarebbe finito tra i candidati che Forza Italia ha voluto inserire nella lista elettorale della leghista Lucia Borgonzoni. Così, dopo aver dichiarato qualche mese fa che era pronto a «uccidere gli zingari», adesso l’ex pugile si è subito fatto notare per un post fascista su Facebook e per un «sia sempre lodato Benito Mussolini». Si tratta, secondo il «Corriere di Bologna», di tal Alessandro Lucia, 36enne di Catanzaro, custode giudiziario dell’ex Consorzio agrario di via Mattei in cui, appunto, vorrebbe aprire una «palestra per sport da combattimento».

Ma come mai un personaggio così improbabile prima è diventato «custode giudiziario» di un’ampia area sotto sequestro e ora è candidato nella principale lista della «destra moderata»?

Sempre secondo il «Corriere di Bologna», Alessandro Lucia sarebbe stato candidato da Galeazzo Bignami, e non è un mistero che Bignami da anni trami nell’ombra per ricostituire a Bologna un’area della destra militante e squadrista, forse per nostalgia dei tempi in cui era a capo degli squadristi del FUAN.

D’altra parte, nel progetto di recupero dell’ex Consorzio agrario si sono mobilitati, accanto ad Alessandro Lucia, anche i neofascisti di «Bologna sociale», sedicente gruppo «apartitico», che così veniva descritto da un ex dirigente di CasaPound:

«Bologna sociale […] altro non sarebbe che un raggruppamento di esponenti delle varie sigle di destra della città. Ad animarla, militanti di CasaPound, Forza Nuova, di Fiamma tricolore, delusi o non proprio entusiasti di Fratelli d’Italia e anime sparse e orfane dei grandi partiti del recente passato […]. Pare gradiscano la spinta che, per riunire tutti questi percorsi diversi, avrebbe impresso niente meno che Galeazzo Bignami».

E qui si vede bene come il tramite fra squadrismo di strada e squadrismo di palazzo sia proprio Bignami che da una parte coltiva amicizie con gggiovani esaltati e dall’altra tratta con istituzioni e forse pure con magistrati la concessione di spazi per un bel centro sociale di estrema destra travestito da «palestra» e da «recupero urbano»…

Intanto pare che Lucia sarà scaricato da Forza Italia. Del resto, dalle sue dichiarazioni al «Corriere di Bologna», si direbbe che cerchi una qualunque ruspa tanto per sfogarsi un po’ sui primi «zingari» che trova…

«Se la politica non mi vuole non mi interessa, continuerò la mia battaglia da cittadino, come ho sempre fatto. Anche perché la politica parla e basta. Per esempio Salvini parla di ruspe, se si passasse ai fatti io salirei senza problemi su una ruspa per tirare giù il campo rom».

Tra un mese costui vorrebbe aprire la sua palestra…

Noi riteniamo gravissimo che la Procura di Bologna, in un modo che a noi riesce del tutto opaco e quasi nero, si sia presa la responsabilità di promuovere un centro sociale per squadristi e fanatici razzisti in una città che non li vuole e che lo ha dimostrato con la partecipata festa antifascista e antirazzista di sabato scorso.

Verrebbe quasi da chiedersi se anche il procuratore Valter Giovannini partecipava agli «addio al celibato» hitleriani dell’avvocato Bignami…

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Intervento sull’Egitto delle femministe e lesbiche di Bologna al Pratello R’esiste

Quello che segue è l’intervento delle femministe e lesbiche di Bologna letto dal palco del Pratello R’esiste lo scorso 25 aprile. Anche noi crediamo che si tratti di denunciare e contrastare con forza la complicità dell’Europa con la repressione, la tortura, il massacro, le sparizioni, gli stupri che vengono commessi impunemente sui corpi delle egiziane ed egiziani. Solo ieri, 25 aprile, in Egitto sono state arrestate altre 239 persone.

LA DITTATURA DI AL SISI UCCIDE E REPRIME E L’ITALIA È COMPLICE


La repressione brutale della dittatura del generale Al Sisi

Il popolo egiziano è sceso in piazza il 25 aprile per denunciare, non tanto la vendita di 2 isole strategiche all’Arabia Saudita ma soprattutto il brutale regime militare di Al Sisi. In vista della manifestazione del 25 Aprile al Cairo, il dittatore ha deciso di applicare delle retate massive per impedire alle egiziane ed egiziani di scendere in piazza. Ci sono stati più di 200 arresti negli ultimi giorni, le persone venivano prelevate dalle proprie case, mentre camminavano per strada o erano in un bar, di tanti non si sa dove li hanno portati. Sono stati torturati, avvelenati, violentate/i. Già durante la manifestazione del 15 Aprile, sono state arrestate 25 persone solo al Cairo, uno di loro è stato denudato per strada da sbirri in borghese e poi caricato su una camionetta e massacrato, altri hanno subito interrogatori coi servizi segreti e sono stati torturati. Purtroppo questi 25 arrestati sono ancora in carcere. Alcuni che sono stati arrestati prima della manifestazione sono stati rilasciati, con segni di tortura. Dopo il rilascio sono stati nuovamente arrestati, come nel caso di un ragazzo, che è stato ripreso mentre era in aeroporto e ora non si sa dove sia!

La tortura in carcere e le uccisioni per mano della polizia sono un fenomeno di tutti i giorni. L’organizzazione Al Nadeem (Centro di riabilitazione di vittime di tortura in Egitto) documenta per il 2015, 464 casi di sparizioni in carceri segrete e basi militari, e 1.676 casi di tortura. Di questi 500 hanno condotto alla morte del prigioniero. Solo questo febbraio, 111 casi di uccisioni per mano della polizia, 77 casi di tortura e 44 situazioni di negligenza da parte dei medici nelle prigioni. In particolare nel carcere di al-Aqrab, ribattezzato «il cimitero» dai familiari dei carcerati a causa delle condizioni inumane in cui vengono tenuti i prigionieri e della facilità con cui si trova la morte all’interno della struttura.

Tutto questo accadeva anche sotto la dittatura di Hosni Mubarak e durante l’anno di governo della Fratellanza Musulmana: allora furono documentati 359 casi di tortura, dal giugno 2012 al maggio 2013, di cui 217 finiti con la morte del prigioniero. Con il generale-presidente al-Sisi la situazione è pesantemente peggiorata. Le principali vittime della sanguinosa repressione sono state principalmente gli attivisti, gli studenti, i professori universitari ed i giornalisti con centinaia di persone scomparse.

La terribile scomparsa di Giulio Regeni mette in evidenza, purtroppo, la quotidianità alla quale sono soggetti le egizian@: arresti, torture, interrogatori violentissimi e incarcerazioni, praticati nelle stazioni di polizia o del «mukhabarat» (i servizi segreti egiziani). Nella stessa maniera sono stati respinti, espulsi o incarcerati anche i giornalisti stranieri, scomodi al regime. L’uccisione di Regeni si inserisce in una serie di violenze caratteristiche degli apparati di polizia e sicurezza, diventate una prassi a partire da luglio 2013 col Colpo di stato di Al Sisi. Niente è cambiato dopo la morte del ricercatore italiano anzi il regime ha intensificato la repressione e le sparizioni forzate di giovani.

Il consolidato rapporto politico-militare-industriale tra Italia ed Egitto

complici e dittatori

È assurda la complicità e l’ipocrisia dello stato italiano, dove Renzi, Alfano e Gentiloni si indignano e chiedono spiegazioni quando sanno perfettamente quello che succede in Egitto,  che finora hanno sempre sostenuto e armato.

L’Italia ha sempre «supportato» l’Egitto con armi, munizioni, e veicoli blindati destinati alla polizia. «L’Italia è l’unico paese dell’Unione europea che, dalla presa del potere del generale al-Sisi, ha inviato armi utilizzabili per la repressione interna nonostante la sospensione delle licenze di esportazione verso l’Egitto decretata nell’agosto del 2013 dal Consiglio dell’Unione europea», denunciano la Rete italiana per il disarmo e l’Osservatorio permanente armi leggere (Opal) di Brescia.

Nei cinque anni che hanno portato alla rivoluzione del 2011, l’Italia aveva venduto all’Egitto armi leggere e munizioni per un valore di 48 milioni di dollari. I camion della polizia che riempiono le strade di ogni città egiziana, che trasportano le forze antisommossa e che passano sopra i manifestanti sono prodotti da un’azienda italiana, la Iveco. Centinaia di migliaia di proiettili sparati contro i manifestanti possono essere ricondotti a una fabbrica italiana, la Fiocchi.

Le armi, però, sono solo una piccola parte di questa storia. Le aziende italiane fanno soldi in tutto l’Egitto. Prendiamo il cemento, per esempio: l’industria del cemento egiziana è il settore con i più alti profitti in un’economia che sta crollando. Quando il patrimonio pubblico è stato svenduto a causa dell’agenda neoliberale di Mubarak, tre grandi società sono arrivate a dominare la scena della produzione del cemento egiziano, di cui l’italiana Italcementi. Queste società, messe assieme, godono di un monopolio che consente loro di applicare prezzi fissi con percentuali di profitto sbalorditive, rese possibili anche, tra le altre cose, da condizioni di lavoro criminali e dall’elettricità che viene sovvenzionata dal governo egiziano.

Imprese come Italcementi fanno affidamento sull’apparato di sicurezza dell’Egitto per mantenere forte quel vantaggio competitivo. Se non fosse per il pugno di ferro dei servizi di sicurezza, se non fosse per la loro repressione della protesta, del dissenso, dell’attivismo sindacale quegli alti guadagni non potrebbero mai essere raggiunti.

Non dimentichiamo anche che in Egitto c’è Eni (dal 1957) con i suoi miliardari contratti e il giacimento di gas naturale (il più grande del mediterraneo) scoperto nell’agosto 2015; Enel, Edison, Banca Intesa San Paolo, Pirelli, le agenzie per il turismo come Valtour ed Alpitour e altre 123 aziende italiane.

Il supporto di Renzi alla dittatura egiziana si evidenzia nel giugno del 2014, dove diventa il primo leader occidentale a far visita ad Al Sisi dopo le elezioni, nel luglio 2015, durante una conferenza a Sharm el Sheik, dove Renzi definisce il dittatore Al Sisi (che l’ascoltava in platea) un «ottimo leader» ed ha anche lodato la sua «saggezza nel guidare il popolo egiziano».

Strategicamente il regime di Al-Sisi serve all’occidente. Sostiene politicamente quell’asse sunnita legata ai valori ed ai principi di «libertà e democrazia» sostenuti dall’Europa e dagli Stati Uniti, con altri due paesi: Arabia Saudita e Turchia. Entrambe queste nazioni, infatti, applicano le stesse misure repressive e poliziesche con brutalità, come in Egitto, nei confronti degli attivisti politici e dei giornalisti con retate, assassini e incarcerazioni. L’Egitto serve in politica estera: in Yemen ha sostenuto e partecipato alla coalizione saudita contro gli Houthi, in Palestina mantiene l’isolamento imposto da Israele nella striscia di Gaza con la chiusura del valico di Rafah e in Libia, attraverso il sostegno militare italiano, statunitense e francese, appare come il futuro attore principale per un eventuale intervento bellico in territorio libico.

Rompiamo questa complicità europea, in particolare quella italiana, che finanzia la repressione, la tortura, il massacro, le sparizioni, gli stupri che vengono commessi impunemente sui corpi delle egiziane ed egiziani, ma non stanno fermando i loro ideali di libertà.

ABBASSO LA DITTATURA DI AL SISI

LIBERTÀ PER TUTTE LE COMPAGNE E I COMPAGNI EGIZIANI!

femministe e lesbiche di bologna

 

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La Resistenza continua!

Sabato 30 aprile per denunciare pubblicamente il tentativo di aprire una palestra in via Mattei da parte dei neofascisti: “Non staremo a guardare”. Appuntamento in piazza il 2 agosto: “La resistenza continua”!

Lunedì 25 aprile 2016 un bel corteo ha attraversato la città da piazza dell’Unità a piazza S. Rocco.

Chi c’era ha sicuramente colto il senso e la portata del corteo. Più di mille antifascisti si sono incamminati per via Matteotti facendo una prima tappa davanti alla stazione ferroviaria. Qui è stata ribadita l’unica verità possibile sulla strage del 2 agosto 1980 (85 morti e 200 feriti): la mano è fascista, il mandante è lo stato. È stata quindi data voce ai migranti e no borders che hanno rivendicato la libertà di movimento per tutte e tutti contro i confini, i muri e il filo spinato, denunciando lo sfruttamento delle risorse dell’occidente e le guerre neocoloniali che sono alla base delle migrazioni.

Non ci stupisce che alcuni quotidiani locali non abbiano dato pressoché alcuna copertura mediatica a questa iniziativa nata e cresciuta dal basso e in senso anti-istituzionale, accennando più che altro a blocchi del traffico e preferendo intervistare sul senso del 25 aprile la candidata sindaco leghista Lucia Borgonzoni o contare quanti bicchieri di plastica si fossero accumulati vicino ai cassonetti adiacenti via del Pratello.

La manifestazione è poi ripartita risalendo via Indipendenza accolta da applausi e incoraggiamenti: in molti si sono uniti e la partecipazione nella tarda mattinata è stata davvero importante. Hanno preso parola tutti gli spezzoni presenti a indicare come l’antifascismo, la resistenza e la liberazione vivano nelle lotte di oggi: gruppi femministi e queer, occupanti di case, attivisti delle palestre e dello sport popolare, skins e punks, lavoratori e sindacalisti di base, migranti e antirazzisti, cucinieri ribelli (che hanno pubblicizzato il festival delle cucine popolari autogestite del 7-8 maggio), precari e studenti medi e universitari.

In Piazza Maggiore un cordone di polizia e carabinieri in assetto antisommossa si copriva di ridicolo difendendo (da chi e da cosa non si sa) il sacrario dei partigiani dove in mattinata si erano tenute le commemorazioni ufficiali. È parso chiaro a tutti i presenti che gli eredi dei partigiani sono gli antifascisti di oggi, capaci a 71 anni di distanza di dare nuovo significato alla lotta di liberazione: una liberazione dalle leggi razziste e dai confini statali, dallo sfruttamento fatto di stage e di precarietà, dall’omofobia e dal sessismo, dalla mancanza di alloggi, dallo smantellamento progressivo di tutti i servizi essenziali, dal saccheggio di ricchezza pubblica attraverso “le grandi opere” e la corruzione eretta a sistema, dagli intrighi mafiosi delle politica di palazzo e della farsa delle elezioni, dall’autoritarismo di un potere che manganella, denuncia e rinchiude chi dà voce alle lotte sociali.

Il corteo ha infine attraversato via Ugo Bassi e via del Pratello, dove gli organizzatori hanno preso la parola dal palco ribadendo la necessità di un antifascismo plurale e unitario che metta in rete le diverse e necessarie pratiche di conflitto e autogestione oggi presenti in città. Due compagne femministe, intervenendo dal palco, hanno denunciato la discriminazione economica e sociale che le donne si vivono oggi in Italia, e la repressione e le torture del generale Al Sisi contro i movimenti sociali egiziani, condotte con armi e mezzi in gran parte di fabbricazione italiana.

È stata quindi ricordata la prossima iniziativa di sabato 30 aprile per denunciare pubblicamente il tentativo di aprire una palestra in via Mattei da parte dei neofascisti: “Non staremo a guardare”. In ultimo è stato dato appuntamento in piazza il 2 agosto: “La resistenza continua”!

Nodo sociale antifascista // Bologna

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[BO] sab 30 apr h.14: … NON STAREMO A GUARDARE!!

… NON STAREMO A GUARDARE!!
Sabato 30 aprile alle ore 14 in Piazza dei Colori a Bologna

Contro il tentativo di aprire in sordina una palestra fascista di sport da combattimento all’interno degli spazi dell’ex Consorzio agrario in via Mattei, noi saremo in piazza a contrastarli con un esibizione ed allenamento all’aperto con i ragazzi e le ragazze della palestra popolare Stevenson. Ci sarà anche la presentazione di un libro su Dax, ucciso in un agguato neonazista perché militante antifascista nel 2003 a Milano. Più dettagli qui e qui.

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