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L’eroico Kota allo stupro di Torino


«La vittoria di Torino è clamorosa – sorride Cicchitto –. Politicamente parlando, uno “stupro”. La caduta della città […] comunista […]».

Questa, pubblicata dal “Corriere della Sera”, rappresenta una dichiarazione esemplare del fascismo contemporaneo, creativo, disinvolto, stile vivamafarka, il forum di CasaPound intitolato al romanzo futurista di Filippo Tommaso Marinetti Mafarka costruito intorno alla descrizione sadico-eroica di uno stupro di massa: «Scrissi dunque “Lo stupro delle negre” perché da una gran fornace torrida di lussuria e di abbrutimento potesse balzar fuori la grande volontà eroica di Mafarka», dichiarava Marinetti nel 1910. Oggi, cento anni dopo, c’è invece l’«eroico» Kota, cantato dal virile bardo di regime Cicchitto.

Così commenta Femminismo a Sud:

Questa affermazione spiega la modalità con la quale codesti personaggi intendono cavalcare, rimontare e stuprare l’italia. Lo stupro, per la cronaca, è uno strumento diffuso usato dai maschi dell’età coloniale fascista o degli stati coloniali in genere per segnare l’effettiva conquista dei territori espugnati.

Parlare di stupro riferendosi alla caduta di una città equivale a celebrare la cultura del ratto delle sabine, quella delle pulizie etniche, dell’appropriazione dei corpi delle donne nei paesi colonizzati da parte dei colonizzatori.

Parlare di “stupro” dopo una vittoria elettorale significa che questi signori intendono le elezioni come un rapporto non consensuale, come una appropriazione dei territori in cui vincono, come luoghi in cui piazzare la bandiera e spadroneggiare con i loro eserciti.

Se lo stupro si fonda anzitutto sulla cancellazione della soggettività altrui, pare che la politica istituzionale lo abbia segretamente eletto a grande metafora sessista delle sue incessanti operazioni autoritarie di conquista territoriale, economica, ideologica. E ciò vale anche per le miserie dell’antiberlusconismo spettacolare e vuoto alla Luttazzi e la presunta difesa della «libertà d’informazione»

Ha fatto qualche rumore ieri la cancellazione − poi rientrata, per la vibrante protesta del centrosinistra − delle parole “Resistenza” e “antifascismo” dai programmi della scuola secondaria. D’altro canto, nei nuovi programmi ministeriali si insiste continuamente, ossessivamente sull’importanza del dialetto, sul valore delle tradizioni locali, sulle grandezze dell’«identità nazionale», sul ruolo guida dell’«identità occidentale»…

Ed è un etnocentrismo implicitamente xenofobo che mette d’accordo tutto lo squallido, rapace, colluso ceto dirigente di questo paese. Resistere è opportuno, necessario, liberatorio. Non basta la parola su un programma, se la “resistenza” non si traduce negli atti ogni giorno.

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