Oggi, a centocinquant’anni dall’unità d’Italia, non risulta facile capire che cosa abbia rappresentato Roma e l’unità per la generazione dei combattenti del Risorgimento, subito scalzati da una classe dirigente canaglia, arroccata sul privilegio, disposta alla violenza sistematica, ai segreti di Stato e – già allora – alle stragi come nel 1861 quella mai chiarita del piroscafo Ercole.
Ma basta leggere l’Inno a Roma di Goffredo Mameli per rendersi conto che non si trattava del mito imperialista gerarchico e razzista del Fascismo, ma dell’esatto contrario:
Dimenticate o popoli
l’ire d’un dì che muore,
sarà la terra agli uomini
come una gran città:
libera, grande, unita
vivrà una nuova vita
la stanca umanità…
Strinse fratelli insieme
slavi, africani ed itali
un duolo ed una speme:
hanno un sol campo i popoli
ed un sol campo i re.
A chi allora si sollevò in armi, Roma antica appariva come una «gran città» che aveva unito persone e popoli al di là dei piccoli confini identitari e aveva insegnato il valore irrinunciabile della libertà e della solidarietà. Un ideale ingenuo, umanistico, senza ancora alcun richiamo a una liberazione dallo sfruttamento capitalistico e dalle disparità sociali e di genere. Un ideale che fu poi manipolato e ribaltato in modo tragico e caricaturale dalla propaganda fascista.
Ora l’organizzazione di estrema destra «Il Popolo di Roma», che rivendica una fascisteggiante «rivoluzione identitaria», ha imbrattato i muri di Roma con oltre 10.000 manifesti su cui si legge: «Fannulloni, ladroni, terroni? Taci padano. Noi siamo Roma. 3.000 anni di storia. Senato e popolo. Merito e qualità. Repubblica e democrazia. Radici civiltà e futuro d’Italia». Al centro un’immagine della lupa capitolina con le zampe poggiate sul tricolore.
Giuliano Castellino – portavoce del «Popolo di Roma», ex naziskin, già agitatore della curva romanista con il gruppo «Padroni di Casa», già animatore con Gianluca Iannone delle occupazioni dell’estrema destra a Roma, ex candidato alla Camera per Fiamma Tricolore, ex pupillo di Boccacci e ora mediocre valletto alla corte del sindaco Alemanno – ha spiegato così il costoso e insulso imbrattamento: «Rossi e i padani devono tacere e si devono ricordare che noi siamo Roma, 3.000 anni di storia. Siamo radici, civiltà e futuro d’Italia. Siamo tradizione e cultura, non un’invenzione come la Padania».
Non è difficile mostrare che, come l’inesistente Padania, anche il «Popolo di Roma» è un’invenzione degna delle furbizie pubblicitarie dei politicanti attuali, sempre alla ricerca di un posticino ben remunerato per sé e per gli amici.
I fascisti del «Popolo di Roma» promettono fiera vendetta «contro chi attacca il nome di Roma». Comincino pure da sé stessi che lo hanno infangato già abbastanza con il loro razzismo e servilismo.
One Response
Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.
Continuing the Discussion