Fassino, neosindaco di Torino, chiede manganellate contro gli attivisti NO TAV. Tal Alberto Ronchi, neoassessore alla cultura di Bologna, medita di chiudere le «altre biblioteche più piccole nei dintorni di Sala Borsa».
E intanto si moltiplicano iniziative inquietanti di repressione e persecuzione giudiziaria contro chi lotta per la libertà e contro le ingiustizie sociali (vedi ora anche l’analisi del Circolo Berneri su Repressione, solidarietà, violenza).
Non è improbabile che, nel prossimo futuro, la crisi della destra di governo possa aprire nuovi percorsi di normalizzazione, disciplinamento e austerità all’ombra di una «socialdemocrazia» autoritaria e patriottica.
Al riguardo ripubblichiamo un articolo apparso su «Umanità Nova» n. 19 del 5 giugno 2011: «un’ideologia fascista può essere costruita sia a partire da destra (simulando e ridefinendo le culture di sinistra), sia da sinistra (iniettando nella società dosi di nazionalismo, disciplinamento, irreggimentazione, punizioni esemplari dei “devianti”, ecc.)».
Poetiche della magistratura
Non v’è dubbio che l’unione fra metafora e diritto abbia sempre generato obbrobri, mostri e misfatti. Basti dire che il termine “razza”, che ha prodotto milioni di morti in ragione delle leggi razziali e coloniali del Novecento, era una metafora zootecnica: l’haraz o haras era in origine l’allevamento di cavalli. Sicché il magistrato che fa ricorso alle metafore non è affatto un poeta, ma ha sempre un che di fascistoide, perché usa il linguaggio per distruggere i significati, far violenza, manipolare le coscienze.
Ad esempio, a Bologna è in corso una campagna contro chi scrive sui muri: e di questi tempi la cosa non poteva certo assumere le forme della persuasione civile di fronte a un fenomeno espressivo di massa, ma è diventata subito una campagna pedagogico-giudiziaria contro qualche singolo writer eletto a mostro e criminale, per dare degli esempi simbolici. Ed ecco un magistrato che dichiara ai giornali: «le bombolette sono vere e proprie armi improprie che feriscono il corpo architettonico della città di Bologna». Un bel tentato omicidio metaforico, insomma.
Ma l’uso traslato, fantasioso, vendicativo della “legge” sembra affermarsi sempre più come nuova moda normalizzatrice, che viene sperimentata anzitutto nelle città amministrate dalle burocrazie del centrosinistra. Ancora a Bologna l’aver srotolato uno striscione dalla torre degli Asinelli può venir perseguito come «manifestazione non autorizzata» (a rigor di metafora, anche uno starnuto potrebbe essere considerato «manifestazione non autorizzata»). E intanto a Terni, a Bologna e a Firenze l’immagine poetica dell’«associazione a delinquere» porta in carcere, con gran facilità, persone colpevoli di esprimere il proprio punto di vista critico sul mondo. Insomma, evanescenti metafore giudiziarie, ma con pene applicate sempre alla lettera.
In aggiunta c’è la sempre più rabbiosa «tolleranza zero». A Padova, Cuneo, Urbino tutta la tolleranza delle istituzioni va a partiti e gruppi neofascisti e razzisti, e l’intolleranza giudiziaria si scarica contro chi li contesta in nome dei valori dell’antifascismo, dell’uguaglianza, della solidarietà sociale. Arresti, perquisizioni, denunce, fogli di via, obblighi di firma.
Giustamente i centri sociali delle Marche esprimono la loro preoccupazione di fronte ai segnali inquietanti di una fascistizzazione bipartisan: «Siamo chiaramente di fronte all’ascesa di una nuova fase autoritaria nel paese a cui non si può rispondere esclusivamente appellandosi a qualche articolo della Costituzione ma ribadendo quotidianamente la propria opposizione. Pensiamo alla foto scattata da un passante ad un locale della questura di Milano in cui, da una finestra aperta, si vede chiaramente una bandiera con tanto di croce celtica in bella mostra. Pensiamo al tentativo fortunatamente fallito di alcuni parlamentari di abrogare la disposizione della Costituzione che vieta la ricostituzione del partito fascista sotto qualsiasi forma. Pensiamo all’ambiguità e alla superficialità con cui la giunta comunale PD ha autorizzato un banchetto di propaganda neofascista nella piazza centrale della città senza considerare i problemi di ordine pubblico che la presenza di Forza Nuova avrebbe sicuramente causato visto i già noti precedenti. Pensiamo alla stragrande maggioranza degli organi di stampa, che liquidano il tutto in maniera ‘asettica’ come la schermaglia di pochi facinorosi».
Oggi la borghesia italica in fallimento cerca una qualsiasi organizzazione politica che sappia proteggere e perpetuare la sua condizione di privilegio e il suo dominio economico predatorio sulla società. Per un ventennio è bastata una democrazia autoritaria supportata da leggi razziste, campagne xenofobe, paranoia, islamofobia, gerarchizzazione sociale, perbenismo. Ora anche quel sistema di potere mostra la corda e, per controllare la rabbia diffusa dinanzi alla crisi economica e alla miseria crescente, sembra tornare all’ordine del giorno il “riformismo” del centrosinistra.
Non però che quel vuoto “riformismo” non contenga dei pericoli e delle tentazioni autoritarie. Come si sa, l’ideologia del Fascismo è nata storicamente da una rete di scambi e ibridazioni tra “destra” e “sinistra”, combinando lotta di classe e razzismo, dittatura del proletariato e stirpe eletta, socialismo e nazionalismo. Per costituire un regime reazionario di massa, l’ideologia nazifascista da sempre si è alimentata di discorsi rivoluzionari e sovversivi per virarli verso l’autoritarismo: da giovane Mussolini era socialista, Bossi un militante del PCI. Sicché un’ideologia fascista può essere costruita sia a partire da destra (simulando e ridefinendo le culture di sinistra), sia da sinistra (iniettando nella società dosi di nazionalismo, disciplinamento, irreggimentazione, punizioni esemplari dei “devianti”, ecc.). È una possibilità, in fondo nemmeno così remota, che corrisponde oggi a una contraddizione interna all’universo composito del centrosinistra.
Ma è un fatto che a Bologna, Firenze, Padova, Urbino, Terni, Cuneo le “poetiche della magistratura” non lasciano presagire nulla di buono. E l’avvisaglia potrebbe essere letta al limite in questo modo: ogni ideologia parafascista consolida gli interessi del potere mistificandoli attraverso le parole, la demagogia, l’oratoria, le narrazioni, lo spettacolo, il patriottismo, ma non fa avanzare in nulla la causa dell’eguaglianza e della giustizia sociale, anzi rafforza le gerarchie e i privilegi reali dietro lo schermo illusorio del “cambiamento”. Per questo le voci “stonate” vanno messe preventivamente a tacere.
Bisognerebbe allora aggiornare all’oggi una vecchia, lucida considerazione storica di Camillo Berneri: «Via, è forza riconoscerlo: il 90 per cento dell’entourage di Mussolini, del razzismo, delle gerarchie fasciste è di origine sovversiva. Quegli uomini hanno mutato tessera, il colore della cravatta e tenore di vita e argomenti demagogici, ma sono, in fondo, quei medesimi che sulle piazze e nei teatri scatenavano deliri sovversivi con girandole e razzi e con trovate da mercanti da fiera. […] L’oratore da piazza è stato una delle piaghe del sovversivismo italiano».
In fondo, aveva ragione Michel Foucault quando sosteneva, nel lontano 1977, che «la non analisi del fascismo è uno dei fatti politici importanti di questi ultimi trent’anni». La sua ombra nera si allunga ancora, indefinita e inquietante, sul nostro presente.