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Ipocrisie istituzionali

Non da oggi le violenze promosse dallo Stato e dai media sono infiorettate da una quota crescente di ipocrisia istituzionale.

È un esercizio decorativo in cui si cimenta sempre più spesso anche il presidente Giorgio Napolitano: un «servitore dello Stato» che forse rimarrà nella storia anzitutto come autore della legge Turco-Napolitano (poi Bossi-Fini), la prima legge di ispirazione razzista in Italia dopo le feroci leggi antisemite del 1938.

Una legge che ha impedito a uomini, donne e bambini «stranieri» di acquistare un semplice biglietto di viaggio per venirsene in Italia. Che li costringe a quello che i giornali chiamano, con lugubre eufemismo, i «viaggi della speranza». Che ha prodotto decine e decine e decine di migliaia di morti…

Tutt’a un tratto, dopo più di un decennio di stragi di migranti, l’intellighenzia del paese pare risvegliarsi. Claudio Magris scopre che ormai siamo assuefatti al fenomeno e ritiene che ciò sia incompatibile con la democrazia: «Questa assuefazione che conduce all’indifferenza è certo inquietante e accresce l’incolmabile distanza tra chi soffre o muore, in quell’attimo sempre solo, come quei fuggiaschi inghiottiti dai gorghi, e gli altri, tutti o quasi tutti gli altri, che per continuare a vivere non possono essere troppo assorbiti da quei gorghi che trascinano a fondo. È giusto ma è anche facile accusarci di questa insensibilità, che riguarda pure me stesso mentre sto scrivendo queste righe e tutti o quasi tutti coloro che eventualmente le leggeranno».

E qui vi è davvero un’ironia impareggiabile: il grande intellettuale ci dice che essendo tutti colpevoli non vi è in fondo nessun colpevole, proprio mentre i magistrati accusano pretestuosamente di «associazione a delinquere» chi ha lottato in questi anni contro le leggi sull’immigrazione e i CIE.

Dal canto suo, il presidente Napolitano coglie subito la palla al balzo, rispondendo così alla lettera del grande intellettuale: «Lei ha spiegato con crudezza, come miseria della condizione umana, l’acconciarsi a convivere con quella che diviene orribile “cronaca consueta”. Ma se in qualche modo è istintiva l’assuefazione, è fatale anche che essa induca all’indifferenza? A me pare sia questa la soglia che non può e non deve essere varcata».

Assuefarsi sì, «è fatale», ma senza alcuna indifferenza, continuando ogni volta a versare lacrime e proferire vani lamenti istituzionali e mediatici. Far finta di essere umani, salvare le apparenze, perché «questa è la soglia che non deve essere varcata». Dante Alighieri lo avrebbe collocato fra gli ipocriti che «avevan cappe con cappucci bassi dinanzi a li occhi, di fuor dorate, ma dentro tutte piombo…» (Inferno, XXIII, 61 ss.). Ed è un vero peccato che l’Inferno non esista se non qui, su questa terra, per i poveri, gli sfruttati, gli «stranieri».

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