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Fiori rossi e verità per Ivo Zini

da Bella Ciao

Come ogni anno si avverte più profondamente il dovere suggerito da quella rumorosa assenza che è dei nostri compagni caduti, spesso attuale strumento per vili comunanze pacificatorie a tutto vantaggio della parte avversa (come una seconda frettolosa mattanza), di riportare alla luce la storia di chi ha combattuto perché non vivessimo il fascismo che loro stavano vivendo.

Li vediamo correre attraversando una piazza, perdere la tolfa, essere segnalati, riconosciuti, li vediamo cantare, discutere, leggere un giornale da una bacheca alla sezione, come avrebbe fatto un qualsiasi compagno. Li vediamo afferrati per i capelli e giustiziati nel bel mezzo del giorno. Troppo spesso li vediamo solo citati negli slogan di rito e troppe poche volte abbiamo la netta percezione di cosa sia stato davvero il loro sacrificio. Perché la memoria non è fatta solo di parole incise, custodite, sbandierate nella retorica d’effetto o dattiloscritte, la memoria è vita che comunque contro ogni legge di natura, ma sempre figlia degli uomini e del tempo, si protrae anche a distanza di tanti decenni.

Ivo è stato uno di quei compagni, certamente perché la sua vita non ha visto, senza appellarsi a un giustizialismo di cronache televisive, ma un rendere alla sua morte il chiaro e una volta per tutte il nome di chi si armò, per una prova, per dare un segno ai camerati, per pareggiare i conti. Qualcuno mesi prima aveva identificato in Ivo un compagno che assieme ad altri si era mobilitato contro dei fasci. Altri preferiscono dire che era un militante ucciso a caso, come Scialabba. Non è un nome il suo che riempie le pagine di cronaca a distanza di tempo, eppure come ogni mistero e come ogni delitto insoluto il caso è e deve rimanere aperto.

Ci furono dei testimoni quella sera e l’assassino lo videro bene quando si avvicinò con il suo vespone bianco, non ebbe cura nemmeno di coprirsi bene il volto. Ivo Zini è stato ucciso da un commando che le successive indagini appurarono essere riferibili all’area neofascista della Capitale. Questa è la storia, quel giorno con lui due amici Vincenzo De Blasio, di ventotto anni, e Luciano Ludovisi, di trenta: Ivo, di soli 24 anni, il più giovane. Mentre leggevano gli articoli, da una Vespone bianco scesero due individui a volto coperto con in pugno un’arma da fuoco ed esplosero 4 colpi sui tre ragazzi. La velocità dell’azione impedì ai tre la fuga, Vincenzo e Ivo rimasero a terra, mentre Luciano rimase miracolosamente illeso. La vita scorreva calcando marciapiede davanti ai lotti di case popolari, con la sezione del Pci da una parte e il comitato degli autonomi dall’altra, era un punto di ritrovo per i ragazzi del quartiere. E un bersaglio per i militanti della destra, attratti in zona dalle sezioni missine di via Noto e di via Siena.

Colpito in pieno petto Ivo si vide subito che era gravissimo, mentre Vincenzo fu colpito al polso e alla gamba; portato all’ospedale San Giovanni morì quasi subito. L’agguato venne rivendicato con una telefonata al Messaggero dai NAR che dissero di esserne gli autori. Lo stesso Cristiano Fioravanti ebbe a dichiarare che i due erano da ricondurre alla sede fascista di Via Siena 8: l’inchiesta stabilì sin dai primi momenti che il responsabile potesse essere Mario Corsi, già indiziato principale per l’omicidio di Fausto e Iaio un anno prima.

Nel 1985, durante la sentenza Nar, Corsi è stato prosciolto per non aver commesso il fatto; la sentenza è stata poi ribaltata in appello il 19 aprile con la condanna a 23 anni di carcere, sentenza nella quale Corte d’Assise di Appello di Roma ha emesso un mandato di cattura per Corsi, ormai latitante a Londra. Il 9 aprile 1987 , la Corte di Cassazione ha disposto un nuovo processo per Corsi, relativo sempre a Zini, in cui egli ha ottenuto l’assoluzione, confermata poi definitivamente nel 1989.

Ma la morte di Ivo Zini continua a rimanere avvolta nel mistero. C’è chi giura di aver visto gli assassini in faccia, e di averli chiaramente riconosciuti, ma ad oggi una sola verità è certa. Mario Corsi in arte Marione procede indisturbato la sua carriera fatta di privilegi, rispettabilità e notorietà facendosi scudo con la passione cieca per il calcio, sport corrotto e chiaramente veicolo e bacino di propaganda fascista, e di essere stato il killer e manovalanza di mandanti politici che continueranno, come nel caso del duplice omicidio di Milano, a proteggerlo. Perché come disse Sciascia, «Il nostro è un Paese senza memoria e verità, e io per questo cerco di non dimenticare». Si porti un fiore, in Via dell’Alberone, perché di Ivo non rimanga una targa piccola presso cui passare accanto di fretta. Perché quegli spari di un Settembre di troppi anni fa fanno ancora rumore. E dunque, come gridavamo allora, «Siano processati gli squadristi».

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