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Cesarismo?

Forse si tratterebbe di capire se il governo Monti rappresenta un passo ulteriore nella chiusura autoritaria della società italiana. Certo non è un buon segnale che la classe dirigente governi senza più mediazioni politiche chiamando misure “Salva Italia” quelle che tutt’al più si potrebbero chiamare “Salva Borsa”.

Nel decennio appena trascorso è avanzata notevolmente la fascistizzazione delle forze dell’ordine e dei loro metodi di controllo e repressione. E continua a far progressi la limitazione dei sindacati entro una prospettiva corporativa, nazionalista, “di servizi” e “di controllo”. Se si riaccendesse un minimo di protesta sociale, che cosa farebbe il governo? Solo “Porta a porta”? Solo discorsi e lacrimucce?

Solo due citazioni per rifletterci insieme. Sull’“Internazionale” Giovanni De Mauro cita un brano dai Quaderni dal carcere, 1932-1934 di Antonio Gramsci che prelude a una riflessione sul “cesarismo”:

«Osservazioni su alcuni aspetti della struttura dei partiti politici nei periodi di crisi. La crisi crea situazioni immediate pericolose, perché i diversi strati della popolazione non possiedono la stessa capacità di orientarsi rapidamente e di riorganizzarsi con lo stesso ritmo. La classe tradizionale dirigente, che ha un numeroso personale addestrato, muta uomini e programmi e riassorbe il controllo che le andava sfuggendo con una celerità maggiore di quanto avvenga nelle classi subalterne; fa magari dei sacrifizi, si espone a un avvenire oscuro con promesse demagogiche, ma mantiene il potere. […] Il passaggio delle truppe di molti partiti sotto la bandiera di un partito unico rappresenta la fusione di un intero gruppo sociale sotto un’unica direzione ritenuta sola capace di risolvere un problema dominante esistenziale e allontanare un pericolo mortale».

A conclusione di un lucido discorso sull’era Monti, Elisabetta Teghil svolge queste osservazioni recuperando il problema posto da Marcuse negli anni Settanta: «se la fase attuale della controrivoluzione stia preparando il terreno a una successiva fase fascista oppure no». Ecco la seconda considerazione:

«È in atto un ritorno agli anni Cinquanta, e, per certi versi, all’Ottocento e, perché no, in una società di così grandi disparità sociali, al Medioevo.

Lo Stato diventa, così, l’agente esecutivo dell’economia che organizza la “mobilitazione totale” verso gli imprescindibili interessi delle multinazionali.

Per fare questo, la collettività non deve essere unita da interessi comuni e da una comune coscienza, ma, come dice Marcuse, “ognuno […] segue i propri interessi più primitivi, la cui unificazione è data dalla riduzione di questo interesse al mero istinto di conservazione che è identico in ognuno di loro”.

E, allora, non è completamente infondata la lettura di questa società, nella maniera in cui si sta strutturando, come di natura nazista e, infatti, sempre Marcuse “[…] il nazismo tende ad abolire ogni separazione fra Stato e società, attraverso il trasferimento delle funzioni politiche ai gruppi sociali al potere” ed ancora, sempre a proposito del nazismo, dice che questo si caratterizza “per l’autogoverno diretto ed immediato dei gruppi sociali dominanti, sul resto della popolazione” (Herbert Marcuse, Tecnologia e potere nelle società post liberali, Liguori 1981).

È questo il senso della composizione del governo Monti, dei titoli di studio, del curriculum vitae che ne caratterizza i membri».

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