È morto Vincenzo Consolo, grande scrittore antileghista, antirazzista, antifascista. Un intellettuale che ha sempre insistito sulla necessità di una memoria politica del passato, di una lotta contro le manipolazioni della storia, di una resistenza agli orrori del potere.
Per ricordarlo ripubblichiamo un commento sul caso della nave dell’associazione umanitaria Cap Anamur che nel 2004, navigando in acque internazionali, avvistò 37 migranti alla deriva e li raccolse.
Lo Stato italiano prima costrinse la nave a restare per venti giorni in alto mare e poi processò il comandante e il primo ufficiale che vennero arrestati con l’accusa di “favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina”.
I 37 migranti finirono nel CPT di San Benedetto ad Agrigento, chiuso pochi mesi dopo la visita del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, e furono infine rimpatriati in Nigeria e in Ghana, ove vennero subito arrestati “per lesa immagine del paese e alto tradimento della patria”.
Immigrati nel mare dell’egoismo
di Vincenzo Consolo
Dopo tutto questo, noi, noi bravi italiani, in base alle nostre leggi, alla legge, anzi, famosa o famigerata, che si chiama Bossi-Fini, dei leader dei due nazionalismi uguali e contrapposti, della grande Patria e della piccola Patria, abbiamo finalmente dato a quegli esseri umani, una volta sbarcati nel nostro sacro suolo, identità e stato, abbiamo felicemente decretato che quei 37 africani sono clandestini che hanno cercato di mettere piede, di entrare nel nostro civile, cristiano e ariano Paese, e quindi sono da fermare e rinchiudere in quei lager che si chiamano Centri di Permanenza Temporanea, in attesa di rispedirli nei loro rispettivi dannati Paesi. Subdoli clandestini dunque quei 37 esseri umani che stavano per annegare.
E il capitano e l’armatore della nave umanitaria Cap Anamur? Sfacciati favoreggiatori di immigrazione clandestina, delinquenti dunque, e quindi da arrestare, rinchiudere in carcere. Ed è quello che hanno fatto le nostre brave autorità. Si prova vergogna e rabbia per la conclusione di questa tragica storia. E ci si chiede: ma cosa è diventato questo nostro Paese? Come ha potuto giungere oggi a questi esiti di barbarie, di inciviltà, di disumanità? Come ha potuto chiudersi stupidamente e ferocemente dentro le sue oscene mura della sazietà e della volgarità, dell’egoismo e della xenofobia?
Conosciamo, certo, le cause di questi tristi esiti, ma non vogliamo rassegnarci, non vogliamo accettare l’orrore. Le cause, dicevamo, degli esiti odierni. E, fra le più importanti, crediamo che vi sia la perdita di memoria, della nostra memoria.
Memoria della nostra storia di miseria e di emigrazione. Emigrazione italiana, un secolo fa, sulle coste del Nord Africa, in Algeria, Tunisia, Marocco. In Tunisia soprattutto, dove i nostri «clandestini», che partivano alla ventura su mezzi di fortuna, finendo spesso in naufragi, in annegamenti, venivano accolti con umanità, con civiltà, trovavano lavoro e futuro nei porti della Goletta, di Biserta, di Susa, di Monastir, nelle campagne di Kelibia e di Capo Bon, nelle regioni minerarie di Sfax e Gafsa.
Ma ancor prima di questi braccianti, di questi pescatori e contadini italiani, si erano rifugiati in quelle regioni i nostri risorgimentali, liberali, giacobini e carbonari. E Pietro Colletta ebbe a scrivere: «Erano quelli regni barbari i soli in questa età civile che dessero cortese rifugio ai fuoriusciti».
Che si vadano a studiare i nostri valorosi leghisti e i nostri rigorosi neofascisti di An questa nostra storia, questo nostro passato, e sappiano che non serve intonare Fratelli d’Italia o Va pensiero per dare onore a questo nostro disastrato Paese.
Vincenzo Consolo, Immigrati nel mare dell’egoismo, “L’Unità”, 14 luglio 2004