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Stereotipi e categorie paraocchi non servono a capire il presente

Un sedicenne di Manresa, in Catalogna, si trova in ospedale in condizioni critiche, dopo che il 23 marzo un gruppo di neonazisti lo ha aggredito all’entrata di un concerto antifascista. Daniel è invece un giovane massacrato da un gruppo di neonazisti all’uscita di un locale gay a Santiago del Cile. Fatti simili avvengono ogni giorno, quasi ovunque. Oggi l’ideologia nazifascista non è solo un residuo del passato, ma una cultura omicida che il capitalismo in crisi potrebbe riattivare anche in grande scala.

Secondo l’Associazione memoriAttiva ‒ Monte Sole l’antifascismo dovrebbe «essere una festa» e «caratterizzarsi per un messaggio pacifista». Magari. E tuttavia è un’ipocrisia negare in assoluto il problema di un’autodifesa dalla violenza neofascista. Tanto più in nome del «sacrificio di coloro che furono costretti ad imbracciare un fucile molti decenni fa».

Certo si tratta di un problema complesso, che non ha soluzioni semplici. Ma proprio per questo occorrerebbe evitare gli eufemismi, le banalizzazioni, gli stereotipi, le categorie paraocchi. Ed è un fatto che proprio l’imbarazzo degli intellettuali “progressisti” dinanzi all’Europa nera produce le categorie più singolari e strampalate.

È il caso della filosofa ungherese Ágnes Heller intervistata sulla nuova Ungheria di Viktor Orbán: «Non mi convince chi parla di fascismo o di semplice autoritarismo perché siamo di fronte a un fenomeno diverso, molto diffuso in Europa: quando si stancano di una certa situazione, gli europei tendono ad affidarsi a un uomo forte, a qualcuno che pensi, decida e agisca al posto loro. Napoleone III, Mussolini, Hitler, Lenin sono stati dei bonapartisti. E con le dovute differenze, lo sono anche Berlusconi e Orbán. Uomini che credono in se stessi, convinti di essere nel giusto, di incarnare lo stato e la società. Politici che fanno ricorso a slogan e retoriche populiste, pur lavorando per gli interessi di un’oligarchia, e che i popoli europei acclamano come salvatori, senza preoccuparsi delle limitazioni della libertà che ne conseguono».

Secondo questo ragionamento, Mussolini e Hitler non si possono considerare un fascista e un nazista, ma solo bonapartisti. Tutti insieme appassionatamente: « Mussolini, Hitler, Lenin sono stati dei bonapartisti». Ed è un bell’esempio di revisionismo storico, indotto dal timore di dover confessare che dopo quasi settant’anni il nazifascismo è di nuovo possibile.

Ma che cos’è il «bonapartismo»? È in sostanza qualcosa di più di una democrazia autoritaria: si potrebbe dire che è un autoritarismo abbastanza duttile da conservare qualche parvenza esterna di democrazia borghese.

Una descrizione breve e precisa è quella di Sebastiano Timpanaro: «Simili ‘disobbedienze’ potevano accadere perché il regime del Secondo Impero, nonostante il suo carattere fondamentalmente autoritario, aveva mantenuto (contraddittoriamente, come già il Primo Impero) un’istituzione “democratica”: sia il “Corpo legislativo” (una sorta di Camera dei Deputati, ma con poteri, come ora diremo, molto ristretti), sia i “Consigli generali” (piccole assemblee locali, organi consultivi dei prefetti) erano eletti a suffragio universale. Non si tratta di un puro e semplice trucco: oltre ai bonapartisti, potevano presentarsi come candidati anche legittimisti e orleanisti, perfino repubblicani, o ‘indipendenti’. Tuttavia l’apparato burocratico, costituito specialmente dai prefetti e sottoprefetti nominati direttamente dal governo, presentava, ad ogni elezione, dei ‘candidati ufficiali’ bonapartisti, che erano, in partenza, privilegiati: chi aspirava a far carriera in politica o nelle ‘libere professioni’, ad essere agevolato nei propri interessi, sapeva per chi doveva votare».

Né Hitler né Mussolini furono “bonapartisti”. E se l’etichetta può adattarsi al regime ungherese o italiano, la domanda da farsi è questa: la fase “bonapartista” è un’involuzione passeggera, o ne prepara un’altra ancor più autoritaria? ancor più segnata dalla violenza, dal militarismo e dal razzismo di Stato? In altre parole: il “bonapartismo” apre la strada all’autoritarismo e al fascismo, o no? A guardare l’Ungheria, la risposta non pare difficile.

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2 Responses

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  1. sandro says

    ma l’antifascismo non è uno?
    Monte Sole non è in Europa?
    memoriaAttiva sa “cosa debba rappresentare Monte Sole nel panorama della Memoria nazionale”
    la “Memoria nazionale”? quello che succede oggi nel mondo non ci interessa? non ci riguarda?

  2. Riccardo says

    L’autore del post è sicuro di aver letto e compreso il comunicato di memoriAttiva?
    Da quanto scritto qua sopra non sembra affatto. Per noi il è 25 aprile a Monte Sole che deve “essere una festa” e “caratterizzarsi per un messaggio pacifista”. Criticare le idee altrui citandole in maniera utile (al proprio fine) ma scorretta è comodo, perchè rafforza la propria tesi, ma inutile dal punto di vista dello sviluppo del dibattito.