Ogni volta che torna il 2 agosto neofascisti e postfascisti si turbano al ricordo che l’impunità per gli stragisti di Stato – il cosiddetto Lodo Pidue – sia stato messo in discussione: quella per il 2 agosto è infatti la sola condanna su ben tredici grandi stragi neofasciste.
Per sfogarsi si lasciano andare alle solite provocazioni, che assomigliano sempre più a rivendicazioni oblique e implicite. Quest’anno il neofascista Fioravanti ha detto che uccidere una «suocera» non sarebbe stato poi questo gran delitto. E il postfascista Raisi ha subito affermato che la «suocera» era morta da sé.
Dopo «Libero» che ha dato un posto di editorialista al terrorista nero Franco Freda, ecco ora il «Giornale» che offre un pulpito al pluriomicida Fioravanti per recitare la parte di vittima dei «comunisti» e lamentarsi che in Italia si commemori solo la gente assassinata da lui e da sua moglie anziché quella che hanno ammazzato gli «arabi».
Poi c’è l’impareggiabile Enzo Raisi. A Raisi non importa nulla né della verità, né delle stragi, né dei fatti, né della logica. Parla a vanvera, con la negligenza di chi sa che andrà bene qualsiasi scempiaggine purché finisca l’indomani sui giornali. Sa che il suo elettorato, sotto sotto, tifa per gli stragisti neri e a lui interessa solo conservare la poltrona. Chi voglia esaminare da vicino questi tifosi della destra stragista, può leggersi i commenti all’articolo di Fioravanti sul «Giornale»…
Poi c’è lo Stato. Di fronte a un evento terribile come la strage, dinanzi ai morti, al dolore, ai depistaggi, alle menzogne, l’unica preoccupazione dello Stato è sempre e soltanto quella dei fischi.
Esemplare è stato quest’anno il comportamento ipocrita del ministro Cancellieri: ha detto di «non temere le contestazioni», ma ha parlato nell’aula ben custodita del Consiglio comunale, e non a tutti e a tutte sul Piazzale della Stazione, proprio perché temeva qualche fischio, che pure si è levato quando il sindaco Virginio Merola ha fatto il suo nome. Quale impegno per la verità ci si potrà mai aspettare da una persona che teme qualche fischio in piazza? Nessuno.
Non a caso il ministro Cancellieri ha ripetuto le solite promesse con cui da tanti decenni lo Stato prende in giro ogni istanza di verità e giustizia sulle stragi. Vi ha aggiunto la retorica ipocrita sulla «memoria condivisa» secondo cui il ricordo della strage non deve essere «occasione di divisione ideologica». E ha voluto far passare queste parole, sui media di regime, come il «ritorno dello Stato» sul «palco del 2 agosto». Insomma, un miserabile, arrogante gioco delle tre carte…
Né il sindaco Virginio Merola è stato meno fuori luogo. In piazza ci sono migliaia e migliaia di persone, ma non appena Merola comincia a parlare, tanta gente se ne va non appena afferra le sue prime parole: «qualcuno potrebbe dire, che questa commemorazione è vecchia, è solo rituale, che ci sono cose più importanti di cui occuparsi».
Poi prosegue subito con un altro sproposito: «era l’Italia che lavora che rimase sotto le macerie di una sala d’aspetto di seconda classe. E allora anche questa è un battaglia in nome del lavoro e dei lavoratori». Chi andava in vacanza? Chi era un bambino?
E ripete, dall’inizio alla fine, una sorta di ritornello di stampo calcistico: «Non hanno vinto loro, abbiamo vinto noi». Noi chi? Non si sa. Loro chi? Mistero. Anzi, segreto di Stato.
Ora, la cosa è molto semplice. Se la strage è di Stato, i rappresentanti dello Stato non dovrebbero avere alcun diritto di parlare in piazza il 2 agosto. Se lo Stato ha intralciato e intralcia la verità, fischiare i suoi rappresentanti è sempre stata una forma di rispetto per i morti.
Ogni anno, quello che noi portiamo in piazza non è solo il lutto per le stragi di Stato, ma anche il dolore perché quei morti sono serviti a costruire un mondo più ingiusto, ipocrita e violento.
Ad aver vinto in Italia è la strategia fascista, piduista e stragista. Ad aver vinto è il «cuore torbido delle istituzioni».
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