«È ora di censire gli ebrei viventi nel nostro paese, facciamo liste almeno di quelli che lavorano nel governo e per il parlamento, sono un rischio potenziale per la sicurezza della nazione».
Chi lo ha detto? Hitler? Goebbels? No, la frase è stata pronunciata il 26 novembre scorso nel Parlamento ungherese. L’ha detta Marton Gyoengyoesi, numero due di Jobbik, il partito neonazista, terza forza del paese.
E la risposta a caldo del rappresentante dell’esecutivo alla seduta, il sottosegretario agli Esteri Zsolt Németh, è stata questa: «Non posso appoggiare la sua proposta, non è inerente al tema del dibattito, cioè la crisi in Medio Oriente».
Solo dopo alcuni giorni, dinanzi alle proteste dell’Europa, il governo nazionalconservatore ed euroscettico della Fidesz, il partito dell’autocrate Viktor Orbàn, ha condannato quella frase. Nessun deputato della Fidesz ha detto nulla, né subito né dopo.
Del resto, il capo del Parlamento Koever espelle dall’aula chiunque critichi le proposte del governo.
Nelle stesse ore, la maggioranza ha approvato una dura legge elettorale: registrazione obbligatoria degli elettori con notai inviati in ogni casa, campagna di soli 50 giorni, spot solo sulla tv pubblica in mano alla Fidesz e all’autorità-bavaglio Nmhh.