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[MI] Dax Vive 2013


Per il decimo anniversario dell’assassinio di Davide “Dax” Cesare per mano fascista si sta preparando a Milano una tre giorni di sport e antifascismo dal 15 al 17 marzo con corteo il 16. Quello che segue è un documento di riflessione su quei fatti e sulla situazione attuale pubblicato qui.

Documento Antifa | Dax Vive 2013

Questo documento è frutto di un lavoro di approfondimento e riflessione collettivo. Un percorso di condivisione e analisi che nasce all’interno dell’organizzazione del decimo anniversario di Dax. Perché la memoria diventi occasione per leggere il presente e strutturare le lotte future.

16 marzo 2003. La Notte Nera di Milano


Come ogni domenica sera ci si ritrova insieme agli amici in Ticinese, per una pizza o una birra. Si vive il quartiere e si attraversano le sue strade, reduci dall’ennesimo week end di festa e militanza, di allegria e lotta. Domani è lunedì: una nuova settimana di lavoro aspetta tutti, in fabbrica, sul camion, negli uffici, nelle scuole…

Quel 16 marzo 2003 la serata si conclude al Tipota, in via Brioschi, uno dei tanti locali frequentati dagli skins, punx e compagni che popolano la quotidianità di questa fetta di metropoli. Ticinese: un quartiere che, nonostante le forti trasformazioni speculative in atto, mantiene la propria identità popolare, in cui coesistono memoria di lotte e presente antagonista. Collettivi autorganizzati, spazi autogestiti e case occupate animano la vita delle sue strade. Vi hanno sede spazi storici e realtà di quartiere, come Cox18 e la libreria Calusca, con l’archivio Primo Moroni, inestimabile patrimonio per le culture di movimento, il Circolo anarchico dei Malfattori, il Comitato Casa e Territorio. In tempi più recenti si sono radicate nuove realtà, come la R.A.S.H. Milano (nodo locale dell’organizzazione internazionale di skinhead antifascisti) e l’Officina della Resistenza Sociale. L’O.R.So., uno spazio occupato in via Gola 16.

Al suo interno hanno base operativa il collettivo A.R.E.A. (Autorganizzazione Resistenza E Antifascismo, erede della R.A.F. Milano), il comitato di lotta per la casa e le compagne delle Autsisters. Si vive tra concerti, autogestione dello spazio, iniziative di lotta in quartiere e nella città.

16 marzo 2003, come sempre, un gruppo di compagni dell’O.R.So. cammina per le strade di Ticinese. Sembra la solita domenica sera, ma si trasformerà in una data che segnerà tragicamente la storia di Milano. Verso le 23 tre fascisti, il padre e i due figli, già conosciuti dai compagni del quartiere, arrivano fuori dal Tipota armati di coltelli. Dax si mette davanti, li affronta, non scappa. Riceve dieci coltellate: colpito immediatamente alla gola e in altri punti vitali, cade al suolo in una pozza di sangue. Vicino a lui c’è Alex, che viene accoltellato alla schiena. Anche lui rimane a terra. Un terzo compagno, Fabio, è ferito. Tutto si svolge in pochi secondi. Dopo aver colpito vigliaccamente, i tre aggressori si dileguano. La situazione è gravissima. Partono le chiamate: un’aggressione fascista in Ticinese con compagni seriamente feriti. Subito sul posto sopraggiungono diverse auto di polizia e carabinieri. Le strette strade attorno al Tipota vengono velocemente ostruite dalla presenza delle macchine delle forze dell’ordine, causando il significativo ritardo delle ambulanze, bloccate a distanza nel traffico. Contemporaneamente diversi compagni e amici arrivano sul posto, trovando uno scenario di sangue e concitazione. Sulla prima ambulanza viene caricato Dax. Dopo qualche minuto anche Alex viene trasportato al Policlinico. Operato d’urgenza ai polmoni, si salva per miracolo. In via Brioschi, dopo la partenza delle ambulanze, arriva una camionetta della celere: scende il reparto in assetto antisommossa, con caschi e scudi, si avvicinano ai presenti, che li respingono a forza di grida e insulti.

Dax è stato portato all’ospedale San Paolo: l’indicazione per tutti è di recarsi là per accertarsi delle sue condizioni. Il pronto soccorso è già presidiato da alcuni mezzi di polizia e carabinieri. Una ventina di compagni si raduna all’interno del pronto soccorso aspettando notizie. Quando il medico comunica loro la morte di Dax, esplodono rabbia, dolore e disperazione: “Quei bastardi lo hanno assassinato”. Nel frattempo si moltiplica, dentro e fuori al pronto soccorso, la presenza di forze dell’ordine. La tensione è altissima. Gli sbirri iniziano subito a provocare, insultando Dax (“uno di meno”) e le compagne e i compagni presenti. E’ scontro. Nessuno ha intenzione di subire passivamente le provocazioni.

I reparti antisommossa, già schierati da tempo, percorrono rapidamente il vialetto che porta all’ingresso del pronto soccorso e si scatenano brutali cariche dentro e fuori la struttura. Sono lunghi minuti di pura violenza poliziesca, durante i quali gli agenti, con manganelli, calci, pugni e mazze da baseball, si accaniscono sui compagni, spaccando teste, nasi, denti, braccia. Pestaggi, compagni immobilizzati a terra, ammanettati, sanguinanti: il pronto soccorso viene occupato e chiuso dalla forze dell’ordine. I medici e gli infermieri si mobilitano per soccorrere i feriti, increduli e attoniti di fronte alla ferocia dei “tutori dell’ordine”. L’obiettivo è chiaro: reprimere preventivamente le possibili risposte collettive all’omicidio fascista.

16 marzo 2003, la Notte Nera di Milano: i fatti dell’ospedale San Paolo saranno la nostra Diaz.

I giorni successivi si mette in moto la macchina della disinformazione. Questura e giornalisti tentano di ridurre i fatti a una banale ‘rissa tra balordi’, nascondendo la matrice politica dell’accaduto. Per legittimare le brutalità poliziesche avvenute dentro al pronto soccorso il questore di allora, Vincenzo Boncoraglio, dichiara che gli agenti erano stati costretti a intervenire per impedire “che i giovani portassero via la salma dell’amico”.

Fin da subito è stato necessario difendere e riaffermare la verità di fronte a un’infamante opera di disinformazione: lui un balordo e i suoi compagni dei pazzi trafugatori di salme. Menzogne volte a demonizzare Dax e i suoi compagni, a rendere più accettabile l’omicidio e la violenza poliziesca.

Nonostante la presenza di prove evidenti, come filmati amatoriali che hanno ripreso i pestaggi indiscriminati e le tante testimonianze rilasciate dal personale medico sanitario, il processo per i fatti del San Paolo si concluderà nel 2009 con la piena assoluzione di polizia e carabinieri e le condanne a un anno e otto mesi per due compagni, accusati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Alla condanna penale si sommerà una multa per un totale di 130.000 euro, tra spese processuali e risarcimenti, un vero e proprio ergastolo pecuniario. Nel 2011 comincerà il pignoramento di un quinto dello stipendio, tutt’ora in corso, ai danni di uno dei condannati e di conseguenza a carico anche dei suoi figli, essendo una multa che verrà ereditata.

Come a Genova: massacro, menzogne, condanne.

La nostra è una verità scritta nel sangue, che nessuna ricostruzione giuridica di comodo potrà mai cancellare. Così come nessuna menzogna potrà mai cancellare l’identità umana e politica di Dax, la sua vita di compagno e militante antagonista, l’esempio di chi ha scelto di lottare sempre a testa alta e in prima linea, fino alle conseguenze più estreme. Un esempio fatto di generosità, di solidarietà e soprattutto di coraggio.

Dax: libero e ribelle.

Davide, Dax come lo conoscevamo tutti, un ribelle, un antifascista militante, ma anche un proletario lavoratore e un padre. Per Dax la militanza si faceva davvero sempre davanti, contro le tante ingiustizie di questa società. Il suo mondo era quello dell’autorganizzazione dal basso delle lotte sociali, nelle quali metteva sempre entusiasmo: per la casa e la difesa delle occupazioni, l’antifascismo militante nei territori, l’opposizione ferma e determinata a speculazione e controllo nei quartieri popolari. Le giornate Dax le passava avanti e indietro sull’asfalto, a bordo del suo camion, per portare a casa uno stipendio e mantenere così una figlia piccola. La passione per gli sport da combattimento, che aveva praticato quando era ragazzo, la spavalderia di un giovane compagno ventiseienne, la generosità di un uomo che aveva nel valore dell’amicizia il proprio credo. Tutto questo era Dax.

Sono passati 10 anni da quando degli infami neofascisti lo hanno strappato alla sua famiglia e ai suoi amici e compagni. Il suo ricordo rimane indelebilmente impresso nei cuori di chi l’ha conosciuto e amato.

La sua più grande eredità è quell’istinto a ribellarsi e lottare, portando avanti le sue e le nostre battaglie per una trasformazione radicale dell’esistente.

Senza memoria non c’è futuro.

Raccontare Dax significa raccontare la nostra storia, una storia fatta di vittorie e di sconfitte. Quello che rimane è la dignità. La dignità di proletari che scelgono di combattere l’ingiustizia a partire dalle cose concrete, dalla quotidianità del nostro agire, dove un gesto ha un valore molto più alto di mille proclami.

Dopo dieci anni continuiamo a raccontare la storia di Dax e della Notte Nera, per tramandarla alle nuove generazioni di ribelli, rivoluzionari e antagonisti. Perché si sappiano chi sono e cosa sono capaci di fare fascisti, stato, polizia, giornalisti e magistratura. Perché nessuno possa mai dimenticare né perdonare.

Schierarsi e lottare significa mettere in gioco il proprio corpo e la propria vita. Dax aveva scelto da che parte stare, non ha girato le spalle, non è scappato. Dax quella sera si è messo davanti, come faceva sempre, e ha perso la vita per difendere se stesso, i propri compagni e le proprie idee. Questo coraggio va riportato all’interno delle lotte del presente perché la paura è uno dei più potenti strumenti di controllo. Milano il 16 marzo 2003 ha perso un guerriero e questa data resta una ferita aperta, che non ha trovato risposta.

Avvicinarsi al decimo anniversario è stata un’occasione per fare dei bilanci e intraprendere un percorso collettivo allargato per l’organizzazione delle giornate di marzo 2013. Partendo dalla memoria della Notte Nera abbiamo confrontato idee e prospettive intorno all’attualità del tema del fascismo e della repressione, delle stesse lame e manganelli che hanno colpito quella notte di dieci anni fa.

La ricorrenza è diventa così un motore per mettere in sinergia esperienze, analisi e pratiche, e rilanciare un appuntamento nazionale per sabato 16 marzo, in cui rivendicheremo l’identità antifascista e anticapitalista di Dax, che è anche la nostra, in cui torneremo a portare in città le sue e le nostre lotte.

In un periodo di forte crisi del sistema capitalista occidentale abbiamo deciso di andare alla radice, alla fonte del nostro agire politico, parlando di antifascismo e anticapitalismo: due parole che non possono essere scisse, ma sono intimamente connesse e costituiscono due cardini della nostra identità politica.

Con questo spirito, a 10 anni di distanza, una parte importante della Milano antifascista si assume collettivamente l’onore e l’onere della costruzione dell’anniversario, declinato in tre giorni di controinformazione, sport e lotta dedicati a Dax, il 15, 16 e 17 marzo 2013.

FASCISTI

Negli anni la destra radicale ha gradualmente guadagnato spazi di agibilità sul territorio. Forti delle coperture finanziarie e politiche da parte di settori istituzionali, le realtà della galassia neonazista hanno aperto diverse sedi a Milano e in Italia. Allo sdoganamento dei postfascisti dell’MSI è seguito quindi quello degli ambiti più impresentabili dell’estremismo di destra. Le frange più pericolose, come CasaPound, il Veneto Fronte Skinhead e Hammerskins Nation Italia, trovano appoggi politici e stipulano alleanze elettorali con il Pdl.

Anni di propaganda xenofoba e politiche razziste da parte dei partiti di governo, in particolare della Lega Nord, hanno creato terreno fertile per il proliferare di questi soggetti e delle loro parole d’ordine. Dalla criminalizzazione sistematica dei migranti, alle derive securitarie assistiamo a una fascistizzazione dello stato e della società: revisionismo, autoritarismo, militarizzazione, repressione politica e sociale sono il pane quotidiano dell’Italia in crisi nel nuovo millennio.

In questo contesto il ruolo delle organizzazioni neofasciste è chiaro e risponde a un mandato politico preciso: inserirsi sul terreno delle lotte sociali, quali casa, scuola e lavoro da una prospettiva nazionalista e xenofoba, perfettamente funzionale agli equilibri del capitale. All’interno di una congiuntura di crisi, in una società sempre più meticcia, la destra radicale ha gioco facile nel fomentare guerre tra poveri, frammentando il tessuto sociale, per erigere muri tra “razze culturali” e impedire una ricomposizione di classe tra coloro che, al di là del colore della pelle, della cultura, della provenienza, condividono la stessa condizione di oppressione sociale ed economica.

La storia ci insegna come il fascismo sia sempre stato uno strumento al servizio del sistema capitalista, utilizzato dalle classi dominanti fin dalle origini. Negli anni ’20 e ’30 di fronte all’avanzata delle forze rivoluzionarie che cercavano di costruire un mondo più equo e giusto partendo dalle rivendicazioni operaie e contadine, la borghesia non ha esitato ad appoggiare la presa del potere di fascismi in tutta Europa.

Regimi che impedirono con la violenza il verificarsi di una vera rivoluzione sociale, consentendo alle classi dominanti di mantenere i privilegi e al sistema economico di continuare ad alimentare ingiustizie e disuguaglianze.

In modo analogo tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70, in un mondo diviso dalla guerra fredda, gli Stati Uniti e i lacchè degli altri governi della Nato, in particolare l’Italia, non esitarono ad armare la mano delle organizzazioni neofasciste per l’esecuzione di stragi. Un terrorismo fascista e di Stato, inaugurato proprio a Milano con la bomba di piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, il cui obiettivo era colpire i movimenti rivoluzionari e di protesta sociale che animarono la forte stagione di lotte di quegli anni. Dopo aver dato mandato ai fascisti di alimentare questa strategia della tensione, lo Stato italiano ha provveduto a fornire loro tutte le coperture necessarie perché non ci fosse il minimo barlume di giustizia, uccidendo innocenti con le bombe, assassinando nella questura di Milano Giuseppe Pinelli, processando e accusando decine di militanti colpevoli solo di lottare contro uno stato assassino e garantendo impunità e libertà ai fascisti e i loro mandanti

La nostra lotta antifascista è anticapitalista, inizia con gli arditi del popolo nel 1921, passa per le donne e gli uomini insorti sulle barricate di Parma del 1922 che con forza e coraggio hanno battuto il fascismo strada per strada, per la lotta contro il fascismo e per la rivoluzione sociale in Spagna nel 1936 dove migliaia di militanti di tutto il mondo si sono stretti con le brigate internazionali ai compagni e alle compagne spagnole per combattere contro Franco, Hitler e Mussolini, e poi la lotta antifascista clandestina in Italia contro il regime di Mussolini una lotta fatta di attentati al duce fino alla resistenza del 43 -45. È importante ricordare che anche dopo questa data la lotta è continuata con i ragazzi dalle magliette a strisce a Genova che insorsero contro il governo Tambroni per rimettere al loro posto i missini, ovvero nelle fogne della storia da dove erano venuti. Non dimentichiamo la Volante Rossa, l’antifascismo militante degli anni settanta, una lunga strada che si unisce all’oggi perché lottiamo per un antifascismo anticapitalista che non si è mai fermato perché siamo convinti che la nostra lotta non abbia una data di scadenza.

Anche nell’attualità i fascisti e la polizia continuano ad essere al servizio del dominio. Dove non arrivano le leggi liberticide emanate dai governi liberisti arriva la propaganda e l’azione delle organizzazioni neofasciste e nazionaliste, per far sfociare conflitti e tensioni contro chi è diverso per cultura, provenienza, religione, colore della pelle o orientamento sessuale, e impedire che lo scontro arrivi a toccare il regime di sfruttamento e privilegi. Il fiorire di Alba Dorata in Grecia, proprio in una fase di tracollo economico e di rivolta sociale, rappresenta un esempio chiaro della pericolosità e della funzionalità di questo tipo di organizzazioni nell’attuale congiuntura di crisi.

Per questo è necessario continuare un lavoro di monitoraggio e azione antifascista, per chiudere tutti i covi neri, dove queste culture razziste, fasciste e intolleranti si riproducono, contaminando le città in cui viviamo. Il loro progetto è d’innestarsi nello spazio politico storicamente praticato dalla sinistra, come la scuola, la casa, l’animalismo, presentandosi spesso in veste di associazioni o gruppi non esplicitamente fascisti, con modalità comunicative e pratiche emulate dai movimenti. In questo senso si muove l’esperienza di CasaPound, con la creazione di “brand” e le occupazioni di case e spazi. Se Roma rappresenta il contesto dove questa esperienza nasce e ha maggior agibilità, a Milano nel settembre 2012, abbiamo assistito al tentativo di realizzare una prima ONC, occupazione non conforme, sgomberata dopo poche ore.

È necessario togliere agibilità politica a questi soggetti, nella consapevolezza che solo coltivando i propri percorsi di lotte sociali, nella scuola, sul lavoro, nei quartieri, praticando l’autorganizzazione e l’autogestione, costruendo progetti culturali, sportivi, di solidarietà, solo così potremo seminare gli anticorpi nelle strade delle nostre città, per non lasciare nessuno spazio a fascismo e razzismo.

Siamo convinti che la maggior parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla sbagliata organizzazione sociale, e che gli uomini volendo e sapendo, possono cambiare. Noi vogliamo abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile. Perché lottiamo per un mondo senza dominio dove si possa smettere di lavorare per un salario e si cominci a lavorare per la comunità senza classi, senza servi e senza padroni.

In questo senso ha lavorato l’esperienza di Partigiani in Ogni Quartiere, che da 5 anni attraversa la metropoli, per costruire dal basso e nei territori un’attitudine, una cultura e una pratica antifascista. Un percorso che nasce per la chiusura della sede fascista “Cuore Nero” e che quest’anno, il 25 aprile 2013, ci porterà in via Padova, una delle zone più meticce della città, al centro di campagne securitarie, dove sono presenti diversi covi neri, come Forza Nuova e Lealtà e Azione.

La pericolosità del fascismo è politica e materiale, per chi vive e fa politica nelle strade. In Italia, dal 2003 ad oggi, lo squadrismo fascista e razzista ha ucciso ancora. Abbiamo dovuto piangere Renato a Roma nel 2006, Nicola a Verona e Abba a Milano nel 2008, Modou Samb e Mor Diop a Firenze nel 2011.

Proprio nel dicembre 2012 in Stazione Centrale un altro compagno a Milano è stato accoltellato da dei boneheads. Tre affondi, uno ha sfiorato l’aorta e gli altri due, al ventre, sono entrati di 4 centimetri. Solo la stazza del compagno ha evitato il peggio. A dieci anni dall’assassinio di Dax, Milano ha risposto a questo nuovo accoltellamento, lanciando una battaglia per la chiusura della sede di Lealtà e Azione (Infamità in Azione), affiliata al gruppo Hammerskin che si trova proprio nei pressi della Stazione. Una battaglia che vogliamo vincere…

… E polizia.

Il 16 marzo 2003 alle lame fasciste sono seguite le botte di polizia e carabinieri al San Paolo. Il tema della repressione poliziesca trova nell’attualità importanti questioni, come le condanne esecutive per Genova ai danni di dieci compagni e compagne, con pene fino ai 15 anni. Quest’azione durissima, con l’alto prezzo che stanno pagando i condannati, rappresenta da un lato un attacco a tutti coloro che nel 2001 hanno sfilato nelle strade di Genova, dall’altro un monito a tutti quelli che ancora oggi non si arrendono e continuano a lottare. Non stupisce quindi che la stessa accusa di devastazione e saccheggio, un reato di guerra che prevede pene dagli 8 ai 15 anni, sia stata utilizzata per colpire i partecipanti alla manifestazione del 15 ottobre a Roma. Un dispositivo giuridico inaugurato proprio a Milano, per i fatti dell’11 marzo 2006, e che trova la sua origine nel codice Rocco del ventennio fascista.

Da settembre ad oggi abbiamo inoltre assistito al ripetersi di cariche e manganellate contro studenti, lavoratori, immigrati e sfrattati. I problemi di ordine sociale e politico vengono gestiti a suon di botte, denunce, arresti e limitazioni della libertà personale.

La repressione è politica e sociale. Si abbatte contro le fasce marginalizzate della popolazione, contro gli esclusi. Le carceri si riempiono, mentre la brutalità poliziesca continua a uccidere allungando la lista delle morti di Stato, come Aldrovandi, Cucchi, Lonzi, Ferrulli, Mastrogiovanni, Sandri…

Di fronte a una crisi che è evidentemente strutturale l’unica “soluzione” messa in pratica è quella neoliberista, fatta di precarietà, insicurezza e impoverimento della popolazione. L’esclusione sociale si fa sempre più feroce. Di fronte alla giusta rabbia di chi ha sempre pagato e subìto, e che adesso è costretto a pagare e subire ancora di più, lo Stato risponde con una stretta securitaria soffocante, fatta di controllo sociale e repressione. Non esita a esercitare il suo monopolio della violenza contro il dissenso, l’antagonismo e ogni forma di reale opposizione. Disoccupazione, crollo del potere d’acquisto, emarginazione e conseguente legittima protesta sociale sono trattati come problemi di ordine pubblico.

Ma la repressione non sempre raggiunge il suo scopo, quello di annichilire, spaventare, depotenziare o intimidire. Non può raggiungerlo quando si scontra con esperienze come la Val di Susa, che vive da tempo una situazione di guerra permanente: un’occupazione militare di polizia e carabinieri, a protezione degli interessi speculatori. Ma la Val di Susa è una valle cosciente e ribelle, che non dorme, non subisce, resiste e si autodifende. La sua esperienza ci mostra cos’è la determinazione, l’organizzazione, la progettualità e la forza della partecipazione. Testimonia come la radicalità e il conflitto si costruiscano nei percorsi di lotta reali, attraverso un lavoro politico collettivo, fatto di analisi e di azioni. Per liquidare ogni resistenza contro il progetto di alta velocità, lo Stato ha messo in campo le sue armi repressive: denunce, intimidazioni, cariche, feriti, arresti, lunghe detenzioni, isolamento carcerario, perquisizioni, limitazioni della libertà, minacce, ricatti. Ma, nonostante questo, la Val Susa non si arrende e siamo sicuri di aver visto, in mezzo al fumo dei lacrimogeni, Dax che resisteva insieme ai ribelli NoTav. In quel bosco, su quei sentieri, abbiamo camminato con lui.

UN MONDO DIVERSO E’ NECESSARIO

Con le giornate di Genova 2001 il potere ha violentemente represso i movimenti di opposizione sociale.

Negli anni seguenti si è realizzato ciò che questi movimenti affermavano e criticavano da tempo: l’insostenibilità e l’aberrazione del modello di sviluppo e economico neoliberista. I crimini del capitalismo s’intensificano in questa fase di declino. La cosiddetta globalizzazione economica pone al centro gli interessi di pochi, che traggono profitto aumentando lo sfruttamento della classe lavoratrice: taglio dei salari, licenziamenti, delocalizzazione della produzione, con lo spostamento delle aziende in paesi dove i costi sono più bassi e i lavoratori meno tutelati. La crisi la stanno pagando, come sempre, le fasce più deboli della popolazione, obbligate a sacrificare la propria vita e i propri affetti per poter mangiare, vestirsi, abitare sotto un tetto.

Il pianeta non cessa di essere violentato in ogni sua componente. La crisi, oltre a essere economica, è ambientale, energetica, alimentare e travolge come una parabola distruttiva l’ecologia mondiale. Con i vertici o i congressi che annualmente vengono organizzati dagli stati capitalisti e imperialisti per rimettere in salute il globo, i potenti paventano una Green Economy, mente i fatti mostrano come il capitalismo sia incapace di porre rimedio ai suoi stessi danni. Non c’è nessuna volontà d’intraprendere seriamente questa strada. La fame di produttività rende il dominio cieco rispetto ai limiti oggettivi del nostro pianeta.

Il sistema alimentare è in mano a poche multinazionali che depredano le popolazioni locali, rendendole di fatto più affamate e povere, le espropriano delle risorse e delle materie prime, come acqua, terra, sementi e impongono il loro regime agricolo.

Il capitalismo è un sistema di produzione e consumo che sfrutta in modo sconsiderato la Terra, creando merci che si usurano per poterle cambiare ciclicamente, che distrugge il pianeta e le comunità umane.

Combatterlo significa anche rispettare e riconoscere il valore della Terra che ci ospita e di tutte le creature che la abitano.

Nel marzo 2003, a pochi giorni di distanza dall’omicidio di Dax, siamo scesi in piazza contro la guerra in Iraq, all’interno di una mobilitazione globale che chiedeva con forza un cambiamento nella gestione delle controversie internazionali e rifiutava il ricorso alle armi per risolvere presunte questioni di sicurezza mondiale, denunciando l’esclusiva funzionalità del conflitto per il sistema economico e finanziario.

La totale assenza di una risposta da parte dei governi, che considerasse questa manifesta volontà popolare di opposizione alla guerra, ha inaugurato una triste stagione politica retta sulla retorica della lotta al terrorismo, dell’esportazione della democrazia, delle bombe intelligenti e delle armi ultratecnologiche.

Le guerre si sono fatte lunghe, hanno imboccato un vicolo cieco decennale, mostrando ovunque il proprio vero volto, in particolar modo in Afghanistan e in Iraq, fino a lambire i confini italiani con il conflitto libico.

Nel corso di questi dieci anni il film si è ripetuto più volte, lasciando in eredità conflitti sparsi ovunque nel pianeta, finalizzati al saccheggio e al controllo delle risorse.

In qualche modo ci siamo abituati alla guerra come elemento intrinseco del nostro presente, grazie a un sapiente lavoro congiunto di stampa e televisione, il concetto di guerra necessaria e inevitabile è diventato luogo comune diffuso, cancellando molto in fretta quel sentimento che, dopo la seconda guerra mondiale, aveva portato qualcuno a ipotizzare che l’Italia “democratica” potesse davvero ripudiare la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.

Scardinare questa situazione storicamente è compito degli antifascisti, che fin da subito si sono opposti all’imperialismo mussoliniano e sono oggi di nuovo chiamati a denunciare con forza l’aberrazione di questi conflitti, antitesi di qualsiasi ipotesi di progresso umano e sociale.
In particolar modo siamo chiamati a sottolineare con chiarezza che la guerra è un mezzo necessario al mantenimento di uno status quo basato sulla disuguaglianza.

Nonostante in questi dieci anni le grandi potenze mondiali abbiano cercato, attraverso il rodato regime di guerre umanitarie e preventive, di supportare la propria supremazia globale e provvedere al sostentamento dell’equilibrio del sistema occidentale, il capitalismo vive oggi una fase di crisi profonda e palesemente strutturale.

Non si torna più indietro: chi gestisce il potere sta maldestramente dando gli ultimi colpi di coda nel disperato tentativo di salvare la ricetta neoliberista e riproporla più aspra per il futuro.
Il graduale smantellamento dello stato sociale, le privatizzazioni selvagge, lo sdoganamento di un modello di vita fondato sulla precarietà lavorativa ed esistenziale sono i fattori con cui ci troviamo a fare i conti tutti i giorni ed è in questo contesto che gradualmente si stanno sviluppando focolai di resistenza e rivolta che, sempre più frequenti e diffusi, fanno esplodere le contraddizioni del sistema di produzione e consumo in cui viviamo.

L’ondata di licenziamenti crea una situazione di migliaia di famiglie senza un reddito, impossibilitate a soddisfare i bisogni fondamentali, primo tra tutti quello della casa. Diritto primario, spesso negato o pagato ad altissimo prezzo da parte di fasce della popolazione sempre più ampie. Gli sfitti crescono, ma insieme negli ultimi anni si è alzato vertiginosamente il numero degli sfratti per morosità, spesso eseguiti con l’uso disinvolto della forza pubblica. Anche in questo ambito il sistema neoliberista, che nella speculazione immobiliare ha sempre identificato un altro potente strumento di autosostentamento, essendo alle corde, mostra i muscoli e sbatte le famiglie in strada o le riduce sul lastrico per pagare un affitto.
La questione abitativa è esasperata da tempo e rappresenta un terreno fondamentale su cui battersi. Lo hanno testimoniato i compagni e le compagne di Roma, con l’occupazione nel dicembre 2012 di otto stabili per ospitare 1000 nuclei familiari. Un esempio da difendere e riprodurre, lottando nei propri territori, contro gli sfratti, per contrastare i progetti speculativi, attraverso l’organizzazione dal basso e rivendicando la pratica dell’occupazione.
E’ compito nostro fare tesoro dell’insegnamento e delle esperienze di chi, come Dax, ha sempre posto il proprio corpo , il proprio tempo, la propria attitudine a difesa dell’occupante, del moroso, dello sfrattato.

Assumendo come prioritario il concetto di legittimità, basato sull’elementare principio che identifica nel diritto all’abitare un diritto inalienabile di ciascuno di noi, piuttosto che il concetto di “legalità”, dietro al quale si celano gli interessi di chi gestisce la ricchezza e vuole riprodurre questo regime di privilegi e sfruttamento.

In questi dieci anni Milano si è affermata capitale della precarietà, centro economico in cui il capitale ha sperimentato la propria sostenibilità, attraverso lo stravolgimento del mercato del lavoro, operando per sottrazione di diritti e rimozione di punti fermi acquisiti attraverso le lotte passate.

Ma in questi anni Milano è stata anche la sperimentazione di nuove forme di lotta e comunicazione politica, in cui l’intelligenza collettiva di precari e precarie ha trovato tempi e modi per sviluppare ragionamenti e pratiche in grado di fronteggiare un nemico sempre più infido. Una battaglia lunga, tutta ancora da combattere saldando rivendicazioni provenienti da comparti diversi, contaminando pratiche e linguaggi difformi, unendo soggetti sociali diversi, accomunati dalla stessa condizione di sfruttamento.

Ai confini della metropoli, i picchetti fuori dai cancelli dei grandi poli logistici di smistamento merci che “popolano” l’hinterland si stanno moltiplicando, riattualizzando forme di lotta capaci di danneggiare chi lucra sulla pelle di migliaia di lavoratori, in gran parte stranieri e quindi maggiormente ricattabili. Queste forme di resistenza allo sfruttamento che si consumano lontano dai riflettori mediatici, anche quando violentemente represse dalla mano dello Stato, pongono all’attenzione di tutti noi un forte protagonismo all’interno delle lotte da parte del meticciato metropolitano.

Se nel 2008 è esplosa con forza la crisi del capitalismo finanziario, nello stesso anno, hanno iniziato anche a palesarsi le prime risposte di massa alle politiche di sacrifici imposte dai governi come tentativo di uscita dalla crisi. Il movimento universitario dell’Onda dell’Autunno 2008 ha scosso il mondo delle università come non succedeva dai tempi della Pantera nel 1990, ha portato in piazza centinaia di migliaia di studenti ed ha consentito l’affacciarsi sulle strade di una nuova generazione di militanti politici. Da quel momento il mondo studentesco ha continuato a mobilitarsi con una certa continuità e forza in tutti gli anni dell’austerità come dimostra anche la recente data di mobilitazioni internazionali del 14 Novembre.

Rivolte e ribellioni sono esplose un po’ ovunque. Dalla Grecia gettata nella miseria dalle demenziali politiche neoliberiste a guida tedesca, alla Spagna in ginocchio dopo l’esplosione della bolla immobiliare, dall’Inghilterra nuovamente in mano ai conservatori al Portogallo messosi in movimento dopo anni di sonnolenza. Pagine intere poi, si potrebbero scrivere sulle rivolte arabe che scuotono (con esiti alterni) quello spicchio di mondo da ormai due anni.

In Italia, dopo i disastri del governo Berlusconi, con il governo Monti si è avuta la perfetta realizzazione dei desideri dell’establishment economico-finanziario. I tecnici hanno messo in campo le ormai stantie ricette “neo-liberiste” con un’ulteriore compressione dei diritti del lavoro, un aumento delle tasse per i redditi più bassi e l’immancabile riforma pensionistica. Monti ed i suoi d’altro canto, nulla hanno fatto per colpire le grandi rendite, gli insopportabili privilegi, l’arroganza delle banche (alle quali anzi, sono stati prestati soldi con tassi d’interesse ridicoli) e la speculazione finanziaria. “Forti coi deboli e deboli coi forti” è stata la politica dell’ultimo governo. In linea coi dettami della scuola di Chicago che tanti disastri ha causato in giro per il mondo negli ultimi 40 anni.

La risposta, a livello di lotte, seppur frammentata e disunita, è state molteplice ed assai ricca: dagli studenti agli operai (Alcoa, Sulcis, Jabil, Ilva, FIAT solo per citare alcuni dei casi più noti), dai lavoratori della sanità ed insegnanti per finire con le dure lotte del mondo delle cooperative e dei migranti.

È in questa veloce panoramica sulle più profonde contraddizioni che la crisi sta rendendo manifeste all’interno del sistema neoliberista che ci rendiamo conto ancor di più di quanto fossimo dalla parte del giusto per le strade di Genova, nel luglio 2001. Non eravamo né visionari né catastrofici nell’opporci al progetto politico degli 8 potenti, che vuole trascinare tutti noi, il 99%, in un tunnel profondo.

I Compagni e le Compagne di Dax

Cuori spezzati, abbiate fede nei vostri morti! Essi non soltanto sono radici sotto le pietre macchiate di sangue, ma le loro bocche mordono ancora esplosivo e vanno all’attacco come oceani di ferro e ancora i loro pugni levati smentiscono la morte.

Pablo Neruda

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