Da Genova in poi, si è aperto in Italia un lungo periodo di ordinari soprusi e impunità per le forze dell’ordine che ha portato alle sevizie fascistoidi di Bolzaneto, ai continui pestaggi nelle questure, ai tanti omicidi di persone «fermate» dalle forze dell’ordine, a una politica soffocante della paura e della «sicurezza». Ora è uscito un libro sull’omicidio di Stefano Cucchi: non un fatto anomalo, ma l’esito tragico del regolare funzionamento dell’istituzione penitenziaria.
Mi cercarono l’anima
Storia di Stefano Cucchi
di Duccio Facchini
Prefazione di Luigi Manconi e Valentina Calderone
La ricostruzione puntigliosa della vicenda Cucchi: dalla battaglia per la verità della famiglia alle responsabilità dello Stato
“Presunta morte naturale” è l’epitaffio di Stefano Cucchi, morto a Roma il 22 ottobre 2009 all’ospedale-carcere “Sandro Pertini”. Una settimana prima era stato arrestato per spaccio: sette giorni nelle mani dello Stato, dai carabinieri alla polizia penitenziaria, dai magistrati ai medici di carcere e ospedale. La famiglia lo rivedrà dietro una teca di vetro: sul suo corpo, inequivocabili segni di percosse. Ma lo Stato, dopo averla alzata, nasconde la mano, negando la propria responsabilità. Ne è prova la sentenza di primo grado del processo, che commina pene lievi ai medici, assolvendo i tre agenti di polizia penitenziaria imputati solo per lesioni. Il pestaggio, infatti, è riconosciuto ma resta “orfano”. Un’inchiesta dalla parte dei “vinti” che – minuto per minuto, attore per attore – recupera le testimonianze accantonate, le ragioni delle parti civili e depura i fatti da ogni omissione. Ma non solo: affronta temi quali l’“esercizio esclusivo della forza” da parte dello Stato, il reato di tortura, la legge Fini-Giovanardi sulle droghe.