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Quelli di «Repubblica» stanno messi male

Sulle pagine nazionali di «Repubblica» del 20 maggio 2018, tal Paolo Griseri, ex giornalista del «Manifesto» noto soprattutto per un’entusiasta agiografia di Marchionne, ha scritto un’astiosa recensione del manualetto di difesa legale Stop al panico! autoprodotto dall’Associazione di Mutuo Soccorso per il diritto di espressione di Bologna. È una prosa pseudoironica che potrebbe vagamente ricordare il riso delle iene nella savana…

«Circola a Bologna (ma anche in val di Susa) un opuscolo dal titolo rassicurante: “Stop al panico”. Offre una risposta, diciamo così, alternativa, all’allarme sicurezza che tanto ha tenuto banco in campagna elettorale creando i presupposti per il nuovo governo Salvini-Di Maio. La sicurezza, in questo caso, è quella dei partecipanti agli assalti ai cantieri No Tav e, più in generale, a qualsiasi “movimento dal basso” che si trovi nella (quasi) inattesa situazione di dover fronteggiare cordoni di polizia, idranti, lacrimogeni. Tutti militanti pacifici, come si sa, che, leggendo l’opuscolo, potrebbero però prendere alcune precauzioni. Come quello di “lasciare lo smartphone acceso a casa” o “usare una app che nasconde i dati quando si scattano foto”. Naturalmente è più consigliabile rispondere “non ricordo” ai poliziotti che ti chiedono una password. Rifiutarsi di fornirla può trasformarsi infatti in un’aggravante. Non manca, sempre per superare il panico dei militanti “dal basso”, un appello “non solo per difendersi nel processo o dal processo ma anche per contrastare la repressione preventiva che si produce nel sistema mediatico contemporaneo”.»

E qui viene fuori la ragione di tutto l’acido. La lingua batte dove il dente duole.

È dalla manifestazione di Genova del 2001, dalla «macelleria messicana» della Scuola Diaz, che le forze dell’ordine hanno avuto mani libere e il privilegio di una totale impunità da parte del mondo della politica istituzionale, allarmata dalle grandi mobilitazioni popolari degli anni Novanta.

Così, da quasi un ventennio abbiamo vissuto in Italia una fascistizzazione crescente delle istituzioni repressive che continuano a provocare, fra l’altro, un numero rilevante di morti e feriti solo per estro sadico e omicida.

Già… Bolzaneto, la Scuola Diaz, Carlo Giuliani, Marcello Lonzi, Federico Aldrovandi, Riccardo Rasman, Aldo Bianzino, Giuseppe Turrisi, Stefano Brunetti, Niki Aprile Gatti, Manuel Eliantonio, Giuseppe Uva, Stefano Frapporti, Francesco Mastrogiovanni, Simone La Penna, Bledar Vukaj, Stefano Cucchi… E i morti sono solo la punta dell’iceberg di un modo di fare che resta sommerso e invisibile…

Ma queste storie non ce le racconta né Paolo Griseri né «Repubblica». Non c’è un giornalismo che metta a nudo le cose che non vanno e che sappia raccontare la verità di un mondo sempre più degradato, diseguale, violento. C’è solo un sistema mediatico repressivo, autoreferenziale e sempre avido di notiziole piccanti e ipotetiche per compiacere i benpensanti… Ma non vuole sentirselo dire. Non vuole sentire che è complice e compartecipe di uno sfascio civile contro cui si poteva e si può ancora lottare. Ora e sempre resistenza!

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One Response

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  1. Gianni Sartori says

    butto giù “a memoria” qualche considerazione …
    Forse per Griseri bisognerebbe risalire a prima di Genova 2001. Se non ricordo male alla fine degli anni novanta era corrispondente del Manifesto da Torino. Ho avuto l’onore di parlarci qualche volta quando telefonavo all’altra esponente della redazione torinese, la compagna, lei sì, Orsola Casagrande, mia carissima amica (con cui ho condiviso molte iniziative su Irlanda, Euskal Herria, Kurdistan etc). Se non ricordo male al momento dei funerali di Edoardo Massari (“Baleno”) i compagni avevano invitato la stampa a starsene alla larga. Unica eccezione, so per certo, proprio Orsola (“tu naturalmente puoi venire…”) che però scelse di non esserci proprio per esprimere solidarietà a Edo all’epoca criminalizzato come sappiamo dai giornali (vedi appunto “Repubblica”).
    Griseri invece andò, pur tenendosi a una certa distanza dal corteo funebre vero e proprio. Quando i compagni, vedendo giornalisti e fotografi appostati come avvoltoi per riprendere o carpire qualche scena, passarono alle vie di fatto ci fu il fuggi-fuggi. Ma qualche auto in sosta venne debitamente “sanzionata”. Tra cui quella del Griseri che deve essersela legata al dito. Poi transitò a Repubblica mettendosi in luce per il particolare livore verso i NO TAV.
    Un caso umano, direi…
    Gianni