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In memoria di Sandro Galli che non volle giurare obbedienza allo Stato

In memoria di Sandro Galli che non volle giurare obbedienza allo Stato
di Gianni Sartori

Telefonata imprevista. Da uno dei due o tre anarchici storici che ancora mi rivolgono la parola.

Ciao, come va… etc… ho letto il tuo commento sul giuramento per gli insegnanti… ma lo sapevi vero che a farlo togliere è stato un compagno anarchico, Sandro Galli di Bologna…?

Lo sapevo (ricordo di averne anche parlato in un altro articolo) anche se di persona non lo conoscevo.

Bé, una brutta notizia. È mancato da un paio di settimane… pare per le conseguenze di un ictus…”.

Ormai è uno stillicidio continuo. Forse soltanto quelli del ’77 possono vantare un numero così vasto di morti premature. Ora (con un leggero ritardo rispetto a quei nostri fratellini minori dallo stile di vita in genere più a rischio) tocca a quelli del ’68. Infatti se ne stanno andando alla grande (anche se qui l’uso del “prematuramente” è discutibile). Restando dalle mie parti, negli ultimi tre anni altri quattro esponenti del vecchio MAV (Movimento anarchico vicentino, nato nel 1969 e – a fasi alterne – rimasto attivo fino agli anni ottanta) ci hanno lasciato: Guido Bertacco, Viviana Parisi, Gianni Cadorin, Rino Refosco.

Tornando alla questione del giuramento. All’inizio degli anni settanta (come già narrato, per la serie “…e chi se ne frega?”) avevo vinto un concorso statale che consentiva di “entrare in ruolo” da maestro elementare. Scoprendo solo allora che c’era un trucco, un prezzo – morale – da pagare: il giuramento appunto. Restai a meditarci su per una notte intera, ma alla fine seguii l’istinto. Semplificando “alla stato delle stragi? Mai?”

E quindi – per non piegarmi – tornai a impiegarmi con le famigerate “cooperative di facchinaggio”. In realtà di cooperativistico avevano ben poco. Sostanzialmente, una copertura per rifornire di lavoro nero varie aziende che ne usufruivano (Domenichelli, Meoni, Veneta-piombo, Ederle…).

Niente di particolarmente “rivoluzionario” da parte mia. Soprattutto se confrontato con le scelte successive di tanti compagni (anche un paio di carissimi amici con cui avevo condiviso l’arte del facchinaggio), scelte che poi pagarono pesantemente nelle patrie galere o in esilio.

Resta il fatto che per un figlio di proletari, persone con la quinta elementare, un figlio “maestro” all’epoca (1971 o 1972…?) costituiva comunque una forma di riscatto sociale. E di questo me ne rincresce per loro, ma è andata così. Forse l’ennesima intemperanza giovanile, forse qualcosa di più…

Tutto sommato, irrilevante rispetto alla “Storia”.

Al contrario, la vicenda del rifiuto di Sandro Galli aveva goduto – giustamente – di una certa risonanza. In quanto ben più “politica”, sorretta da una dura (e pericolosa) presa di posizione: un lungo sciopero della fame.

L’anarchico aveva iniziato a rifiutare il cibo il 12 maggio 1980. Già magro di suo (67 chili per 1,70 di altezza) a metà agosto era già calato di 20 chili. Con la sua solitaria battaglia intendeva ottenere l’abrogazione dell’obbligo del giuramento di fedeltà alla leggi dello stato per i dipendenti statali (in base al Codice Rocco per cui Sandro qualificava la protesta come “antifascista”). Già qualche anno prima, nel 1975, si era rifiutato di giurare perdendo il posto di lavoro (in quanto “decaduto”). Era poi tornato a insegnare nel 1977 come precario, ma al momento di tornare in ruolo si era nuovamente ribellato alla norma. Iniziava allora la sua estrema protesta e dopo un mese e mezzo veniva – a causa di ripetuti collassi – ricoverato d’urgenza in ospedale. Non sospendeva tuttavia la sua lotta, limitandosi ad attenuarla per qualche giorno in luglio (“per ricostruire un minimo di difese immunologiche”) e poi riprendere il digiuno in forma radicale (“dura”). Il 25 luglio 1980 con una Lettera aperta ai compagni aveva esposto le ragioni del suo gesto che definiva “un attacco all’istituto fascista del giuramento per affermare le libertà fondamentali di tutti”.

Spiegava così il suo punto di vista:

“Innanzitutto il giuramento ti esclude come lavoratore libero e ti rende a tutti gli effetti un coatto; considera poi che così viene sancito il tuo obbligo di eseguire qualsiasi ordine di un superiore (a meno che non sia palesemente in contrasto con altre leggi) come nell’ambito militare; e poi tutto ciò fa parte di quel retaggio legislativo fascista (Codice Rocco in testa) che è divenuto parte della normativa della repubblica nata dalla resistenza”.

Insomma, una pratica servile, un compromesso inaccettabile per uomini liberi (anche se spesso si faceva finta di niente – compagni compresi – fingendo di non rendersene conto).

Rivolgendosi in modo particolare agli altri anarchici che sapeva “preoccupati per le mie condizioni di salute” aveva aggiunto che “in ogni caso, io non ho mai chiesto niente a nessuno, questa lotta la sto portando avanti con la mia posizione specifica di Sandro Galli”. Confermando con questo atteggiamento l’adesione alla corrente dell’individualismo anarchico di impronta stirneriana.

La sua vicenda non era rimasta priva di echi solidali nella società civile. Numerosi insegnanti – esplicitamente in sostegno della lotta di Sandro – inviarono ai rispettivi provveditorati lettere di revoca del giuramento. Perfino l’allora sindaco di Bologna, il comunista Renato Zangheri, andò a visitarlo in ospedale e mise a disposizione di amici e compagni un pullman del comune per recarsi a Roma. Qui vennero ricevuti dal presidente Sandro Pertini che in seguitò telefonò a Galli in ospedale. Zangheri scrisse anche un articolo – pubblicato da “La Repubblica” – in cui gli esprimeva sostegno e solidarietà, facendosi promotore dell’abrogazione del giuramento per gli statali di Bologna e dell’Emilia-Romagna.

Nemmeno all’indomani della strage della stazione del 2 agosto, Sandro aveva pensato di desistere. In quanto ”proprio questa strage, di chiara matrice, richiede l’intensificazione del nostro impegno antifascista”.

Sandro Galli se n’è andato il 14 ottobre.

In un comunicato il Circolo anarchico Berneri ne ha ricordato – oltre alla vicenda dello sciopero della fame – l’attiva presenza nei movimenti degli anni sessanta e settanta:

Individualista, fa conoscere ai militanti più giovani i libri di Galleani e di Stirner, contribuisce alla scrittura del libro “Ai compagni sulla Cina” (Crescita Politica, Firenze, 1972) e dell’opuscolo “Calabria. Decentramento regionale. Per un inizio di discussione tra i compagni” (Bologna, 1974). È tra coloro che supportano con la loro presenza i lavoratori della fabbrica Beccucci che hanno piantato le tende in centro città e che si devono difendere anche dalle provocazioni notturne dei fascisti“.

Continuando con “il suo impegno nel gruppo Autogestione con sede in via del Carro, nella pubblicazione del periodico “La Questione Sociale” (anni Settanta e Ottanta) e nella Libera associazione di studi anarchici che a inizio anni Novanta ha organizzato giornate di studi e di dibattito (tra cui L’Utopia e la città a Bologna e Individuo e insurrezione a Firenze)”.

I compagni lo hanno salutato per l’ultima volta il 16 ottobre. Con il drappo rosso e nero e “senza la croce sulla bara, come avrebbe voluto”.

Per concludere: “Ciao Sandro, viva l’anarchia!

Gianni Sartori

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