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“Immagina che c’è la guerra… e tutti si girano dall’altra parte!”

Quello che davvero accade, i media non possono né dirlo né farlo vedere, e quello che dicono è ormai solo mistificazione e rumore per far finta che non stia accadendo nulla, sull’orlo di una catastrofe senza ritorno. «How many times can a man turn his head, and pretend that he just doesn’t see?», cantava Bob Dylan in un’altra più felice epoca. Riceviamo e condividiamo un commento di Gianni Sartori sugli ultimi bombardamenti turchi sul campo profughi di Mexmûr.

“Immagina che c’è la guerra…
… e tutti si girano dall’altra parte!”
di Gianni Sartori

Riprendo testuale la frase pronunciata da alcuni compagni curdi il 15 dicembre 2018: “Immagina che c’è la guerra… e tutti si girano dall’altra parte!”. Chiaro, no?

Nella notte del 13-14 dicembre l’aviazione turca aveva attaccato le baracche dei profughi curdi di Mexmûr. Situato nel Kurdistan iracheno, il campo profughi dal 1998 è posto sotto la tutela dell’Onu (almeno in teoria). Quattro donne erano rimaste uccise (una madre, sua figlia, sua nipote e un’altra donna che qui veniva ospitata)*.

Negli ultimi mesi questo era il terzo attacco aereo contro questo campo profughi e nel corso di ogni azione si erano contate diverse vittime. Sia tra le Unità di Autodifesa, sia tra i civili.

La maggior parte dei residenti di Mexmûr sono arrivati dal Kurdistan del nord (Bakur, sotto l’amministrazione di Ankara), dai villaggi di Colemêrg (Hakkari), Şirnex (Şırnak) e Van.

Per lo più sono persone che hanno rifiutato di diventare dei collaborazionisti (in veste di “Guardiani di villaggio”).

I loro villaggi sono stati incendiati, abbattuti e ognuno di loro annovera tra i familiari qualche vittima della repressione statale.

Contemporaneamente veniva attaccata e bombardata anche la ezida Şengal.

Forse non casualmente le bombe sono state lanciate proprio alla vigilia della festa Êzî, quando la popolazione era impegnata nei preparativi per i festeggiamenti.

L’eterno calvario di Gernika. Ancora. Sempre.

In che altra maniera classificare l’atteggiamento del regime turco contro ezide e ezidi se non come puro e semplice odio?

Vuole forse Erdogan completare l’opera avviata dal soidisant Stato islamico contro tale popolazione?

Non dimentichiamo quali furono le prime località contro cui si era scagliato l’IS dopo la presa di Mosul. Si trattava proprio di Mexmûr e Şengal, abitate da ezidi. Incontrando comunque – va ribadito – la coraggiosa resistenza dei guerriglieri curdi del PKK. È lecito sospettare che questi attacchi siano in parte una ritorsione, una vendetta per tale resistenza.

All’assordante silenzio dell’ONU, dei paesi occidentali – e in particolare degli USA – si è prontamente associato quello dei governi iracheno e regionale (del Kurdistan del sud).

Pavidità, indifferenza o forse – meglio – sostanziale complicità con gli assassini e genocidi di Ankara.

Secondo le organizzazioni curde “non è possibile che gli attacchi di ieri (notte del 13-14 dicembre n.d.a.) contro Mexmûr e Şengal siano avvenuti senza l’assenso degli USA e sicuramente non è sbagliato pensare che gli USA, anche se non apertamente, hanno partecipato alla pianificazione. Questa decisione non può essere vista come un fatto disgiunto dalla decisione degli USA di emettere un mandato cattura contro tre quadri dirigenti del Movimento di Liberazione Curdo”.

In passato gli Stati Uniti non lesinavano nell’utilizzare le brigate curde come carne da macello, sul terreno, contro gli integralisti. Ma ora applicano la solita tattica dell’USA e getta!

Sugli attacchi contro Mexmûr, Şengal e anche il Rojava (Kurdistan siriano) è intervenuto il Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK) dichiarando che tali efferati  bombardamenti “su zone abitate prevalentemente da civili servono allo scopo di tenere in piedi il regime fascista nello Stato turco”.

Per continuare, lapidario: “Lo Stato turco dalla fondazione costruisce la sua esistenza su un genocidio fisico e culturale nei confronti di popoli e comunità religiose”.

E intanto anche “il nord e l’est della Siria sono minacciati di un’invasione militare”.

“IL FASCISMO VIVE DI SANGUE E INIMICIZIA”

Secondo il KCK, lo Stato turco vorrebbe “occupare la Siria del nord e dell’est per distruggere la vita democratica, libera e basata sulla parità dei diritti costruita insieme dai popoli. Per il fascismo, la democrazia, la libertà, la parità e la pace rappresentano una minaccia. Lo Stato turco sa che il fascismo in Turchia non può reggere se in Siria nasce un ordine democratico. Per tenere in piedi il fascismo, in Siria si vuole mantenere uno stato di guerra permanente. Il fascismo vive di sangue e inimicizia”.

Quindi tra le ragioni per cui è stato attaccato il campo profughi di Mexmûr – secondo il KCK – bisogna considerare il sistema politico, i rapporti sociali (egualitari, antiautoritari, ecologisti,…) realizzati dalla popolazione.

Come ha commentato il KCK: “La gente sa benissimo che questo attacco non è solo contro i curdi ma contro la vita democratica e libera costruita insieme”.

Nel mirino di Ankara, soprattutto minoranze e comunità religiose che hanno dimostrato con i fatti di volersi autodeterminare. Un atteggiamento che non è esclusivo del popolo ezida, ma anche di aleviti, kakai, suryote, cristiani…

E infatti gli attacchi turchi non sono rivolti soltanto contro i curdi.

Resistergli resta una colpa imperdonabile agli occhi di Erdogan.

In qualche modo si vuol ripercorrere la strada lastricata di sangue già intrapresa all’epoca della Prima Guerra Mondiale. Quando le persecuzioni e lo sterminio operati dalla Turchia contro le popolazioni minorizzate non avvenivano sicuramente all’insaputa delle potenze internazionali.

Come è noto lo spazio aereo iracheno è sotto il controllo degli Stati Uniti e senza il loro permesso gli attacchi aerei non sarebbero nemmeno ipotizzabili. Stesso discorso, come già detto, sia per il governo iracheno che per il governo regionale.

Gianni Sartori

*nota 1:
I funerali si sono svolti il 14 dicembre. In migliaia hanno accompagnato i corpi di Eylem Muhammed Emer, 23 anni, Asya Ali Muhammed, 73, sua figlia Narinc Ferhan Qasim, 26 e la nipote Evin Kawa Mahmud, di 14 anni. I presenti si sono poi recati in corteo – per protestare – all’ufficio onusiano del campo.

Alle esequie erano presenti vari rappresentanti di partiti curdi e iracheni, tra cui il Puk e il Partito comunista iracheno.

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