Nella notte tra il 16 e il 17 marzo, in una cella di tipo F della prigione di Tekirdag è morto Zulkuf Gezen, un prigioniero politico curdo in carcere dal 2007. Riceviamo e condividiamo un intervento di Gianni Sartori.
IL SILENZIO UCCIDE ED È COMPLICE
di Gianni Sartori
Da ulteriori informazioni sembrerebbe che il prigioniero politico curdo Zulkuf Gezen (in sciopero della fame dal 1 marzo) abbia voluto darsi volontariamente la morte nella prigione turca di Tekirdag.
Una protesta, la sua, sia contro il mantenimento dell’isolamento per Ocalan (e di tanti altri, tra cui anche prigionieri in sciopero della fame che sembrano praticamente “scomparsi”), sia contro il vergognoso silenzio che incombe sulla lotta estrema di centinaia, migliaia (circa 7mila, molti dei quali in situazioni critiche) di prigionieri e militanti curdi.
Membro del PKK, Gezen era stato condannato all’ergastolo dodici anni fa.
La sua decisione di darsi la morte, per impiccagione, è la conseguenza dell’immonda mancanza di umanità – dell’inerzia che sfiora la complicità con il regime di Ankara – di cui stanno dando prova il Consiglio d’Europa e il suo Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) il cui compito sarebbe – a questo punto il condizionale è d’obbligo – quello di far rispettare i diritti dei prigionieri.
Iniziato da Leyla Guven – ormai 131 giorni fa – lo sciopero della fame – oltre che da circa 7mila detenuti – viene portato avanti da un centinaio di attivisti, militanti, membri di associazioni e deputati curdi. Sia in Kurdistan che in Europa (di cui 14 a Strasburgo ormai al 92° giorno).
La richiesta è – o almeno dovrebbe essere – ormai nota all’opinione pubblica e alle istituzioni internazionali: la fine dell’isolamento per Abdullah Ocalan e la ripresa delle trattative tra Stato turco e PKK per individuare una via d’uscita degna, una soluzione politica per il conflitto.
Come si leggeva in un comunicato “ogni minuto in più che trascorre è diventato cruciale: occorre agire e agire in fretta per evitare altre morti”. Infatti decine e decine di militanti in sciopero della fame hanno superato da diversi giorni quella che viene considerata la soglia critica. Dopo di cui c’è solo la morte o conseguenze irreparabili a livello sia fisico che psichico.
Vorrà la vecchia Europa rimanere ancora indifferente e – come nel 1981 con quella dei prigionieri repubblicani irlandesi – avere sulla coscienza anche la vita di questi militanti?
Gianni Sartori