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Cento sfumature di rossobruno

L’omicidio di Jîna Amini, avvenuto a Teheran il 16 settembre di quest’anno per mano della polizia morale iraniana sta avendo un’eco mondiale. Non si tratta certo della prima donna uccisa dalle forze di repressione della Repubblica Islamica. Tuttavia, le rivolte scaturitesi ormai quasi un mese fa, non stanno dando alcun segno di affievolimento. 
Jîna era donna e kurda. In uno stato come quello della Repubblica Islamica dell’Iran, questo significa subire il doppio. Ma le rivolte nate in questi giorni non solo a Teheran, ma soprattutto in Rojhelat (la regione del Kurdistan sotto dominio iraniano), non vanno solo contro le violenze dello stato iraniano, bensì si scagliano rabbiosamente contro tutto un sistema che non è solo in Iran: il popolo kurdo è represso da più di un secolo dagli stati in cui è “spartito”, il patriarcato invece uccide con e senza l’appoggio istituzionale in tutto il mondo, nessun posto al mondo escluso. 
Tuttavia, c’è chi non solo non ha speso una sola parola sull’accaduto, ma addirittura si schiera contrariamente alle rivolte. Il perché? Semplice: le rivolte sono a guida statunitense. Non solo: Jîna non è morta per mano della polizia morale, ma ha avuto un semplice malore che le è stato fatale. Addirittura, Alessia Piperno, cittadina italiana arrestata in Iran il 28 settembre, sarebbe dei servizi segreti.
Ovviamente viene da chiedersi chi potrebbe sostenere queste teorie. I nomi principali che saltano subito fuori sono quelli di Giorgio Bianchi e del blog di news Giubbe Rosse (Bianchi, si noti bene, era candidato nelle fila di Italiana Sovrana e Popolare alle elezioni appena trascorse). Il filo conduttore tra questi due nomi? Semplice, la loro grandissima passione per la Russia di Putin. Non si tratta solo di loro, specialmente su Telegram se ne trovano a decine di canali simili (“casualmente” anche questi caratterizzati da un amore spropositato per lo zar Putin), con migliaia di iscritti ad essi. 
Il motivo per il quale hanno questa repulsione per la libertà è delle più standard: l’Iran è alleato economico della Russia e della Cina, che sono a loro volta nemici del capitalismo made in U.S.A. Poiché proprio dal paese dello zio Sam sono arrivati segnali di solidarietà (attenzione: solidarietà via social, figuriamoci aiuti concreti) alle rivolte in Iran, questi figuri hanno subito capito tutto, con una rapida occhiata: le proteste sono capeggiate da agenti della C.I.A. 
Mettersi a smontare queste idee sarebbe operazione tanto facile quanto lunga. Piuttosto, la nostra attenzione dovrebbe focalizzarsi su ben altra cosa: questi figuri stanno collezionando tra i loro accoliti sempre più persone che si definiscono “compagni e compagne”. Riducendo l’anticapitalismo e l’antimperialismo a semplice antiamericanismo si stanno sempre più avvicinando (e non solo metaforicamente!) ai fascisti nostrani rendendosi portavoce di quell’altro capitalismo imperialista, patriarcale e omotransfobico quello a guida russa. La loro logica potrebbe essere riassunta con “il nemico del mio nemico è mio amico”. Mettendosi nella posizione borderline in cui da una parte fanno i personaggi emarginati perché gli unici a dire la verità e dall’altra come i nuovi partigiani contro il sistema sostengono le logiche di quel capitalismo che si differisce solo nel non essere a guida NATO. 
I nomi, oltre a quelli appena detti, li si conosce, in quel grande circo appena concluso chiamato “campagna elettorale” sono riusciti a conquistarsi qualche fan. Anche se spesso e volentieri non li si vede fare fronte comune, è bene ricordarsi che sono presenti nelle nostre strade. È bene ricordarsi pure che non serve obbligatoriamente dichiararsi fascisti per essere tali.

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