Secondo la tradizione cabalistica Belzebù è un diavolo che comanda gli spiriti della menzogna.
Non sorprende affatto che un gruppo di rossobruni bolognesi si sia ispirato a quel nome chiamandosi BelzeBò.
Non sorprende nemmeno che BelzeBò abbia pubblicizzato la presentazione del libro L’inganno antirazzista in difesa della «razza bianca caucasica» (cioè ariana), presentazione che è stata cancellata non appena si è chiarito di che cosa trattava quel testo…
Non sorprende che BelzeBò abbia organizzato alla Sala del Baraccano una serata per denigrare e diffamare le ONG definite «Organizzazioni Non Grate» perché salvano vite umane del colore sbagliato…
Non sorprende infine che BelzeBò abbia preso dimora nella Sala del Baraccano come poltergeist del nuovo pensiero unico sovranista e xenofobo con una serie di conferenze varie, ma tutte rivolte verso la stessa ideologia identitaria e vittimista…
Chi sono costoro? Così si autodefiniscono in un italiano stentato e fumoso:
«BelzeBò nasce a Bologna per coloro i quali vedono ogni giorno l’anima corrotta di una società freneticamente all’opera per dissolvere le speranze di vita altrimenti dignitosa di un intero e – comunque sia – grande Paese».
Ora, sabato 16 febbraio alle ore 16, Belzebò ha organizzato presso la Sala del Baraccano un dibattito su «Musicologia col Martello» per parlare del «ruolo della musica nel mondo contemporaneo, dove preda delle spinte uniformanti, non è più se stessa».
Fra gli ospiti Dario Parisini, ex chitarrista dei «Disciplinatha», banda di fine anni ’80 che fin da subito si è contraddistinta per contenuti e iconografia esplicitamente fascista, come la canzone «Addis Abeba», il cui incipit è il discorso con cui Mussolini dichiara guerra all’Etiopia.
Noi riteniamo che le persone siano quello che fanno e ci interessa dove stanno andando e non da dove provengono. Alla fin fine, oggi Belzebò è solo un altro tassello del pensiero unico emergente che fa finta di non essere razzista, ma declina la critica al neoliberismo in senso identitario e autoritario, con un po’ di Alain De Benoist da un lato e un po’ di buona vecchia «razza caucasica» dall’altro…
Insomma, parrebbe proprio che il Martello di cui si parla sia quello dell’Hammerskin Nation travestito da sperimentalismo e creatività identitaria per attirare seguaci al nuovo credo monoculturalista e xenofobo.
Oltre a Dario Parisini, saranno presenti al dibattito «col Martello» anche Antonello Cresti, Pasquale Pezzillo, Giovanni Rossi e Stefano Sissa.
Ora, se l’intenzione di costoro non è quella di aggregarsi al carrozzone del monoculturalismo xenofobo, non dovrebbero prestarsi a un dibattito organizzato da chi fa propaganda contro l’antirazzismo e che mostra tutti i tratti dell’ambiguità e dell’opportunismo.
Se credono che la musica sia un linguaggio transculturale e multiculturale, non associno il loro nome alla propaganda identitaria di chi paventa il complotto delle ONG e l’estinzione della «razza bianca caucasica».
Ascoltate i profughi che scendono dalle navi delle ONG cantando le loro canzoni. Nella comunità viva e vissuta della musica si radica lo statuto stesso della libertà, della solidarietà e della resistenza a ogni oppressione.
Finora abbiamo più volte chiesto un atto di chiarezza e di responsabilità del Quartiere Santo Stefano in modo da negare la sala pubblica del quartiere a iniziative che vanno tutte e sempre nella stessa pessima direzione.
Ma ora ci rivolgiamo a tutti e a tutte per lasciare vuota quella sala e per sottrarre spazio e credito pubblico a chi promuove xenofobia e disumanità.