Mentre il TAR decreta che fare l’apologia della Repubblica antisemita di Salò «non lede l’immagine dello Stato», mentre lo Stato finanzia il revisionismo creativo sulle stragi di Stato, ecco che si fa sempre più aggressiva e articolata la campagna neofascista per negare lo sterminio nazifascista e le camere a gas. Un’idea fissa dei camerati, anche quando parlano d’altro. E i militanti di Forza Nuova si danno ora al cinema negazionista, recitando la solita parte da “perseguitati”, come si legge sulla sempre ambigua, ambivalente “Repubblica”, che ne fa un articolo di costume dal titolo ammiccante, Nella testa dei negazionisti:
Novanta minuti per negare la Shoah e sostenere che l’Olocausto è “la più colossale menzogna dell’epoca moderna”. Si intitola “Wissen macht frei ‒ la conoscenza rende liberi” (il richiamo è alla scritta “Arbeit macht frei” collocata sull’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz), ed è il primo documentario made in Italy ‒ con voce narrante e sottotitoli in italiano ‒ che mira a diffondere le folli tesi negazioniste su larga scala. Per adesso solo sul web, attraverso i forum neonazisti, i programmi di file-sharing, o i siti monotematici dei sedicenti studiosi dello sterminio del popolo ebraico, anche se l’ambizione è quella di sbarcare nelle scuole. Diffuso in questi giorni in via semiclandestina, il documentario verrà presto distribuito sotto forma di dvd, a chiunque ne faccia richiesta, via e-mail. “Non chiediamo un euro e siamo pronti a portarlo nei licei”, promettono gli autori di questo documentario, disponibile anche in una versione estesa di due ore e mezza. Militanti di Forza Nuova (anche se, ufficialmente, la formazione neofascista non lo propaganda ancora), sono noti alle forze dell’ordine per la loro attività di negazione della Shoah e per i loro commenti antisemiti e razzisti sui forum. Sono loro gli organizzatori del dibattito negazionista che si è tenuto provocatoriamente lo scorso 27 gennaio, giorno della Memoria, nella sede di Forza Nuova Lario, a Como.
Quasi un anno di lavoro necessario per raccogliere e montare materiali video e fotografici dai blog negazionisti: il risultato è una bestemmia storica, una volgare menzogna che offende la memoria dei milioni di morti nei lager nazisti. Si nega non solo l’esistenza delle camere a gas ma anche il numero dei sei milioni di ebrei sterminati e si ribatte, punto per punto, alla storiografia che, da decenni, si occupa dell’Olocausto. Spesso con prove inconsistenti e affermazioni ampiamente smentite dagli studiosi: la verità dell’Olocausto viene contestata attraverso bugie antistoriche.
In altri Paesi, la realizzazione di questo filmino sarebbe punita con la galera: particolare ricordato in apertura di documentario, a mo’ di warning (“Attenzione: la pubblicazione e la distribuzione di questo video costituisce reato ed è passibile di arresto in 12 Paesi europei”, recita una scritta in sovraimpressione). Obiettivo di questo collage di interviste ai principali negazionisti ‒ dal francese Robert Faurisson allo svizzero Jurgen Graf ‒ è quello di abbattere il “dogma dello Shoah”, svelando quella che sarebbe stata la “leggenda dei campi di sterminio”. Anche i testimoni scampati ai lager nazisti vengono liquidati come “sedicenti sopravvissuti”, che girano le scuole per “propagandare la favola delle camere a gas”.
È lungo l’elenco dei negazionisti citati in apertura: sono sedici, ognuno presentato come un “martire”, uno studioso perseguitato “per aver messo in discussione una credenza popolare”, al fine di “cercare la verità”. Da Paul Rassinier a Ernst Zündel, passando per Sylvia Stolz e Norman Finkelstein, a questi storici di nome ma non di fatto, viene riconosciuto il merito “di aver smontato” la leggenda della Shoah “con una semplice analisi obiettiva”, visto che “la verità dell’Olocausto si regge su testimonianze contraddittorie di cui non si hanno prove documentate e che le poche analisi che è stato possibile effettuare hanno rivelato infondata”. “Purtroppo l’elenco dei cosiddetti negazionisti che vengono perseguitati è in costante aggiornamento ‒ spiega la voce narrante, un ragazzo italiano, presumibilmente uno dei due autori del montaggio ‒ Ma questo vuol dire che c’è un crescente numero di persone disposte a rischiare per far rifiorire la verità. I popoli d’Europa stanno rialzando la testa. Questo fa paura a qualcuno, che soltanto grazie alla presunta Shoah riesce a tenere sotto schiavitù questi paesi e i loro cittadini, avvalendosi dei sensi di colpa di un popolo. Lo dimostrano le continue pressioni sui rappresentanti dei governi per introdurre il reato di negazione dell’Olocausto”.
È a Faurisson e Graf, protagonisti indiscussi del video, che viene affidato il compito di presentare larga parte delle tesi condivise da quanti negano l’esistenza della Shoah. Del primo, viene anche riportata un’intervista rilasciata quando venne invitato all’università di Teramo, dal docente Claudio Moffa, nel 2007.
Il documentario cerca di confutare, invano (senza cioè fare riferimento a documenti ufficiali), quelli che sono i tre capisaldi della storiografia nazista. In primo luogo, si vuole sostenere che il regime nazionalsocialista non emanò alcun ordine di sterminio del popolo ebraico: lo sostengono sia Faurisson che l’italiano Carlo Mattogno. E poi Graf, per il quale il fatto che “numerosissimi deportati siano sopravvissuti ai campi” è la migliore prova che questo ordine non sia mai esistito. Ma il capovolgimento della verità storica si fa più spregiudicato quando si vuole sostenere che le camere a gas siano un’invenzione. “Dove sono le prove? Non intendo quelle false, quelle vere”, dice Faurisson, sottotitolato in italiano. “Non esistono tracce materiali di gasazioni omicide. Per esempio, se non disponessimo delle testimonianze sulla gasazione dei detenuti ad Auschwitz, non ci sarebbe mai idea che questa camera mortuaria costruita come quella di altri crematori sia servita da camera a gas”, afferma Graf, ignorando le molteplici testimonianze di quanti, Shlomo Venezia in testa (addetto del Sonderkommando), hanno visto e vissuto, ogni giorno, la disumana atrocità della gasazione di massa. Il Zyklon B, il gas impiegato per gli stermini dei prigionieri, sarebbe stato usato, in realtà, per “disinfettare abiti ed edifici e combattere le epidemie”. E queste ultime ‒ non le camere a gas ‒ spiegherebbero il decesso di moltissimi ebrei (l’unico dato certo che Graf accetta di fornire è quello di “centinaia di migliaia” di persone deportate nei campi). Ancora: nei campi di sterminio vi sarebbero state piscine, teatri e bordelli. Quale miglior prova del fatto che i nazisti non volessero sterminare i loro prigionieri? “Gli ebrei non hanno mai corso il rischio di essere sterminati”, sentenzia Graf.
Terzo punto contestato dagli autori del documentario, il dato dei sei milioni di ebrei morti. Per Faurisson si tratta di un numero fatto “circolare ad arte”, e anche la testimonianza di Rudolf Höss, comandante di Auschwitz (che ha fornito le prove delle gasazioni) sarebbe stata estorta con le torture. “La cifra dei 6 milioni di ebrei morti risale al 1900, quando comparve anche sulla stampa ebraica di New York ‒ prova a spiegare Faurisson ‒ Il dato era riferito in un primo tempo agli ebrei che stavano morendo in Russia e Polonia ed era uno slogan per reperire fondi. Successivamente lo si userà per la Germania”.
La conclusione della voce narrante è in linea con le precedenti tesi antistoriche: “In assenza di prove la Shoah andrebbe considerata una macabra leggenda”. Per i negazionisti, “la propaganda sull’Olocausto è una fiorente industria. È un affare che muove miliardi di dollari in tutto l’occidente. Anche le visite guidate ai campi di sterminio fatturano milioni di euro. Dietro alla Shoah ‒ si sostiene ancora ‒ ci sono i soldi versati come risarcimenti a stato di Israele e alle vittime, ma c’è anche la nascita dello stato di Israele”. Resa possibile, appunto, dall’Olocausto. Titoli di coda come nella migliore tradizione cinematografica, si ringraziano il negazionista italiano Mattogno, un militante di Forza Nuova, e i gestori di quattro siti negazionisti italiani. Ma è solo il primo passo: “È un inizio, abbiamo tante idee per fare documentari revisionisti e farli circolare”, promettono gli autori.