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Fabbri antifascista

La riedizione della Controrivoluzione preventiva di Luigi Fabbri continua a suscitare interesse. Ripubblichiamo una recensione pubblicata sulla rivista “Storia e problemi contemporanei” n. 54 del 2010.

Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva. Riflessioni sul fascismo, Zero in Condotta, Milano 2009.

Luigi Fabbri è fra i più noti esponenti anarchici italiani. Nato a Fabriano nel 1877, fu attivo nel movimento sin dalla metà degli anni novanta dell’Ottocento; vicino a Errico Malatesta e a Pietro Gori, svolse un ruolo di primo piano in alcune delle maggiori pubblicazioni del movimento, da “L’Agitazione” (1897-1898 e poi nei primi anni del XX secolo) a “Volontà” (nel 1914, quindi nel “biennio rosso”), mentre de “Il Pensiero” (1903-1911), autorevole rivista quindicinale, fu direttore insieme con lo stesso Gori. Il suo impegno intellettuale nel movimento anarchico andò di pari passo con l’attività di organizzazione, svolta a livello italiano e internazionale lungo il primo trentennio del Novecento. Prese posizione su alcuni tornanti fondamentali della storia del Novecento, come la Grande guerra (rigettata, in nome di un inossidabile antimilitarismo), la rivoluzione russa (inizialmente apprezzata, ma già dal 1919 fatta oggetto di dura critica), l’avvento del fascismo (analizzato con intuizioni originali). Costretto ad abbandonare l’Italia nel 1926 per motivi politici, trovò riparo in Francia e, infine, in Uruguay, dove morì nel 1935. Nei difficili anni trascorsi da “fuoriuscito”, giocò un ruolo importante nel dibattito antifascista dalle colonne de “La Lotta Umana” di Parigi e da quelle di “Studi Sociali” di Montevideo.

Per i tipi di Zero in Condotta è uscita a fine 2009 la ristampa de La controrivoluzione preventiva. Riflessioni sul fascismo, lavoro che Fabbri ultimò nel 1921 e che apparve l’anno successivo presso l’editore Cappelli di Bologna. Scritta nei mesi in cui il movimento mussoliniano stava prendendo forma e si preparava alla conquista del potere, l’opera condivide la tesi, allora prevalente nella sinistra italiana, del fascismo come strumento di reazione del capitale di fronte alle agitazioni del “biennio rosso”. Tuttavia, centrale nel testo è anche l’analisi della debolezza e degli errori dei partiti della sinistra, secondo una linea interpretativa ripresa poi da Angelo Tasca nel suo celebre La naissance du fascisme del 1938. Le sinistre facevano la rivoluzione a parole, non nei fatti – chiarisce Fabbri – benché nel 1919-1920 vi fossero stati diversi momenti favorevoli, in cui la monarchia italiana sembrava sull’orlo del rovescio: il moto contro il caroviveri nella primavera 1919, la sollevazione antimilitarista di Ancona nel giugno 1920, l’occupazione delle fabbriche due mesi più tardi. La verbosità esasperata era l’indice di atteggiamenti e tattiche da parte dei leaders delle formazioni operaie – socialiste, ma anche anarchiche –, più radicali nella forma che nella sostanza. “La rivoluzione non veniva, non si faceva. Si facevano solo dei comizi di popolo, molti comizi, troppi comizi”, scrive. Perse le occasioni presentatesi tra il 1919 e il 1920, il quadro psicologico era mutato di colpo e le classi dirigenti avevano organizzato l’offensiva contro un proletariato sempre più deluso, nelle cui file non mancavano sbandamenti. In questa fase il movimento fascista – misera cosa fino ad allora – attraverso lo squadrismo aveva assunto il ruolo di avanguardia della reazione antioperaia. D’altra parte le istituzioni avevano represso senza sosta quei gruppi – gli “arditi del popolo” – che avevano intuito come alla forza militare dei fascisti bisognasse rispondere con la stessa moneta.

Fabbri individua i gruppi sociali pronti a volgere a loro profitto il rapido mutamento di paradigma: la borghesia in tutte le sue declinazioni, ma anche operai e disoccupati. Un accenno, questo, che mostra la sua notevole capacità nell’indicare – nel mezzo delle intemperie dell’epoca – le zone grigie della società su cui il fascismo ebbe effettivamente presa, tema cui più tardi si sarebbe largamente dedicata la storiografia specialistica.

Fabbri evidenzia, inoltre, come il fascismo fosse nato sì a Milano, ma avesse avuto i suoi prodromi a Bologna, dove i socialisti non avevano risposto con forza alle prime azioni squadristiche, preferendo ripararsi dietro al concetto di “legalità”, e dove i tragici fatti di Palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920 avevano poi fatto precipitare la situazione.

Già allora a Fabbri parve chiaro che il fascismo era innanzitutto un prodotto della guerra, sia sul piano sociale ed economico, sia su quello psicologico dell’abitudine generalizzata alla violenza. Con la guerra gli ideali democratici, liberali, egualitari della rivoluzione francese – scrive – erano stati messi da parte ovunque, in Italia come nel resto d’Europa.

Fabbri seppe del resto prevedere nel 1921 il reale pericolo del fascismo, quella sua capacità di farsi Stato che si sarebbe palesata, un anno più tardi, nella marcia su Roma; e sebbene, al pari di tutti i leaders dello schieramento operaio, ipotizzasse che il fascismo sarebbe durato poco tempo, non escludeva che esso potesse vivere a lungo e non morire di morte naturale.

Nel titolo, il termine “controrivoluzione” sta a indicare come, per Fabbri, il fascismo sia da intendere come “il fattore più attivo e impressionante” di un’azione specularmente rovesciata rispetto al dinamismo che aveva caratterizzato il movimento operaio nel 1919-1920; si tratta di una controrivoluzione “preventiva”, in quanto anticipa, inibendolo, qualsiasi moto davvero rivoluzionario.

Questa edizione ha il pregio di mettere nuovamente in circolazione un testo ormai esaurito. I curatori lo hanno fatto con precisione, lavorando su una delle poche copie dell’edizione del 1922 ancora disponibile, corredandola con una bibliografia dell’autore e con un’interessante introduzione, in cui si evidenzia tra l’altro come l’anarchico di Fabriano sia stato in grado di “smascherare l’offensiva simbolica del fascismo e di mostrarne la funzione complementare rispetto alla pratica della violenza squadrista”. I fascisti – scrive Fabbri – “conoscevano bene la tecnica dell’organizzazione, il linguaggio retorico che colpisce le immaginazioni e desta i rancori, la psicologia delle folle e il modo di condurle”. I curatori inoltre sottolineano come la linea interpretativa de La controrivoluzione preventiva sia stata variamente utilizzata nel corso del Novecento, ad esempio in opere come Fascisme et grand capital (1956) di Daniel Guérin e Counterrevolution and revolt (1972) di Herbert Marcuse, un uso che ne indica la vitalità e l’efficacia.

Antonio Senta

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