Non sono noti i mandanti di nessuna delle quattordici grandi stragi che hanno insanguinato l’Italia, ma sempre apparati e funzionari di Stato si sono distinti nell’organizzare depistaggi, nascondere indizi, proteggere i gruppi neofascisti che le avevano eseguite.
Oggi potrebbe aggiungersi una quindicesima grande strage neofascista, passata per decenni sotto silenzio.
Era la sera del 5 maggio 1972 quando un Dc 8 dell’Alitalia si schiantava per cause misteriose sul crinale di Montagna Longa in Sicilia: 115 morti.
Alla vigilia del 40esimo anniversario del “disastro”, salta fuori una vecchia fotografia che mostra un frammento di ala con tre fori d’entrata come quelli prodotti da proiettili di grosso calibro. Quella foto fu scattata il giorno dopo l’incidente, ma a ritrovarla è stata la nipote di una delle vittime del disastro che di recente ha riesaminato tutti gli atti dell’inchiesta.
Un’inchiesta distratta, confusa, con omissioni, depistaggi e insabbiamenti. Ma, fin da subito, a mettere in discussione il “disastro” fu il vicequestore di Trapani Giuseppe Peri. Questi avviò una “controinchiesta” ed elaborò, nel 1976, un ampio dossier dove ipotizzava che il procuratore generale di Genova Francesco Coco fosse stato ucciso dai terroristi neri (e non dalle Brigate Rosse) e che la strage di Montagna Longa fosse uno dei tasselli del mosaico della cosiddetta “strategia della tensione”.
Secondo Peri, infatti, non si sarebbe trattato di un incidente casuale, ma di un attentato di matrice neofascista, inquadrato in un inquietante contesto di inconfessabili rapporti tra mafia, eversione nera, servizi segreti deviati e poteri occulti. Per tanti anni, si ignorò l’esistenza di quel dossier, riscoperto negli ultimi tempi dai familiari della strage di Montagna Longa.
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