Nel regno “securitario” del postfascista Alemanno, il 13 giugno un attivista gay viene aggredito da cinque uomini fra i 25 e i 30 anni che lo feriscono alla testa con una grossa pietra e poi lo continuano a colpire con calci e pugni.
Non v’è dubbio che le culture omofobe e sessiste siano presenti in ambiti differenti della società e dell’attivismo politico, e vadano combattute ovunque e comunque. Ma è altrettanto palese che a Roma le coperture che il sindaco ha dato ai gruppi neonazisti e neofascisti abbiano incrementato le aggressioni a lesbiche, gay e trans.
Ora, quello che deve far riflettere, e non in modo moralistico o banalizzante, è il fatto che l’attivista gay selvaggiamente pestato il 13 giugno ha collaborato attivamente allo sdoganamento di CasaPound e dei «giovani fascisti» in genere.
Per quale ragione o per quale equivoco un attivista gay, che non ha nessun agio o beneficio a dialogare con i neofascisti, si adopera in tal senso?
Da una parte, egli accusava paradossalmente l’antifascismo di «dare visibilità» ai gruppi neofascisti e di eccitarli a risposte violente, come ad esempio viene detto qui:
«La demonizzazione dei giovani fascisti, la facilità con cui vengono presentati sistematicamente sui media come “squadristi” che cercano di imporre la loro presenza e le loro idee, alimenta un circuito perverso di versioni, controversioni e rimandi da un punto all’altro della rete, capace di generare un’attenzione che altrimenti non si creerebbe. A dare ulteriore manforte, intervengono poi, anche qui sistematicamente, le reazioni e/o le provocazioni violente e aggressive dalla parte più marginale e politicamente miope della sinistra (mi sto riferendo a Sinistra Critica, centri sociali vari, RASH, ecc.), che non fanno altro che amplificare ulteriormente l’attenzione già conquistata attraverso la polemica mediatica.»
Ma, dall’altra, vi è l’idea che tutte le contrapposizioni binarie siano inaccettabili e da rimodulare. È la stessa idea che aveva spinto nel 1993 Franco Berardi “Bifo” a scrivere il «Il Manifesto della nuova Tolleranza», e a organizzare, in nome del «meticciato ideologico», una festa per «giovani con simpatie “estremiste” opposte», neri e rossi insieme:
«Proprio per esorcizzare la paura del “contatto” con i naziskin, lunedì 26 aprile, alle ore 22, alla discoteca Akab di Roma, si terrà una manifestazione per salutare “Il Manifesto della nuova Tolleranza” ideato da Franco Berardi: giovani con simpatie “estremiste” opposte si ritroveranno a ballare e a parlare insieme per un happening che qualcuno ha già definito “storico”» (“Il Resto del Carlino”, 23 aprile 1993).
Ora, l’idea che si tratti di distruggere le opposizioni binarie in forme continuamente «ibridate» ed «eccentriche», è un’idea forte e importante dei Postcolonial Studies, dei Gender Studies e di teorie che contrappongono – in modo tuttavia binario – “autorità” oppressiva e “ibridizzazione” liberante.
Ecco, ad esempio, un brano di uno dei più importanti esponenti della teoria postcoloniale, H.K. Bhabha, I luoghi della cultura, Roma, Meltemi, 2001, p. 58:
«Le strategie d’ibridizzazione rivelano un movimento estraniante nell’iscrizione “autorevole”, nonché autoritaria, del segno culturale. Nel momento in cui tale principio tenta di oggettivarsi come conoscenza generalizzata oppure come pratica egemonica e normalizzante, la strategia e il discorso ibridi si aprono allo spazio della negoziazione, dove il potere è diverso, ma la sua articolazione può essere equivoca. Tale negazione non va confusa né con l’assimilazione né con la collaborazione. Essa rende possibile l’emergenza di un’agency “interstiziale” che rifiuta la rappresentazione binaria dell’antagonismo sociale. L’agency ibrida trova la propria voce in una dialettica che non mira alla supremazia o alla sovranità. Essa dispiega la cultura parziale da cui emerge allo scopo di costruire visioni di comunità e versioni della memoria storica che generano narrative dalle posizioni minoritarie che occupano».
Che questa teoria dell’agency interstiziale e ibrida non funzioni appieno e che comporti dei controeffetti autoritari e normalizzatori, basterebbe a dimostrarlo proprio lo squadrismo di CasaPound, che appunto «rifiuta la rappresentazione binaria dell’antagonismo sociale» («Né rossi, né neri, ma liberi pensieri» gridavano con le spranghe in mano a Piazza Navona). Anche i «fascisti del terzo millennio» costruiscono pessime «visioni di comunità e versioni della memoria storica», minoritarie sì, ma manipolatorie e autoritarie e promotrici del loro squadrismo simbolico e delle loro violenze reali.
Insomma, nel solidarizzare con chi è aggredito, ci sembra importante ribadire che nessuna agency interstiziale è possibile dinanzi al neofascismo, e che la rabbia e l’autodifesa sono valori imprescindibili di civiltà su cui l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo devono fondarsi.
Un nodo su cui riflettere per agire e resistere.