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La Patria, «un posto organizzato»?

Mentre chi può ha cominciato ad andarsene dall’Ungheria xenofoba e autoritaria di Viktor Orbàn (circa mezzo milione di ungheresi), in Italia la cultura autoritaria fa continui passi avanti senza far troppo rumore.

Ecco le bandiere della X Mas e della Repubblica Sociale Italiana sventolate per chiedere che «i Marò vengano giudicati in patria», e una manifestante che dichiara: «Oggi Mussolini sarebbe un modello. Le leggi razziali? In Italia furono all’acqua di rose».

Poi c’è la professoressa di un liceo di Roma che dice alla studentessa ebrea: «Se fossi stata ad Auschwitz, saresti stata attenta». La docente cerca di giustificarsi e spiega la sua affermazione in modo esemplare: «Ho detto quella frase per indicare un posto organizzato».

Poi c’è l’ultranazionalista Marine Le Pen che elogia il M5S e solidarizza con Grillo e «vuole incontrarlo»… E Grillo, in questo caso, non se la prende con la vecchia politica visto che la Le Pen ha addirittura ereditato dal padre la poltrona…

Al riguardo ha senza dubbio ragione C.M. quando scrive sul mensile anarchico «Invece» del marzo 2013 (qui, terzo articolo in fondo):

«A ben vedere, perché la retorica della legalità è riuscita a far così tanto breccia? Perché “siamo un Paese” (Sinistra), perché “siamo una Nazione” (Destra). I vari candidati promettono di difendere “gli interessi di tutti”. La menzogna è già nella promessa. E chi pensa di sfuggirvi, parla di nazionalizzazione della banche oppure di un Stato (istituzione borghese per eccellenza) piegato ad un utilizzo operaio. Insomma, se il carabiniere non ti aiuta oggi, potrebbe aiutarti domani. La tragedia del proletariato italiano, per richiamare Etchebehere, consiste nel pensare che esista o possa esistere una “comunità di interesse” chiamata Nazione. Se non si spezza questa “nazionalizzazione delle masse” attraverso l’affermazione di interessi e valori dichiaratamente di parte, non c’è limite al peggio. L’appello costante del nazionalismo (come si intitola il bel libro di Fredy Perlman) non può che rafforzarsi in tempi di “crisi”, perché le soluzioni nazionaliste suonano più semplici e lineari di quelle rivoluzionarie. Ancora più degli aspetti organizzativi e programmatici, è il discorso dei grilli parlanti a suonare reazionario e sinistro. Sarebbe facile prendere gli episodi più macroscopici dell’ambiguità grillina: il dialogo con CasaPound, il comunicato contro i rumeni che violano “i sacri confini della Patria” oppure la parte di uno spettacolo in cui il comico consigliava alle forze dell’ordine di dare una ripassata in caserma o in questura ai “marocchini che rompono i coglioni” invece di farsi filmare “come dei coglioni” mentre li pestano per strada. Se rileggiamo Cultura di destra di Furio Jesi, basterebbe la parola “Nazione” (con la maiuscola) a mettere in guardia dal discorso di Grillo. I militanti e consiglieri 5 Stelle in Valsusa hanno appoggiato il movimento NO TAV (ci ricordiamo anche bene la bordata di fischi che si è preso il loro esponente più noto quando disse, la sera stessa di una violenta carica della polizia, che “il nemico non erano le forze dell’ordine”). A Treviso si sono fatti conoscere per la virulenza con cui pretendevano la chiusura dei campi Rom. Non si tratta di “spiacevoli contraddizioni”. Chiunque si presenti come baluardo di legalità e come alternativa alla lotta di classe; chiunque voglia mobilitare una generica e fantasmagorica “società civile” contro la Casta; chiunque pretenda un capitalismo basato sul merito e non… sui capitali, non può fare a meno di raccogliere i vari interessi e i vari umori che circolano nella “comunità nazionale”. E non può fare a meno di presentare il Nemico come esterno alla “comunità”: la perfida Finanza contrapposta alla sana economia reale, la Francia e la Germania le cui banche hanno imposto la truffa del debito, il politico corrotto che si appropria dei “beni comuni” o gli sleali Cinesi (categoria che mette nello stesso sacco i burocrati celesti, le multinazionali occidentali presenti nel Paese “socialista di mercato”, i milioni di schiavi salariati delle Zone economiche speciali o di internati nei campi di lavoro). L’impianto nazionalista resta talvolta sullo sfondo di fronte alle varie questioni immediate (il TAV, l’acqua, i pesticidi, gli inceneritori ecc.), ma esiste. I ceti medi vedono in Grillo una prospettiva di potere, la possibilità di realizzare il sogno promesso dal Drive In capitalista. Tanti proletari una sorta di piede di porco per scardinare il sistema dei partiti e… poi si vedrà. Il movimento 5 Stelle non si è ancora dato una precisa struttura organizzativa, ma dovrà farlo. “Salvare la Nazione” e “uscire dal buio” senza mettere in discussione i rapporti capitalisti sono opzioni possibili “solo con il consenso e sotto il controllo della classe dirigente” (Simone Weil). E il discorso nazionalista, stanti gli attuali rapporti di forza tra le classi, si radicalizzerà. Grillo mette assieme in modo scaltro diversi elementi emersi con il movimento di Seattle nel 1999, le rivendicazioni dei lavoratori del “cognitariato” e la declinazione nazionale della tematica dei beni comuni. “Mandiamoli a casa tutti!” è la parodia del “Che se ne vadano tutti!” argentino, perché il mandarli a casa grillino coincide di fatto con il sostituirsi ad essi, non con la rivendicazione sociale di una radicale autonomia e alterità. Che Grillo abbia utilizzato in rete una notorietà capitalizzata attraverso la televisione di Antonio Ricci e Pippo Baudo; che sia proprietario legale del simbolo di un movimento che a lui si rivolge come al Garante ecc. sono tutti aspetti veri. Ma il problema va visto soprattutto dall’altro lato: da quello di una folla di solitari che ai suoi comizi si sente “comunità”. Lì sta la disfatta del proletariato».

È un fatto che l’estrema destra stia rapidamente modificando le proprie architetture politiche di superficie. «La Destra» di Storace è scomparsa, la Lega Nord è quasi scomparsa, i finti creativi di CasaPound sono ormai entrati in una crisi irreversibile. Ma le correnti autoritarie, nazionaliste, classiste, antiproletarie, razziste, antisemite, sessiste, omofobe, fascistoidi, neofasciste o neonaziste sono continuamente rafforzate dalla crisi e dal bisogno di nuovi capri espiatori per consolidare l’unità dissestata della «Patria».

Già nel novembre del 1956, Daniel Guérin scriveva nella prefazione a Fascismo e gran capitale: «Non bisogna dunque lasciarsi ipnotizzare dal pericolo di un ritorno offensivo del fascismo “puro”: la controrivoluzione potrebbe riapparire in altre forme».

Oggi l’antifascismo è lotta rivoluzionaria e internazionalista, e la lotta rivoluzionaria non può essere che antifascista!

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